Ma una forbice del genere avrebbe convinto il giudice a condannare l'imputato? Non è che invece lo avrebbe assolto chiedendo indagini più consone a un simile delitto, visto che la morte non doveva più collocarsi nell'orario stabilito dall'autopsia e che i carabinieri e i Pm avevano basato le loro indagini solo su quanto stabilito dal patologo? Il rischio c'era, quindi per far condannare il Parolisi occorreva chiudere la forbice ed abbassare al minimo l'ora in cui collocare la morte per portarla non oltre le 15.30. E qui il professor Introna è riuscito, tramite il contenuto gastrico, a far pensare alla Tommolini che la vittima avesse esalato l'ultimo respiro a due ore e mezza da un ultimo pasto a base di farinacei e latticini. Pasto, a detta della madre di Melania, che andava collocato fra le 13.00 e le 13.30. A questo punto però, considerando la nuova forbice stabilita, il calcolo delle probabilità si equivaleva, dato che solo un pranzo finito alle 13.00 esatte avrebbe permesso una morte databile alle 15.30. E visto che marito e moglie erano tornati a casa poco prima delle tredici, visto che le mamme per natura fanno mangiare sempre prima i loro piccoli (e la pappa è da preparare), c'erano ancora ostacoli che non permettevano al giudice di poter considerare il marito un certo assassino. Infatti se Melania avesse finito di mangiare non alle tredici ma pochi minuti dopo, diciamo alle 13.15 o alle 13.30, nella ricostruzione della parte civile la morte sarebbe potuta risalire alle 15.45 e finanche alle 16.00, così da tagliar fuori il militare dal delitto perché a quell'ora già aveva chiamato la moglie al cellulare (15.26) e già la cercava al pianoro.
Per cui serviva un terzo elemento a conferma e che un pizzico di pregiudizio fosse entrato in tribunale. Ed ecco l'altro dato su cui si è combattuto: il dna trovato sui denti della vittima. Dna che per i consulenti dei Rea in presenza di vitalità sarebbe dovuto scomparire nel giro di pochi minuti e che invece, proprio perché lasciato su un corpo morto, ha resistito tre giorni interi. Detto tutto questo, tanto per capirci, noi ammiriamo il modo in cui lavora il professor Introna, sempre professionale e mai banale nelle sue conclusioni, e fatti salvi alcuni casi da lui periziati, casi che non ci trovano d'accordo, la sua personalità ci ha sempre coinvolto e trasmesso quelle certezze che ci mancavano. In particolare la sua forte personalità è uscita nella testimonianza resa a Perugia dove, da consulente di parte della difesa di Raffaele Sollecito, senza titubanze e in modo esemplare, grazie alla sua preparazione e all'esperienza professionale superiore alla media, tenne testa a chi lo voleva mettere in imbarazzo o far contraddire di fronte alla Corte, quando dimostrò (per me senza ombra di dubbio) che Meredith Kercher era stata uccisa da un unico assassino. Ma è proprio a causa di quella testimonianza che il suo ingresso nel collegio di parte della famiglia Rea, dove già figurava il professor Arcudi, ci risultò strano. Pensavamo che chi come lui ha 2500 autopsie all'attivo, scegliesse con cura i casi in cui mettere la faccia ed esporsi in prima persona. Oltre a questo ricordavamo bene le sue parole sul modus operandi che tiene un aggressore quando vuol violentare una donna coi jeans. Almeno io, quindi, ritenevo che anche per lui Melania Rea potesse essere stata vittima di un tentativo di violenza sessuale, a più mani visti i vari dna sui polpastrelli e sotto un'unghia, non andato in porto e finito male. Questo perché al processo di Perugia, parlando della violenza su Meredith e poi sulle violenze sessuali in generale, disse:
"...la vittima non ha i pantaloni che sono stati ritrovati piegati sul letto, anche se poi sporchi di sangue, perché, perché in una violenza sessuale l’aggressore non sfila i pantaloni jeans ma li abbassa, è molto più comodo fare una violenza sessuale con i jeans abbassati che bloccano le gambe piuttosto che gentilmente ed educatamente sfilarli al pari delle mutandine...". Ecco, vedendo le foto di Melania coi pantaloni abbassati fino alle caviglie e le ginocchia imbrattate di terriccio e aghi di pino, ho pensato subito a Introna e rivisto la scena che aveva descritto, parlando in generale e non del caso specifico, quindi a una tentata violenza sessuale. E visto che credere a una tentata violenza sessuale perpetrata dal marito mi pareva un'utopia, credevo che anche Francesco Introna fosse della mia stessa idea. Ma sbagliavo, perché la risposta al motivo per cui avesse accettato di collaborare con l'avvocato Gionni e coi Rea mi arrivò quando uscirono le motivazioni assurde della Tommolini. Per il giudice a cercare di violentare Melania era stato proprio il marito gasatosi dopo averla vista pisciare dietro al chiosco. Un'ipotesi azzardata, ma col senno di poi probabilmente riconducibile a quanto detto in udienza dal professor Introna. Dopo aver capito questo particolare, però, ancora non mi capacitavo di come avesse potuto stabilire con tanta precisione l'ora certa della morte, visto che sempre a Perugia, sempre parlando in generale, aveva affermato:
