domenica 9 ottobre 2016

I servi del potere lodano la giustizia da operetta. Della serie: come far credere al popolo che il capo ha sempre e comunque ragione...

L’azzeccagarbugli manzoniano e il moderno leguleio che ti spacca il capello in quattro con quei formalismi che vanno alla radice usando un po’ il rasoio di Occam e un po’ il sapone di Marsiglia

Di Gilberto Migliorini

Il moderno leguleio è quello a destra
Nel celeberrimo racconto a più dimensioni - Flatland (1884) - scritto dal reverendo Edwin Abbott Abbott, l’abitante di un ipotetico universo bidimensionale entra in contatto con quello di un universo tridimensionale. Si tratta di un testo sui generis, al di là del suo carattere fantascientifico, di una satira della società vittoriana. Gli abitanti di Flatlandia sono figure geometriche. Dal numero dei lati si evince l’importanza e l’autorità dei cittadini poligonali. In particolare l’apertura angolare denota il grado di intelligenza, o meglio lo status, in una gerarchia che va dalle donne (triangoli con un angolo così stretto - quasi zero - da sembrare segmenti) fino ai sacerdoti con un tale numero di lati da apparire circoli quasi perfetti. Una società insomma divisa in classi in una gerarchia pressoché rigida con scarsa mobilità, ma con una sua bellezza ‘compositiva’. Un collage di figure sul piano illimitato di una geometria elementare, senza convessità e concavità, ma con tutte le caratteristiche emblematiche e le idiosincrasie del nostro mondo euclideo. Il sottotitolo – racconto a più dimensioni – rappresenta per l’autore la polemica contro il conformismo della società dell’epoca attraverso l’immagine delle nuove realtà a più di tre dimensioni che si affacciavano con la matematica di Bernhard Riemann e delle geometrie non euclidee bollate dal personaggio della sfera tridimensionale come inverosimili e non ortodosse. Insomma, una critica dell’esistente attraverso un flashforward prospettico e il contrasto con l’esistente.

Qualcuno ha visto in Flatland la prima forma di distopia letteraria che precede romanzi del '900 come R.U.R, Noi, Brave New World, Nineteen Eigthy Four. Ma anche il nostro Manzoni nei Promessi Sposi accenna con quella figura dell’azzeccagarbugli a una sorta di prototipo o di idealtipo di un certo giurista che di fatto anticipa il carattere deformato e deformante di tanta giustizia da operetta, con tutte le sue civetterie, ampollosità e ridondanze sotto vuoto spinto. Per i non sensi di tante sentenze passate in giudicato c’è solo l’imbarazzo della scelta. Le metafore letterarie a quello servono, a produrre immagini di sintesi: più efficienti di un saggio sul codice giustinianeo o di una dissertazione sull'uso del Dna in ambito giudiziario, il passepartout per ogni evenienza e per tutti gli usi. 

Il personaggio manzoniano delinea, in forma grottesca e parodistica, una mentalità e un modo di pensare tipico di una società dei formalismi, degli opportunismi e delle reticenze. Una società che richiama il mondo piatto di Abbott con tutte le sue gerarchie, una società che dietro l’apparenza ordinata e geometrica è un coacervo di pregiudizi e meschinità, di opportunismi e di menzogne.

L’azzeccagarbugli manzoniano è qualcosa di più di una macchietta. Non è soltanto un idealtipo in negativo o un prototipo caricaturale, rappresenta una linea di tendenza e un modello oggi più attuale di quel seicento di un’Italia sotto la dominazione spagnola, più vicino alla temperie romantica dell’edizione del Fermo e Lucia quando, però, il leguleio aveva ancora se non proprio uno spessore morale almeno l’abito di convenienza dell’apparire e conservava una dignità di facciata. Oggi anche l’ultima barriera può dirsi superata, anche perché il pubblico non è più quello del teatro dell’opera ma è quello degli spalti allo stadio. L’azzeccagarbugli attuale può tranquillamente e bellamente mostrarsi per quello che è, non deve neppure più indossare la toga... non un lupo vestito da agnello ma un licantropo che non ha bisogno degli orpelli di scena.

