domenica 24 gennaio 2016

I limiti strutturali del processo indiziario

Di Luca Cheli


La natura del processo indiziario nel diritto penale italiano ha origine nella distinzione tra “prova diretta o storica” e “indizio” in quanto elementi di prova.

Cercando di non complicare troppo le definizioni, a cui sono stati dedicati interi libri, la prova diretta o storica è la rappresentazione diretta del fatto da provare (tramite fotografia o testimonianza, per esempio), mentre l’indizio e un fatto (certo nella sua esistenza, almeno in teoria) dal quale può essere inferenzialmente dedotto il fatto da provare.

Anche la prova diretta non è automaticamente “verità sicura”, perché le testimonianze devono essere valutate nella loro credibilità e le fotografie (per esempio) nella loro autenticità.

Tuttavia, se tre persone vedono da pochi metri di distanza Tizio sparare a Caio e una delle tre persone riprende pure l’atto con il proprio smartphone, si può dire, una volta verificato che i testimoni non hanno motivo di mentire o di coalizzarsi contro Tizio e che il filmato ripreso non è stato alterato in qualche modo, che la colpevolezza di Tizio è provata oltre ogni ragionevole dubbio.

Se invece il teste Uno riferisce di dissapori tra Tizio e Caio, il teste Due di aver visto, poco prima del fatto, Tizio vicino alla zona dove Caio è stato ucciso ed il teste Tre di aver sentito una volta Tizio parlare di una vecchia pistola che suo nonno aveva sottratto ai tedeschi in ritirata durante la Seconda Guerra Mondiale, allora siamo in presenza di indizi.

Questo perché nessuna delle tre testimonianze è diretta rappresentazione del fatto da provare (che Tizio abbia sparato a Caio), ma ognuna riporta un fatto noto e certo (ma su questo torneremo), dal quale si potrebbe dedurre che Tizio abbia effettivamente sparato a Caio: perché ne aveva il movente (dissapori), il mezzo (pistola del nonno) e l’opportunità (è stato visto nelle vicinanze della zona del delitto poco prima che questo avvenisse).

In questo secondo caso il processo a Tizio per l’omicidio di Caio sarebbe un processo indiziario.

Ho volutamente presentato un caso di processo indiziario molto “semplice” che probabilmente farà propendere la maggioranza dei lettori per la “probabile” colpevolezza di Tizio. Ma persino così le cose non sono affatto “semplici”.

In effetti, cosa lega i tre fatti noti (forniti dai tre testimoni) al fatto ignoto da provare (Tizio ha o non ha sparato a Caio)?

Essenzialmente la nostra (del lettore o del giudice fa poca differenza) logica, ovvero il modo in cui la nostra mente ritiene che da certi fatti ne debbano, con maggior o minore probabilità, derivare degli altri.

Insomma molti di noi penseranno che se Tizio ce l’aveva con Caio, se aveva una pistola ed era pure stato visto vicino alla scena del crimine poco prima che lo stesso avvenisse... deve essere con ogni probabilità colpevole.

Il ragionamento costitutivo alla base del processo indiziario presenta una certa analogia con la formula che permette, nella geometria euclidea, di ottenere il valore di uno dei tre angoli interni di un triangolo conoscendo l’ampiezza degli altri due.

In questa analogia si potrebbe dire che la prova diretta è costituita dalla misurazione diretta dell’angolo di cui vogliamo conoscere l’ampiezza, mentre gli indizi sono costituiti dal valore dell’ampiezza degli altri due angoli interni del triangolo.

Ora, nella geometria euclidea i due modi di ottenere il valore di uno degli angoli interni sono equivalenti perché la somma dei tre vale sempre 180 gradi.

Abbiamo cioè una regola certa, sicura ed invariante.

Ma la realtà delle cose, degli eventi, della vita non fornisce mai la rassicurante certezza delle formule di Euclide.

E allora cosa succede?

Parlando con un linguaggio diverso e meno aulico rispetto a quello dei tomi di giurisprudenza, dirò che alla fine dei conti si va per “probabilità”, ma una probabilità non quantificata e ben difficilmente quantificabile: un “mi pare”, “mi sembra”, “credo”.