"... è ovvio che il contenuto gastrico rappresenta un problema concreto per il medico legale perché tantissime, così come è stato detto più volte, possono essere le variabilità soprattutto in occasione di eventi stressanti. Il contenuto gastrico io dico è la tomba del medico legale perché avventurarsi in un campo difficile come quello dell’analisi del contenuto gastrico rappresenta, implica delle conoscenze tecniche, fisiologiche abbastanza difficili e i risultati comunque sono sempre soggetti di una certa opinabilità". Ed ecco l'altro punto. Parlando in linea generale Introna disse che risultano sempre e comunque opinabili i risultati ottenuti dalle analisi sul contenuto gastrico. Per questo quando seppi che in udienza aveva lottato per stabilire un orario affidabile basandosi sul contenuto gastrico, mi chiesi come mai a Teramo desse per certi i risultati ottenuti da analisi che a Perugia riteneva opinabili. Quale indicazioni lo portavano ad avere quelle certezze che a Perugia gli mancavano? Fra l'altro Meredith Kercher venne rinvenuta cadavere a meno di 15 ore dalla morte, l'autopsia iniziò dodici ore dopo e si sapeva con certezza quale fosse stato il suo ultimo pasto: una pizza mangiata in casa di amiche seguita a distanza di un'ora e mezza da una fetta di torta alle mele. Al contrario Melania Rea fu fatta trovare dopo 48 ore, l'autopsia iniziò a 72 ore dalla scomparsa e, non essendoci testimoni visivi, nessuno poteva sapere per certo l'ora in cui avesse mangiato... sempre che a casa avesse mangiato. Perché dunque il professor Introna considera, mi chiedevo e ci chiedevamo, in questo caso specifico e non nell'altro da lui trattato, il contenuto gastrico un caposaldo dell'accusa? Questo è quanto i quotidiani e certi settimanali di gossip ci fanno sapere. Ma non fu lui ad affermare a Perugia, sotto giuramento, che il contenuto gastrico è la tomba del medico legale? Non fu lui a dare un range nuovo in cui collocare la morte di Meredith, morte che il patologo della procura umbra aveva assicurato essere avvenuta alle 23.30? Su questo punto il professor Introna non concordava col suo collega e disse:
"Allora, noi al massimo del range possibile abbiamo desunto l’epoca della morte come occorsa tre - quattro ore dopo l’inizio dell’assunzione dell’ultimo pasto noto, che è quello delle 18.30, quindi epoca di morte che deve restringersi tra le 21.30 e le 22.30, non oltre". Insomma, pur sapendo quale fosse il contenuto dello stomaco e l'ora presumibile del pasto, non diede un orario certo ma stabilì un range di un'ora in cui collocare il decesso. Per onestà serve ampliare un attimo il discorso e dire che quel range lo stabilì anche in base ad altre risultanze. In pratica chi aveva inizialmente operato sul cadavere di Meredith aveva sì preso la temperatura corporea al momento del ritrovamento, ma poi aveva ipotizzato ad occhio, per mancanza di bilance nella struttura in cui lavorava, che la vittima pesasse 55 chili. In questo modo la comparazione fra temperatura e peso corporeo lo portò a stabilire le 23.30 quale ora della morte. La mancanza di una bilancia, che se fosse esistita avrebbe consentito di ottenere un dato molto probabile e poco attaccabile, permise a Francesco Introna di inserirsi nella perizia del collega con relativa facilità. Infatti gli bastò ipotizzare che la ragazza pesasse due chili in più per ottenere un orario antecedente che confermasse la sua perizia sul contenuto gastrico (anche se dal giudice non venne creduto visto che Raffaele Sollecito venne poi condannato). Parlando di conferme, però, c'è da dire che di Melania Rea il professor Introna non conosceva neppure la temperatura corporea al momento del ritrovamento e che il solo contenuto gastrico, pur se accostato a un orario ipotizzato a grandi linee dall'entomologo e portato poi in udienza il più vicino possibile alle 15.30, non può giustificare alcuna sua certezza.