Oggi nel Bel Paese si enfatizza il testo costituzionale come frame entro il quale il diritto trova punti di riferimento precisi e offre garanzie al moderno poligono indipendentemente dalla apertura angolare in un sistema legislativo ‘democratico’. Sembra che a prescindere dal numero dei lati siamo tutti uguali, come recita lo slogan che ci rende persuasi di vivere nel sistema della divisione dei poteri e del controllo dal basso: la legge è uguale per tutti. Con tale premessa perfino un muratore e la ieratica casta sacerdotale sarebbero posti sullo stesso piano, proprio come nel mondo piatto di Flatlandia... ma là solo per forza della geometria piana e non per un formale egualitarismo costituzionale. Nel Bel Paese del 2016 ci sentiamo del tutto tranquilli e persuasi che perfino il gentil sesso (quello delle contadine, casalinghe e disoccupate) è adeguatamente tutelato allo stesso modo di Madame de Pompadour… 

I riferimenti angolari e la conta dei lati qui da noi hanno solo valore statistico e servono magari per una profilazione utente... tutt'al più per un catalogo dei premi fedeltà. Siamo il paese dei glossatori della scuola di Bologna, gli riscopritori del codice giustinianeo, delle pandette e del digesto, con un novello Irnerio dalla propensione alle sentenze immaginifiche.

Esiste quell'ermeneutica giuridica, la ricetta che ciascuno modifica quanto basta per trasformarla in un trompe l’oeil, in un quadro sinottico riepilogativo. Le costituzioni a quello servono, a dare consistenza di realtà a tutto quello che è in nuce, abbozzato e latente. Ovvio che poi un testo-cornice, che la Carta (o il menù?) vada adeguatamente interpretato e contestualizzato e talvolta perfino ‘aggiornato’: adeguato ai nuovi tempi. Chi sia l’interprete però non si sa mai bene. Sarà il cittadino poligonale con la sua ampiezza angolare, il referente che dovrebbe trovare lumi e conforto nella carta dei diritti e doveri o la casta sacerdotale, quella dei cerchi e degli ovali come in Flatland? Nell'incertezza ci sono i legulei al servizio dei potenti che sdrammatizzano tutto in questioni di lana caprina e in quattro e quattr'otto ti scodellano giudizi virtualmente ineccepibili corredati di tutto punto di note a piè di pagina e con l’apparato di lemmi, citazioni e locuzioni… con tutto l’armamentario di pseudo sillogismi e paralogismi conditi con articoli di legge.

Ma non è solo una questione di interpretazione. L’azzeccagarbugli manzoniano è, tutto sommato, ancora e soltanto un uomo potenzialmente impaurito dal potere, un servo che suo malgrado deve servire i potenti e non ancora l’intellettuale organico, non il supporto programmato e l’eminenza grigia del potente.

L’azzeccagarbugli manzoniano è pateticamente spaventato. E' un servitore ancora improvvisato del potere, senza credenziali e senza vantaggi se non quelli di sopravvivere come leguleio pedante e cavilloso, avvocato delle cause perse, pavido e avvinazzato. Nell'azzeccagarbugli permane ancora, nonostante una professionalità approssimativa e la dubbia onestà, quel timore del potente che lo qualifica comunque come non inquadrato nel sistema di palazzo, del tutto marginale rispetto a chi manovra per davvero nella ‘stanza dei bottoni’. L’azzeccagarbugli per antonomasia conserva insieme alla sua immagine di vigliacco e scorretto quella di un professionista che sopravvive galleggiando nella sua ignavia e nel suo opportunismo, un personaggio ancora scoordinato. Il potere seicentesco è talmente sopra le righe e sfrontato, senza timori di sorta, che non ha bisogno di zelanti servitori in pianta stabile, di valletti e comparse che avvicinino il popolano per decantare la "bravura" di chi comanda. In quel contesto l’azzeccagarbugli si trova ad essere tutt'al più un tirapiedi, uno zimbello e un sollazzo. Anche nelle dittature il leguleio fa comparsate da cicisbeo e zerbinotto, giusto per dare una patina di retorica alla figura del capo e il contentino al popolo bue.