Ovviamente nelle motivazioni i giudici togati usano altre espressioni, ma chi ha letto qualche sentenza si ricorderà di espressioni quali “è ragionevole ritenere”, “risulta credibile”, “questo Giudice ritiene” e così via, che sostanzialmente sono la rappresentazione in termini “giuridicamente corretti” (e presentabili) delle valutazioni a spanna di cui sopra.

Perché, sia chiaro, i giudici professionisti conoscono senz’altro la procedura e gli aspetti tecnici del diritto meglio di un dilettante, quale l’autore del presente articolo, tuttavia, quando si tratta di applicare la “logica” in un processo indiziario alla fondamentale domanda “colpevole o innocente”, essi non hanno più strumenti del cittadino medio.

E d’altronde di cittadini medi è formata la maggioranza (6 su 8) dei membri delle Corti di Assise e di quelle di Appello del nostro Paese.

Non per caso, infatti, di “libero convincimento” del giudice parla il nostro ordinamento: per quanto possano essere nobili le origini storiche di quell’espressione, di fatto si parla sempre, in ultima analisi, di una convinzione soggettiva e individuale.

Infatti, cosa lega la pistola del nonno di Tizio, la presenza del medesimo nelle vicinanze della zona del crimine e i suoi dissidi con Caio all’omicidio di quest’ultimo?

Non c’è nessuna regola dei centottanta gradi, nessuna formula matematica: ci sono solo le nostre considerazioni su cosa riteniamo più o meno probabile o ragionevole.

La pistola del nonno potrebbe essere un ferrovecchio arrugginito ed inutilizzabile che Tizio non sa nemmeno più dove sia o che può aver buttato per inutilità dopo averne parlato al teste Tre svariati mesi (o anni) prima del delitto, la presenza di Tizio in prossimità del luogo del crimine una mera coincidenza e i dissapori con Caio la rappresentazione amplificata post omicidio di piccole beghe che ognuno di noi può avere.

Una certa linea di pensiero, molto sfortunatamente spesso in Italia fatta propria anche dalla Cassazione, sostiene che gli indizi vanno considerati globalmente, con l’implicito corollario che se anche ognuno di essi può essere spiegato diversamente, quando vengono considerati collettivamente allora assumono un valore probatorio non solo superiore ma addirittura determinante (in una delle peggiori sentenze recenti della Cassazione, questo processo è stato definito “valutazione osmotica”).

Con buona pace dei Soloni più o meno variamente togati ed imparruccati di questo mondo, per quanto la presenza di più indizi certamente rafforzi un possibile quadro accusatorio rispetto ad un numero inferiore dei medesimi, ciò che essi vanno a formare è una possibile rappresentazione degli eventi, mai l’unica e spesso neppure la più probabile.

Sì, certo, se a casa di Tizio dovesse essere trovata una Luger P08 la cui rigatura della canna coincide con i segni sulle pallottole estratte dal corpo di Caio, e magari pure un diario scritto di proprio pugno da Tizio in cui questi esprime il proprio odio per Caio e lo minaccia ripetutamente di morte, allora direi che la probabilità che Tizio sia colpevole è alta.

Ma quanto, in percentuale?

Ottanta, ottantacinque, novanta, novantacinque, novantanove per cento?

Come potrei quantificarla?

E se anche potessi quantificarla, quale sarebbe la “soglia” probabilistica oltre la quale sarebbe giusto condannare?

E se, come spesso succede con le perizie, quelle rigature sono solo compatibili con quelle sui proiettili?

E se Tizio avesse scritto frasi simili sul suo diario anni prima nei confronti di Sempronio e Calpurnia, senza mai aver poi fatto loro alcun male?

Quanto cambierebbero le mie probabilità?

Il punto fondamentale, alla fine di tutto, è che non abbiamo alcuna regola certa e matematica; pensiamo di avere una logica, ma anche questa, in ultima analisi, quanto si distingue dalle nostre sensazioni ed impressioni?

Un’ultima parola la riservo alle famigerate prove scientifiche, che dovrebbero quantomeno portare qualche saldo elemento numerico-quantitativo nella nebbia probabilistica (ma sarebbe meglio dire “possibilistica”, visto che si parla di probabilità non propriamente quantificabili).