Quindi i primi due capisaldi spacciati sui media per prove a colpevolezza a noi pare non abbiano nulla di confermativo, visto che le larve che potevano confermare o smentire un orario della morte, anche in questo caso solo in maniera probabilistica e non in sicurezza, sono state incredibilmente distrutte dopo l'analisi e visto che il contenuto gastrico, come detto da Introna stesso, è la tomba del medico legale e con un niente può variare da corpo a corpo. Ed anche il terzo caposaldo, il dna sull'arcata dentale che per tutti, in primis per l'avvocato Gionni e per i Rea, derivava o da una mano stretta sulla bocca o da un bacio di addio scoccato a morte avvenuta o quasi, risulta alquanto risibile. Ricorderete le 40 coppie che la dottoressa Baldi costrinse a baciarsi pur di dimostrare quanto poco durasse il dna sui denti. Ricorderete la campagna mediatica sul famoso bacio della morte e ricorderete le illogiche interviste, servite solo a convincere l'opinione pubblica di avere la prova regina in mano, rilasciate sul punto in questione dal legale dei Rea. In una di queste disse: "Secondo la nostra versione dei fatti le tracce del bacio e quelle della mano, che appunto possono restare per pochi minuti o pochi attimi, sono state lasciate nell'attimo in cui Melania cessava di vivere, e infatti sono state rinvenute dopo oltre 48 ore dalla morte".
In poche parole, per i consulenti dei Rea mentre la moglie esalava l'ultimo respiro il marito o la baciava o le stringeva la mano sul volto. Se non scrivo che sono ipotesi ridicole è solo per il rispetto che porto alle persone coinvolte, ma qualcuno deve dirlo che le parole dell'avvocato Gionni sono assolutamente illogiche. Quando il legale le pronunciava di fronte a giornalisti e telecamere, noi in realtà non sapevamo nulla (solo quanto fattoci sapere), ma lui le foto scattate il giorno del ritrovamento le aveva viste e sapeva. In quelle foto aveva anche notato che il volto di Melania non era intonso, pulito come ci volevano far credere (solo se visto da lontano poteva apparire pulito), ma era imbrattato da quattro rivoli ematici larghi almeno mezzo centimetro l'uno e da innumerevoli gocce di sangue tondeggianti. Per cui aveva già anche visto che tre dei quattro rivoli di sangue si appoggiavano sulle labbra di Melania, sia sulla superiore che sull'inferiore, rendendo perciò impossibile un bacio che non lasciasse l'impronta di altre labbra sul sangue. Inoltre a morte avvenuta o quasi, il Parolisi non poteva essere accanto chiosco a baciare la moglie, in quanto non avrebbe raggiunto in tempo utile il pianoro di San Marco.
Ma anche una mano sul volto a chiudere la bocca, seppure per il professor Introna questo sia un caposaldo dell'accusa al posto dell'inverosimile bacio della morte, è un'eventualità impossibile da credere e accettare. Ci fosse stata davvero una mano premuta sul viso per non far gridare Melania, gocce tondeggianti su una buona parte di pelle non si potevano trovare, visto che sarebbero finite sul dorso della mano dell'aggressore. Non si può non concordare su questo come non si può non concordare sul fatto che se anche l'azione si fosse messa in atto solo inizialmente, al momento dei primi colpi inferti al collo, il dna sarebbe svanito in ogni punto, anche dai denti e non solo sulla pelle del volto (volto che fra l'altro non avrebbe presentato un trucco intatto se bloccato e strisciato da una mano estranea). Questo perché l'azione omicida ha necessitato di tempo e perché Melania è morta dopo venti minuti di agonia. Insomma, alla fin fine a noi i capisaldi portati ai giudici paiono essere capi trottola privi di ogni veritiero riscontro scientifico e logico. E ci spiace li abbia portati, e soprattutto che li abbia sottolineati sui giornali, proprio il professor Introna, persona stimabile, perché autorizzano a rivedere la funzione dei periti di parte. Non persone che operano alla ricerca della verità che può scagionare o carcerare un imputato, ma professionisti che si insinuano nei vuoti procedurali e usano un elastico comparativo, allungandolo o restringendolo in base alla bisogna del proprio cliente, per imporre la sola verità desiderata che potrebbe essere diversa da quella vera.