Gli azzeccagarbugli di secoli fa sono niente a confronto del moderno leguleio che, imboccato dal potere, è ben attrezzato nello spaccare il capello in quattro usando la legge in tutti i suoi risvolti e le sue occorrenze, i suoi preamboli e i suoi cavilli, con quell'organico e articolato armamentario da glossatori del codice giustinianeo, codice di un apparato legislativo dove la latitudine interpretativa consente sempre di trovare le occorrenze adatte sic et non, dove non ci sono argomenti sostanziali: solo formali e accidentali. Lì si tratta di fare esercizio di inventio e di manipolazione usando l’equivoco, dove conviene la chiacchiera e dove serve le inossidabili figure retoriche con la classica citazione in latino... quando si è messi alle strette. Il deterrente è, per l’appunto, sempre e comunque la quadratura del cerchio, un po’ per fede e un po’ usando l’inossidabile grimaldello degli eufemismi, delle allusioni, delle endiadi, delle ellissi e degli immancabili anacoluti

L’evoluzione del moderno azzeccagarbugli ha allargato progressivamente la sua capacità angolare. Non più solo servitore occasionale e suo malgrado valletto del potere, ma elemento sistemico con un uso del diritto come strumento di consenso, collaboratore fidato e non più semplice fiancheggiatore. Il moderno azzeccagarbugli si è trasformato in elemento organico, articolazione necessaria nei rapporti di potere sempre più improntati alla mediazione, al compromesso e al patteggiamento. 

Ma è col rasoio di Occam (filosofo e frate francescano), principio alla base del pensiero scientifico moderno, che il leguleio fa un salto di qualità e si avventura dal digesto (la classificazione ordinata delle opere dei giuristi romani) e dal corpus iuris civilis all'argomentazione logica (la logica proposizionale diremmo oggi in chiave moderna con l’uso formale dei simboli) con la relativa sintassi. Le formulazioni che il rasoio concretizza con efficacia e buon senso (Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem; Pluralitas non est ponenda sine necessitate; Frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora) sembrano anacronistiche se raffrontate con la prolissità, l’arbitrarietà e l’inconcludenza di tante argomentazioni giuridiche dove la logica manca del tutto.

La patina di inferenza con la quale il leguleio riveste le sue argomentazioni rappresenta un salto di qualità. I giuristi romani, per quanto attrezzati di una retorica argomentativa, non si avventuravano mai in dissertazioni teorematiche, nei funambolismi intra e extra diegetici, nelle invenzioni narrative piene di quel pathos ed estro creativo che caratterizzano il moderno digesto narrativo. Rimanevano ancorati nello spirito pratico della civiltà romana senza voli pindarici e senza indulgere a una sorta di telenovela ante litteram.

Il nuovo modello del leguleio ha trasformato in profondità lo spirito del digesto, delle Istituzioni e del Codice in una sorta di diegesi cinematografica, in uno script corredato da immagini multimediali dove l’icona e il sonoro hanno assunto caratteri narrativi autonomi. Manca ancora il corredo del fumetto, ma con la nuova realtà virtuale è perfino possibile allegare l’immagine didascalica e il report, le nuove pandette (usus modernus pandettarum), in forma di fotogramma ad usum Delphini.

Certo, all’azzeccagarbugli up-to-date occorre l'aiuto di un buon lubrificante, proprio come un condom, che serva a penetrare in profondità nell’argomentazione. Senza andare a cercare chissà quale stratagemma, un buon sapone di Marsiglia o qualche aiutino oleoso possono fare all'uopo quando una diegesi zoppicante e incespicante, senza troppo nerbo, non vuol saperne di arrivare al punto e di stare né supina e né all'in piedi

È lì che il moderno azzeccagarbugli dimostra tutta la sua inventiva e la sua souplesse…

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3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ero convinto fosse quello/i dei voti sul lato sinistro

Manlio Tummolo ha detto...

Carissimo Gilberto,

approvo in pieno le tue considerazioni, come del resto potrai notare dal saggio che ho inviato e che per la sua "massa" richiede un po' di tempo per la pubblicazione. Non dico come la sentenza di II grado del caso Scazzi-Misseri, e relative "immotivazioni", ma... quasi. Il mondo giudiziario, nelle suie varie parti, è un mondo assai kafkiano anzi più kafkiano di Kafka. Ma, come ben indichi tu, è fondato sul principio della Forza materiale usata o subìta, poco importa. Carissimi saluti a te e a tutti, Manlio

Gilberto ha detto...

Carissimo Manlio, nel ringraziarti per l’apprezzamento sono ansioso di leggere il tuo saggio, sicuro che troverò conferma che seguendo percorsi magari un po’ diversi arriviamo al solito alle stesse conclusioni. Ciao Gilberto