Purtroppo, nella realtà delle perizie e consulenze tecniche come esse oggi sono in Italia, la prevalenza di espressioni qualitative quali “compatibilità”, “non incompatibilità”, nonché spesso “opinioni d’esperto” non suffragate da studi quantitativi, non fa che aggiungere altra foschia al già indistinguibile paesaggio della verità fattuale.

Gianrico Carofiglio, nella sua opera “L’arte del dubbio” definisce il risultato di un processo come “individuazione di verità accettabili nella prospettiva dell’adozione di decisioni preferibili”.

Verità accettabili, decisioni preferibili.

E’ un linguaggio che mi suona tremendamente “politico”.

Se dovessi decidere di condannare qualcuno a pene detentive, io vorrei avere verità certe e decisioni giuste, altrimenti non me la sentirei mai.

Ma certo capisco che se uno ragiona in termini di mantenimento dell’ordine nella società (e questo è un ragionamento politico), allora si può ambire a verità credibili per la società stessa e a decisioni preferibili per l’effetto che esse hanno sulla stabilità della società medesima.

Però sia chiaro che stiamo parlando di stabilità e controllo della società, non di giustizia per la vittima, per i famigliari, eccetera, eccetera.

Abbandoniamo quindi una certa retorica facile a sentirsi sui giornali e in TV e chiediamoci semplicemente se in realtà non abbiamo bisogno del processo indiziario per scopi di ordine sociale e quindi, in ultima analisi, di stabilità dello Stato.

Possiamo anche rispondere positivamente, ma a quel punto non stiamo più facendo giustizia, ma solo politica.



21 commenti:

Bruno ha detto...

Complimenti Luca per il tuo articolo.

Gilberto ha detto...

Caro Luca
Hai sviluppato un discorso chiaramente epistemologico, con un linguaggio immediato e sorretto da esemplificazioni semplici e intuitive, che coglie in profondità la natura problematica di qualunque teoria (o teorema), sia essa scientifica o riferita a un delitto. Il problema sull’indizio (ma anche la prova ‘scientifica’) rimanda appunto a dei criteri di verità sul piano logico e fattuale che comportano una riflessione sulla natura delle nostre conoscenze (certe, solo probabili o frutto di pregiudizio e pseudosillogismo?) Non sembra che attualmente chi giudica (un po’ a tutti i livelli) sia attrezzato con una solida formazione epistemologica. Sembra invece allettato da locuzioni come ‘convergenza degli indizi’, ‘prova scientifica’, ‘probabilità’, ‘compatibilità’… dietro le quali si nasconde un po’ il vuoto del preconcetto e dello stereotipo, e un po’ il nulla dell’inferenza induttiva.

Dudu' ha detto...

Complimenti Luca,
bell'articolo. Mi sbaglierò , ultimamente si stanno riaprendo diversi casi irrisolti, alcuni sono oramai reperti antichi della memoria, o revisioni di processi. Si sbandierano indizi di qua, indizi di là; a me fà una certa impressione. Eclatante e a titolo dimostrativo gli indizi che vennero "trovati" su Filippo Pappalardo, se quel tredicenne non fosse caduto nel pozzo oggi avremo un altro innocente in carcere.
Con la deduzione e la logica spaventa assai si possa condannare un soggetto.
Ciao Dudù

Ivana Niccolai ha detto...