Questo non dovrebbe esistere, perché in tribunale si dovrebbe remare dalla stessa parte e tutti i periti dovrebbero cooperare nella ricerca della verità, qualunque essa sia, e non assecondare i propri clienti usando l'elastico del dubbio scientifico, che mai mancherà, per far marcire in carcere chi si crede colpevole senza averne le prove. Troppo facile lavarsi la coscienza col pensiero che non sono i periti a condannare, ma sarà poi un giudice a sentenziare dopo aver valutato l'insieme. E mi spiace perché l'imperfezione giudiziaria rimarrà alta anche in un futuro in cui, a causa dei continui cambi di rotta dei periti, nessun giudice terrà mai nel debito conto queste giuste parole: "Io punto pesantemente il dito contro alcuni consulenti di parte, sulla valenza che i consulenti di parte hanno nel procedimento. Stranamente i consulenti di parte dell'accusa sono sempre forieri di verità mentre i consulenti di parte della difesa sono sempre dei mestatori nel torbido, indipendentemente dalla valenza e da quello che dicono nei confronti, sia del magistrato, che dell'opinione pubblica". Queste parole, giusto per fare informazione, le pronunciò nel 2002 lo stesso professor Francesco Introna che ora, da perito di parte che ha collaborato con fervore con l'accusa, se non a volte sostituendosi alla stessa, parla sui giornali, non l'avesse fatto non sarebbe nato questo articolo, di capisaldi che inchiodano il Parolisi e lo fanno l'assassino della moglie anche agli occhi della buona fetta di opinione pubblica che al professore crede perché lo stima.
Da Francesco Introna, quindi, semmai volesse darci risposta, ci piacerebbe sapere in che modo scientifico è riuscito a trovare i capisaldi che altri non hanno notato. E visto che ci siamo, avremmo altre domande da porgli. Ad esempio, cosa ne pensa del fatto certo che sulle mani del Parolisi non vi fossero ferite da taglio? Lui sa bene che un coltello come quello che ha colpito Melania non può non lasciarne. Lo ha affermato anche a Perugia parlando delle ferite su una mano di Rudy Guede, quando disse: "...le mani di Rudy Guede presentavano dei segni in avanzatissima fase di riepitilizzazione guarigione di piccolissime escoriazioni che erano presenti in corrispondenza del mignolo della mano destra, della seconda falange del medio della mano destra, seconda falange del dito medio della mano destra e palmo della mano destra, tutte lesioni che potevano essere state causate dalla irregolarità che sono presenti sui bordi di un coltello tipo questo, non questo tipo questo, con una lama leggermente più ampia, un coltello multiuso, non per forza di tipo svizzero, che presentasse delle irregolarità su un margine e sull’altro, perché nel momento in cui veniva sferrato nella maniera impugnata dall’aggressore il colpo, è ovvio che l’aggressore il coltello lo serra e serrandolo può anche provocarsi delle piccole escoriazioni proprio in corrispondenza del palmo della mano destra dell’aggressore". Volendo fare le pulci all'ultima giusta affermazione generalizzata fatta dal professore - "...è ovvio che l'aggressore il coltello lo serra e serrandolo può anche provocarsi delle piccole escoriazioni..." - e compararla al modus operandi usato al chiosco di Ripe, si deve dire che nella ricostruzione del professor Introna Meredith Kercher fu pugnalata un paio di volte da un coltello multiuso come quello che avrebbe usato il Parolisi, mentre Melania Rea venne attinta addirittura da 23 colpi, fra l'altro in buona parte sferrati sul giubbotto e non sulla pelle scoperta. Per cui la domanda è:
In poche parole, per i consulenti dei Rea mentre la moglie esalava l'ultimo respiro il marito o la baciava o le stringeva la mano sul volto. Se non scrivo che sono ipotesi ridicole è solo per il rispetto che porto alle persone coinvolte, ma qualcuno deve dirlo che le parole dell'avvocato Gionni sono assolutamente illogiche. Quando il legale le pronunciava di fronte a giornalisti e telecamere, noi in realtà non sapevamo nulla (solo quanto fattoci sapere), ma lui le foto scattate il giorno del ritrovamento le aveva viste e sapeva. In quelle foto aveva anche notato che il volto di Melania non era intonso, pulito come ci volevano far credere (solo se visto da lontano poteva apparire pulito), ma era imbrattato da quattro rivoli ematici larghi almeno mezzo centimetro l'uno e da innumerevoli gocce di sangue tondeggianti. Per cui aveva già anche visto che tre dei quattro rivoli di sangue si appoggiavano sulle labbra di Melania, sia sulla superiore che sull'inferiore, rendendo perciò impossibile un bacio che non lasciasse l'impronta di altre labbra sul sangue. Inoltre a morte avvenuta o quasi, il Parolisi non poteva essere accanto chiosco a baciare la moglie, in quanto non avrebbe raggiunto in tempo utile il pianoro di San Marco.
