lunedì 24 ottobre 2011

Marco Simoncelli. Diobo' Sic, perché non l'hai lasciata andare sul prato?


Marco Simoncelli, da Coriano, non avrebbe voluto si scrivessero tante parole su di lui. Non avrebbe voluto vederci piangere. No, la sua idea di vita era un'altra, ed era forse quella giusta. Non cedere mai, non lasciare mai la moto se c'è speranza di rimettersi diritti, non perdere posizioni e cercare sempre di arrivare, magari primo, non ti incazzare se non serve e lascia fare, prima o poi... se no pazienza, "diobo' ragazzi, è andata così, ci rifaremo la prossima volta". Ma non sempre era andata così. Ce l'aveva fatta il Sic, se l'era sudata ma c'era arrivato nell'elite della moto. Quest'anno ne guidava una delle migliori e fra un anno sarebbe stata ancora più buona, buona per andare a prendere chi gli stava davanti... ed erano un paio (ma non sempre erano migliori). Il Sic sapeva di poterlo vincere un mondiale, forse gli sarebbe servito un anno, forse due, ma s'era temprato ormai ed i rimproveri degli altri non lo avevano intimidito; anzi, a chi lo aveva ripreso per la sua aggressività era giunta facile e spontanea una risposta secca: "Fatemi arrestare se sono aggressivo". Cosa aggiungere di lui pilota? Che da sempre amava correre? Scontato. Che la famiglia condivideva la sua passione? Che non c'era un altro ragazzo particolare come lui?

Con quei ricci che lo facevano sudare e con quel sorriso che pareva prendere in giro la paura era particolare, è vero, ma non lo era solo in pista. Il Sic si chiamava Marco, e Marco non sempre era in moto. Nei momenti in cui si trovava a casa era un ragazzone identico ai nostri ragazzoni. Un coccolone che pretendeva baci e carezze e regalava baci e carezze. Fino a pochi anni fa, quando i circuiti erano chiusi per festa, non lo vedevi in giro per Coriano prima delle 11 di mattina. Voleva riposare, la scusa, voleva accoccolarsi sul lettone con la mamma e la sorellina, la verità. Era un ragazzo semplice Marco, semplice come la fidanzata che s'era innamorata di lui, quella bella ragazza di nome Kate che da tanti anni lo seguiva per amore, quella bella ragazza che tutti abbiamo visto piangere un istante dopo lo scontro. Aveva capito che il suo Marco non l'avrebbe più baciata. Come lei aveva capito anche il padre che, inquadrato nel suo composto dolore, mostrava il volto cereo. Ma il dolore più grande, pur se ancora lo nasconde dietro le parole dette tante volte dal figlio, è per certo di sua madre che lo ha visto morire in diretta, in uno schermo televisivo di una domenica autunnale calda ed assolata.

Una madre che non vuole ancora piangere perché piangere vorrebbe dire accettare la realtà, vorrebbe dire aspettare un aereo con dentro una bara, non un figlio che torna dopo una gara. Però piangerà, non appena si troverà di fronte a Paolo, suo marito, capirà e piangerà. Ma il dolore forse maggiore, ora grande ma presto immenso, sarà quello che dovrà superare Martina, la sua sorellina di 13 anni, la sua coccolona preferita che non appena visto l'incidente s'è chiusa in camera a piangere ed a pregare. Non sarà facile elaborare un lutto del genere, né per lei né per la madre né per il padre né per la "morosa", come Marco chiamava Kate. Ora tutto il paese si è stretto attorno alla famiglia, basti pensare che nemmeno venti minuti dopo l'incidente i carabinieri erano già alla villetta dei Simoncelli (e la madre è crollata sfinita fra le braccia di uno di loro) per evitare si accalcasse la ressa dei giornalisti e dei curiosi, basti pensare che domenica Coriano era muta come la più triste delle città fantasma.