Luca, ho letto volentieri il tuo articolo e ora cerco di argomentare il mio punto di vista.
Premetto che, riguardo all’abolizione del processo indiziario, nulla avrei da obiettare se venissero proposte alternative serie, miranti alla sicurezza dei cittadini: già un aumento mirato delle telecamere COSTANTEMENTE BEN FUNZIONANTI e la creazione (anche in Italia, finalmente!) della banca dati del DNA mi confortano, ma vorrei capire meglio quali altre misure si potrebbero adottare per evitare che troppi delitti rimangano irrisolti.
Nel frattempo, ragionando sugli attuali processi indiziari, credo che determinate situazioni complesse non possano essere “banalizzate” (pur se a titolo esemplificativo!), limitandoci a sottolineare tre semplici “indizi” su cui ragionare; in un processo indiziario vengono analizzati tutti gli indizi possibili (pro e contro l’imputato), viene “scandagliata” la vita della vittima alla ricerca di possibili “punti critici” (quali, per esempio, eventuale doppia vita, droga, corruzione ecc.), viene usato anche il “ragionamento per esclusione”, viene osservata e analizzata minuziosamente la scena del delitto, vengono svolte numerose e varie analisi scientifiche nelle condizioni più favorevoli all’imputato (e un bravo analista conosce i metodi scientifici per quantificare il margine di errore!).
Se vogliamo chiederci, per esempio, quale possa essere l’utilità della scienza, mi limito a un esempio “banale”: quand’è che i granelli di miglio diventano un mucchio? Qui dobbiamo riconoscere che è la nozione di “mucchio” a essere vaga (se non la precisiamo, non possiamo ricorrere alla scienza; possiamo dire che per “mucchio” intendiamo la “struttura”? Es. quattro pere allineate non rappresentano un mucchio, mentre quattro pere, di cui tre sistemate una accanto all’altra in modo che ognuna sia a contatto con le altre due e la quarta collocata sopra le tre pere, costituiscono un mucchio? Insomma bisogna intenderci su che cosa s’intende per “mucchio”! Ma se dicessimo che, se non si percepisce il rumore di n granelli di miglio allora non si percepisce neppure quello di n+1, diremmo il falso, perché esiste un livello di soglia sotto il quale non percepiamo rumore e sopra il quale sì. Qui, dunque, l’intervento della scienza è determinante.

(continua)

Ivana Niccolai ha detto...

Riguardo al pensiero di Popper, avevo già espresso il mio punto di vista e lo ribadisco con altre parole (senza ripetere quanto da me già scritto sotto un altro articolo):
1) Popper NEGA che la probabilità di una legge aumenti grazie al numero degli esempi positivi riscontrati;
2) Popper, poi, indica, però, il grado di accettabilità provvisoria di una teoria scientifica e introduce il concetto di "corroborazione" per EVITARE termini verificazionisti, come se "corroborazione" non fosse un termine sinonimo di "conferma" e, comunque, Popper nulla dice sull’affidabilità della “corroborazione”, cioè sulla sua capacità di resistere a controlli futuri!
3) Per Popper il metodo induttivo non serve neanche nel contesto della “scoperta scientifica”; per lui gli scienziati giungerebbero a formulare nuove ipotesi attraverso un processo più psicologico (sic!) che logico! e in base a tale suo ordine di idee mi risulta contraddittoria la sua opera: “Logica della scoperta scientifica”.
Ma Flemming, per esempio, sarebbe giunto alla scoperta della penicillina senza usare alcun procedimento induttivo?! Avrebbe seguito, nella fase della “scoperta”, un procedimento … psicologico?


Che cos’è la verità? È possibile riuscire a definire la verità in maniera completa?
Tarski ha dimostrato il teorema di indefinibilità della verità! Non esiste la possibilità di definire la verità all’interno del linguaggio, bisogna salire in un metalinguaggio…; nessun linguaggio permette di definire la propria verità; una delle cose di cui non si può parlare all’interno del linguaggio è la verità di quello stesso linguaggio!
Che cosa facciamo? Ci si rassegna a non cercare alcuna verità? NO! (NONOSTANTE TUTTO, sono ancora d’accordo con il grande Hilbert: l'Ignorabimus non deve fermare la continua e appassionata ricerca per avvicinarci alla verità, anzi, dico io, per cercare di capire la verità storica dei fatti.
Ci sono almeno quattro concetti di verità:
verità storica (verità dei fatti realmente accaduti in un dato tempo e in un dato luogo)
verità matematica (verità razionale condizionata all'accettazione di determinati assiomi, verità che si determina attraverso dimostrazioni; per la verità di un teorema è sufficiente un’unica dimostrazione)
verità scientifica (togliere il velo che copre le cose)
verità processuale