Ma anche una mano sul volto a chiudere la bocca, seppure per il professor Introna questo sia un caposaldo dell'accusa al posto dell'inverosimile bacio della morte, è un'eventualità impossibile da credere e accettare. Ci fosse stata davvero una mano premuta sul viso per non far gridare Melania, gocce tondeggianti su una buona parte di pelle non si potevano trovare, visto che sarebbero finite sul dorso della mano dell'aggressore. Non si può non concordare su questo come non si può non concordare sul fatto che se anche l'azione si fosse messa in atto solo inizialmente, al momento dei primi colpi inferti al collo, il dna sarebbe svanito in ogni punto, anche dai denti e non solo sulla pelle del volto (volto che fra l'altro non avrebbe presentato un trucco intatto se bloccato e strisciato da una mano estranea). Questo perché l'azione omicida ha necessitato di tempo e perché Melania è morta dopo venti minuti di agonia. Insomma, alla fin fine a noi i capisaldi portati ai giudici paiono essere capi trottola privi di ogni veritiero riscontro scientifico e logico. E ci spiace li abbia portati, e soprattutto che li abbia sottolineati sui giornali, proprio il professor Introna, persona stimabile, perché autorizzano a rivedere la funzione dei periti di parte. Non persone che operano alla ricerca della verità che può scagionare o carcerare un imputato, ma professionisti che si insinuano nei vuoti procedurali e usano un elastico comparativo, allungandolo o restringendolo in base alla bisogna del proprio cliente, per imporre la sola verità desiderata che potrebbe essere diversa da quella vera.
Questo non dovrebbe esistere, perché in tribunale si dovrebbe remare dalla stessa parte e tutti i periti dovrebbero cooperare nella ricerca della verità, qualunque essa sia, e non assecondare i propri clienti usando l'elastico del dubbio scientifico, che mai mancherà, per far marcire in carcere chi si crede colpevole senza averne le prove. Troppo facile lavarsi la coscienza col pensiero che non sono i periti a condannare, ma sarà poi un giudice a sentenziare dopo aver valutato l'insieme. E mi spiace perché l'imperfezione giudiziaria rimarrà alta anche in un futuro in cui, a causa dei continui cambi di rotta dei periti, nessun giudice terrà mai nel debito conto queste giuste parole: "Io punto pesantemente il dito contro alcuni consulenti di parte, sulla valenza che i consulenti di parte hanno nel procedimento. Stranamente i consulenti di parte dell'accusa sono sempre forieri di verità mentre i consulenti di parte della difesa sono sempre dei mestatori nel torbido, indipendentemente dalla valenza e da quello che dicono nei confronti, sia del magistrato, che dell'opinione pubblica". Queste parole, giusto per fare informazione, le pronunciò nel 2002 lo stesso professor Francesco Introna che ora, da perito di parte che ha collaborato con fervore con l'accusa, se non a volte sostituendosi alla stessa, parla sui giornali, non l'avesse fatto non sarebbe nato questo articolo, di capisaldi che inchiodano il Parolisi e lo fanno l'assassino della moglie anche agli occhi della buona fetta di opinione pubblica che al professore crede perché lo stima.
Da Francesco Introna, quindi, semmai volesse darci risposta, ci piacerebbe sapere in che modo scientifico è riuscito a trovare i capisaldi che altri non hanno notato. E visto che ci siamo, avremmo altre domande da porgli. Ad esempio, cosa ne pensa del fatto certo che sulle mani del Parolisi non vi fossero ferite da taglio? Lui sa bene che un coltello come quello che ha colpito Melania non può non lasciarne. Lo ha affermato anche a Perugia parlando delle ferite su una mano di Rudy Guede, quando disse: "...le mani di Rudy Guede presentavano dei segni in avanzatissima fase di riepitilizzazione guarigione di piccolissime escoriazioni che erano presenti in corrispondenza del mignolo della mano destra, della seconda falange del medio della mano destra, seconda falange del dito medio della mano destra e palmo della mano destra, tutte lesioni che potevano essere state causate dalla irregolarità che sono presenti sui bordi di un coltello tipo questo, non questo tipo questo, con una lama leggermente più ampia, un coltello multiuso, non per forza di tipo svizzero, che presentasse delle irregolarità su un margine e sull’altro, perché nel momento in cui veniva sferrato nella maniera impugnata dall’aggressore il colpo, è ovvio che l’aggressore il coltello lo serra e serrandolo può anche provocarsi delle piccole escoriazioni proprio in corrispondenza del palmo della mano destra dell’aggressore". Volendo fare le pulci all'ultima giusta affermazione generalizzata fatta dal professore - "...è ovvio che l'aggressore il coltello lo serra e serrandolo può anche provocarsi delle piccole escoriazioni..." - e compararla al modus operandi usato al chiosco di Ripe, si deve dire che nella ricostruzione del professor Introna Meredith Kercher fu pugnalata un paio di volte da un coltello multiuso come quello che avrebbe usato il Parolisi, mentre Melania Rea venne attinta addirittura da 23 colpi, fra l'altro in buona parte sferrati sul giubbotto e non sulla pelle scoperta. Per cui la domanda è:
"Possibile che a coltello similare, un paio di colpi abbiano lasciato tante ovvie escoriazioni su una mano di Rudy Guede, mentre i 23 colpi sferrati contro Melania non abbiano lasciato alcuna ovvia ferita su quella del Parolisi?"