Per capire cosa sia significato perdere il SuperSic basti pensare alle tante persone che si sono fermate a pregare sotto gli striscioni con su stampato il 58 ed il volto di Marco sorridente, quegli striscioni appesi in ogni angolo del suo paese. E credetemi perché li ho visti con i miei occhi piangere e pregare. Per capire basti pensare che i prossimi mercoledì e giovedì la cittadina romagnola chiuderà per lutto, e sarà un lutto vero, un lutto che continuerà anche nelle giornate di festa, non un minuto di silenzio. Marco alle 6 di questa mattina è arrivato all'aeroporto di Fiumicino, a Roma. Praticamente è già fra noi. Ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio per l'Italia c'erano il papà Paolo, la fidanzata e Valentino Rossi. Se non ci saranno intoppi burocratici alle 15.00 sarà a casa sua, in camera sua, e tutta la famiglia gli si stringerà attorno in una lunghissima preghiera di addio. Mercoledì andrà al Teatro Comunale ad incontrare chi gli ha voluto bene, chi volesse avere da lui un ultimo saluto. Giovedì il funerale e l'addio finale. Da Venerdì niente e nessuno potrà ridarci Marco, il Sic, e niente e nessuno prenderà il suo posto perché un angolo della nostra mente sarà suo. Io l'ho già preparato, lo metterò accanto ad un altro Marco, al Pirata.

Il ragazzo della porta accanto se n'è andato per sempre, con la sua esuberanza, con la sua semplicità, ma come capita quando ci sono ragazzi così non si è portato via niente, ha lasciato tutto nei nostri cuori tanto che se ci venisse voglia di fare un sorriso ci basterebbe chiudere gli occhi per rivedere il suo inconfondibile volto. Ci basterebbe chiudere gli occhi per risentire la sua inconfondibile voce. So che da romagnolo Marco non vorrebbe fossimo tristi, per questo finisco inserendo una barzelletta. La barzelletta di Calleghan, uno che non era come lui ma uno "sborone" (parola di uso comune in Romagna per indicare chi si crede d'essere migliore di tutti) che parlava e si congratulava con sé stesso per ciò che aveva e che gli altri non avevano.



Ciao Sic, so che non mollerai mai. Quando sarai su, nell'infinito, aiuta il cognato di Calleghan, strappagli un sorriso e fagli credere che siamo tutti come te, tutti ragazzi qualunque che non mollano mai, tutti ragazzi da amare. E perdonaci se il pensarti ora ci bagna le guance... ci proviamo a non esser tristi, ma non è facile.


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6 commenti:

Anonimo ha detto...

Giuro che io,essendo poco avvezza al mondo delle moto,non conoscevo Marco Simoncelli.Solo di nome.Lo sentivo quando era mio marito aseguire le gare.Stasera me lo hai fatto conoscere tu,Massimo.Grazie.

Bea.

Anonimo ha detto...

Grazie Massimo per aver trovato le parole..Parole che io ho cercato invano di comunicare a mio figlio, in lacrime davanti alla TV.

Pamba

nico ha detto...

La tristezza é così grande, e penso a una bimba di 13 anni che scappa in camera per fuggire dall'orrore, che prega e forse con la purezza dei suoi anni chiede un miracolo che non c'é stato. Nessuna consolazione é possibile ora, eppure parole come le tue Massimo saranno un balsamo; forse non ora, perché ci vuole tempo. Ma proprio come scrisse un poeta ''quando il vaso pare trabocchi, piano piano il dolore si trasforma in amore''.
grazie

Anonimo ha detto...

Ciao Massimo, ti leggo da un po' complimenti un articolo bellissimo....
Sara

Marco ha detto...

Belle parole, bravo Massimo.
Mi riesce ancora difficile credere che non ci sia più. Assurdo.

Luca ha detto...

perché ,mi domando perché ,ci portano via ,le persone che ci insegnano a vivere e ci fanno felici ,abbiamo perso tutti, abbiamo perso una persona speciale

Luca