Ma di domande a cui, sempre volendo, chiediamo risposta, ce ne sono tante altre in questo strabiliante caso in cui una parte, i consulenti dei Rea, interpreta la scienza in un modo mentre l'altra, i consulenti del Parolisi, la interpreta in un altro. Per risolvere i miei dubbi ho contattato chi ne capisce, perché opera nel settore, e gli ho chiesto di fare da giudice terzo e darmi alcune spiegazioni su quei particolari che non mi tornavano. Mi ha scritto:
Ma di domande a cui, sempre volendo, chiediamo risposta, ce ne sono tante altre in questo strabiliante caso in cui una parte, i consulenti dei Rea, interpreta la scienza in un modo mentre l'altra, i consulenti del Parolisi, la interpreta in un altro. Per risolvere i miei dubbi ho contattato chi ne capisce, perché opera nel settore, e gli ho chiesto di fare da giudice terzo e darmi alcune spiegazioni su quei particolari che non mi tornavano. Mi ha scritto:
- Se le scienze forensiche esistono c'è un motivo. E se esistono e vengono usate da chi indaga e da chi deve giudicare, occorre tenerne conto e ragionare con quanto porta loro la ricerca che continuamente le aggiorna e le migliora. Alcune sono ancora agli esordi, per questo poco applicate, altre confermano o negano un sospetto o uno o più indizi pesanti emersi durante le indagini. Il problema, dunque, nasce in quelle occasioni in cui i sospetti e gli indizi appaiono double face, collocabili quindi sia a favore che contro l'indagato. Ad esempio: è un fatto assodato che sotto le unghie e sui polpastrelli di Melania Rea vi fosse del dna estraneo sia a lei che al marito. Dna di appartenenza maggiormente maschile (di più soggetti) ma anche femminile (uno subungueale). Ora si deve sapere che il dna subungueale viene riscontrato in seguito a:
a. Aggressioni in cui la vittima ha graffiato l'aggressore
b. Quando l'aggressore ha penetrato la vittima. In questo caso è sotto le sue unghie, non in quelle del cadavere, che il dna della vittima viene riscontrato.
c. In soggetti che abitualmente vivono a stretto contatto (marito - mogli - figli)
c. In soggetti che abitualmente vivono a stretto contatto (marito - mogli - figli)
Questo per il subungueale. Per quanto attiene invece il dna epiteliale, per trasferirlo dal soggetto A al soggetto B occorre uno stropicciamento pelle a pelle che duri un minimo di 60 secondi: ed anche in questi casi non si sarà certi di averne lasciato, dato che dopo un simile contatto solo la metà dei soggetti campionati testano positivi al dna estraneo - qualunque esperimento simulato in laboratorio per provare i tempi e le modalità del trasferimento di cellule epiteliali prevede un contatto tra soggetti, o tra soggetto e oggetto, di minimo 60 secondi (riferimenti si trovano nei paragrafi sull'handshake in Assessment of DNA transfer Involving Routine Human Behavior, S. Kelley 2010). Ma facciamo un passo indietro per sapere quanto persista il dna subungueale dopo un graffio profondo. Molti, forse la maggioranza dell'opinione pubblica, pensano che nella realtà le cose funzionino come in televisione e forti di serie televisive di successo, da CSI a Law and Order e chissà che altro, ritengono che basti testare sotto una qualunque unghia o su un qualunque polpastrello di una vittima, anche deceduta presumibilmente 72 ore prima dell'autopsia, per far apparire il dna della vecchia stretta di mano. Peccato però che le cose non funzionino così, peccato che l'acqua e il sapone sul dna estraneo, anche quello presente sotto le unghie, abbiano un effetto killer: una semplice lavata di mani e via, il dna scompare.
Ed ora parliamo degli otto campioni polpastrello della vittima risultati positivi al dna maschile di tre sconosciuti. Stando alla ricostruzione dell'accusa, l'ultimo uomo che non fosse il marito a cui Melania avrebbe potuto in teoria stropicciare le mani per sessanta secondi minimo, può essere collocato nella mattinata del 18 aprile. Ma la donna era anche madre e moglie, ed è difficile credere che prima di mettere le mani sugli alimenti della figlia non se le sia sia lavate. Come è difficile credere che non abbia lavato il sederino alla bambina dopo averle fatto fare la cacca o che non abbia messo le mani sotto l'acqua del rubinetto quando ha preparato il caffè (sempre lo abbia preparato e bevuto a casa) o ha lavato la tazzina. Quindi acqua e sapone, sia per unghie che per polpastrelli, o anche solo una salvietta inumidita, come minimo per i polpastrelli, sarebbero bastati ad eliminare le tracce di dna epiteliale sulle sue dita. Per cui, considerando che nella ricostruzione dei pubblici ministeri non si parla di altri incontri avvenuti nel pomeriggio, si può pensare che il dna rimasto sui polpastrelli della vittima derivi da un contatto con oggetti, tipo telefoni e altre cose toccate dopo aver lavato il sederino della figlia (alle 13.35 Melania era in bagno). Per esempio la cornetta del telefono usato per parlare con la mamma, la maniglia della portiera della macchina e i suoi stessi jeans! Ma qui sorgono altri problemi. Sul telefono di casa, tenuto in mano per parecchi minuti, di certo c'erano i dna suo e di suo marito. Nei jeans, che avrebbe slacciato e calato da sola, dna estranei a lei dovevano essercene. In maggioranza, però, riferibili a chi le viveva accanto e accanto a lei aveva trascorso quella giornata, quindi al marito e alla figlia. Perciò non è possibile pensare che le cose siano andate per come ritiene l'accusa, cioè che il dna sotto unghie e polpastrelli sia da riferire ad un lasso temporale che parte dalla mattina e arriva fino al momento in cui avrebbe toccato quei jeans per calarseli (più i collant e le mutandine), perché non è plausibile giustificare l'assenza di dna riferibile a figlia e marito proprio sui polpastrelli. Tali tracce, infatti, essendo per il pubblico ministero il marito e la figlia le ultime persone che ha avuto accanto, dovevano esserci ma non c'erano. Mentre ce n'erano altre non riferibili né alla figlia né al marito che, visto che per gli inquirenti nessun'altro è stato accanto alla donna in quel pomeriggio, non dovevano esserci.
Però, basandosi su ricerche scientifiche (una ad esempio è stata pubblicata nel giugno del 2012 da Forensic Science International: ... the incidence of foreign DNA profiles beneath fingernails in the general populationis low but, when present, the majority is of limited significance and tends not to persist for an extensive period of time." M.Matte et al 2011), la non presenza del dna dei familiari sotto l'unghia e sui polpastrelli della vittima è facilmente spiegabile, dato che i tempi di persistenza dei dna subungueali sono veramente minimi (si parla di poche ore) e che il dna epiteliale al massimo resiste per 36 ore. Ciò che non è spiegabile, e servirebbe chiedersi il motivo vista l'ora e il giorno in cui l'accusa ha posizionato l'assassinio, non è dunque la mancanza del dna dei familiari, ma come sia possibile che sui polpastrelli e sotto un'unghia della vittima si sia trovato del dna a distanza di oltre 72 ore dalla morte. Ovvero il fatto di averlo trovato può indicare che il marito e la figlia non sono state le ultime persone ad incontrare Melania. Quindi la presenza di dna sui polpastrelli e sotto un'unghia della vittima, dovrebbe provare che quei dna estranei si sono depositati sui polpastrelli e sotto l'unghia parecchie ore dopo l'ultimo contatto tra Melania Rea e Salvatore Parolisi. Questo perché i coniugi vivevano insieme e perché in casa e in macchina, se anche non si fossero toccati, prendendo in mano gli oggetti comuni (telefono, telecomando, maniglia, tastiera del computer, giochi della bimba e tanto altro), la moglie avrebbe comunque raccolto sui suoi polpastrelli il dna del marito. Lo confermano diverse ricerche, una è: The prevalence of mixed DNA profiles in fingernail samples taken from couples who co-habit using autosomal and Y-STRs, S.Malsom et al 2009. In conclusione, l'abbondanza di dna estraneo alla famiglia riscontrata sui polpastrelli e sotto le unghie della vittima, porta ad allontanare i sospetti dal marito e a chiedere verifiche migliori sull'orario dell'aggressione, in quanto quella presenza di dna non è spiegabile se rapportata a un lasso di tempo che si basa su una morte avvenuta nel pomeriggio del 18 aprile e una autopsia iniziata a 72 di distanza -.
Da quanto sopra scrittomi nascono le ultime domande a cui ci attendiamo risposta dal professor Introna:
"Come sono spiegabili quei dna rinvenuti in sede di autopsia sotto un'unghia e sui polpastrelli?"
"Come è spiegabile la totale assenza del dna di Salvatore Parolisi e di sua figlia Vittoria sotto le unghie o sui polpastrelli di Melania Rea, quando più di un articolo, studio o testo pubblicato negli ultimi quattro anni, ovvero di recente, sottolinea la normalità della presenza di dna di familiari sotto le unghie delle vittime a seguito del contatto diretto ed indiretto (tramite oggetti comuni) tra costoro in situazioni coabitative?"
"Se su 30 volontari sottoposti a uno studio controllato, in cui tamponi subungueali sono stati prelevati ed analizzati in seguito a graffi profondi su altri volontari, solo 1 (uno) ha testato positivo a dna estraneo dopo 6 (sei) ore dal graffio, a che ora di quale giorno ed in quale contesto specifico il dna subungueale rilevato sul cadavere di Melania Rea sarebbe stato depositato?" (ref. Matte et al 2012)
"I ricercatori che pubblicano i loro studi su riviste scientifiche sono inattendibili e per questo non vengono tenuti in considerazione da chi opera sul campo? Quindi sarebbe meglio far loro cambiare lavoro?"
Scusandomi per la vena polemica con cui ho scritto l'articolo, non sono riuscito a far diversamente, e specificando che è nato sia a causa di interviste apparse sui media, sia perché nessun giornalista ha finora chiesto spiegazioni per soddisfare le domande che tante persone dubbiose si sono poste dopo la condanna di Salvatore Parolisi (in Italia si preferisce l'ipocrisia e non si usa aiutare chi si stima tramite la critica costruttiva), persone che hanno il diritto di avere delle risposte, mi auguro (ci auguriamo) di ricevere dal professor Introna dei riscontri esaurienti che confermino le sue conclusioni e neghino le nostre (il tempo per leggerle attentamente lo troveremo), e non le solite quattro righe, che usa postare chi non sa cosa dire, in cui sta scritto, giusto per non rispondere e liquidare l'interlocutore scomodo, che non essendo noi specialisti non abbiamo le conoscenze per capire.
L'italiano se è scritto in italiano noi lo capiamo molto bene.
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«Meno recenti ‹Vecchi 201 – 204 di 204Io non sono un'esperta forense mi limito alla logica,la Rea per i medici legali è deceduta nella prima fase digestiva e dopo meno di un'ora aver assunto un caffè,la Poggi lo sapete che contenuto gastrico aveva?se ce l'aveva?è stata per ore a testa in giù per questo dicono è difficile stabilire un range anche da altri parametri,se dal contenuto gastrico non si può stabilire l'ora del decesso lo dovete dire ad Introna,ma anche allo stesso Bruno perchè lui non contestava i parametri di Tagliabracci sulla digestione e sulla metabolizzazione,solo diceva di non sapere quando la Rea avesse e cosa avesse mangiato a casa,in poche parole se si trattava di quel pasto o di quel caffè,poi l'entomologo stabilisce la data e la morte prima del tramonto e il gioco è fatto,pensare che questi si siano collusi contro parolisi è fantascientifico.
E anche se la Poggi fosse deceduta nella prima fase digestiva non vi è una testimonianza su quando e come quella mattina abbia fatto colazione,mentre la Rea alle 13 e 30 aveva già mangiato.
Sono finalmente apparse le motivazioni relative alla condanna di Parolisi in appello. Io non ho trovato l 'intere motivazioni ma alcuni stralci da cui si evince che in appello sono state completamente ritenute non valide le conclusioni della Tommolini e viene dato tutto un altro film. Non viene indicato come e quando è' avvenuto il depistaggio ecc. ecc.
Alex
Sono finalmente apparse le motivazioni relative alla condanna di Parolisi in appello. Io non ho trovato l 'intere motivazioni ma alcuni stralci da cui si evince che in appello sono state completamente ritenute non valide le conclusioni della Tommolini e viene dato tutto un altro film. Non viene indicato come e quando è' avvenuto il depistaggio ecc. ecc.
Alex
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