Qual è il concetto di verità processuale?
Partiamo da Pilato, quando chiede a Gesù “Che cos’è la verità?” e se ne andò senza aspettare risposta; quale poteva essere il concetto di “verità” per Pilato? Per lui la “verità” era la “veritas” (la verità romana); il prefisso “ver” è un prefisso indoeuropeo e indica una barriera e per i romani la verità era una barriera diritta (e da qui deriva il “diritto”usato come temine giuridico) barriera che separava da quello che stava dietro; insomma, come ben spiega il logico matematico Odifreddi, la verità romana è quella giuridica e devono essere raddrizzati i torti. La “sentenza” (alla fine di un processo) è chiamata anche “verdetto” (cioè dichiarazione di verità) e sono i giudici a decidere la verità delle cose; per convenzione i giudici verificano ( verum facere!), fanno la verità; si tratta della “verità processuale”, ma, attualmente, come si arriva a tale verità che deve ANCHE essere ben motivata? Inoltre ci sono tre gradi di giudizio, per cui il numero dei possibili errori commessi diminuisce alla luce di analisi scientifiche sempre più approfondite e svolte con strumenti sempre meno imprecisi.

(continua)

Ivana Niccolai ha detto...

Insomma, personalmente ritengo che, attualmente, il processo indiziario svolga il proprio ruolo avvalendosi delle analisi scientifiche (compiute da numerosi esperti!) e controllando razionalmente che gli indizi siano precisi, gravi e convergenti, nella consapevolezza che è: “ possibile definire il metodo scientifico non come la via verso la certezza indubitabile, ma come un approccio critico che si muove a passi di razionalità. Questo perché, anche se non esiste un metodo in grado di garantire l'assoluta certezza o verità, è però possibile costituire un sapere “giustificato” o allo stato attuale condivisibile”, un sapere in cui sia sempre meglio quantificato il margine di errore nelle analisi scientifiche effettuate e ritengo che la creazione, in Italia, (nella maggior parte dei Paesi europei è già funzionante) di un’efficiente banca dati nazionale del DNA potrà far ripensare a modalità meno lente e più sicure nei processi penali.
Il fatto che la perfezione non esista e che noi non possediamo la patente di infallibilità non ci esonera dal cercare di fare le cose nel miglior modo possibile. Per questo sono convinta che la scienza, e soprattutto il suo metodo, diano insegnamenti preziosi mentre, al contrario, un approccio di tipo romantico porti irrimediabilmente fuori strada violentando la realtà a favore di desideri e pregiudizi vari. Nonostante ciò penso che la soggettività del giudice non possa essere eliminata, anche se i tre gradi di giudizio servono a impegnare più giudici, nel tentativo di superare la criticabile “soggettività” di un unico giudicante (soprattutto per chi scegliesse il rito abbreviato e se ci fosse un unico grado di giudizio!). Sono i giudici, dunque, a dover valutare i risultati scientifici con intelligenza e competenza, con equilibrio e saggezza, seguendo un corretto percorso metodologico, prestabilito ed esplicitato, relativo ai criteri di valutazione della prova indiziaria, accertando la responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e tale accertamento è da ritenersi intervenuto quando il dato probatorio, acquisito durante il processo, è riuscito a lasciar fuori solo eventualità astrattamente formulabili, la cui effettiva realizzazione sia risultata priva di qualsiasi riscontro da quanto processualmente emerso, eventualità che si pongano al di fuori della normale razionalità umana.

Vanna ha detto...

Luca Cheli buon pomeriggio!

Condivido ciò che scrivi e riporto la frase che più mi ha colpito:
“Se dovessi decidere di condannare qualcuno a pene detentive, io vorrei avere verità certe e decisioni giuste, altrimenti non me la sentirei mai. Ma certo capisco che se uno ragiona in termini di mantenimento dell’ordine nella società (e questo è un ragionamento politico), allora si può ambire a verità credibili per la società stessa e a decisioni preferibili per l’effetto che esse hanno sulla stabilità della società medesima. Però sia chiaro che stiamo parlando di stabilità e controllo della società, non di giustizia per la vittima, per i famigliari, eccetera, eccetera.
Abbandoniamo quindi una certa retorica facile a sentirsi sui giornali e in TV e chiediamoci semplicemente se in realtà non abbiamo bisogno del processo indiziario per scopi di ordine sociale e quindi, in ultima analisi, di stabilità dello Stato. Possiamo anche rispondere positivamente, ma a quel punto non stiamo più facendo giustizia, ma solo politica.”

Difatti,hai ragione.
Molte volte ho ripetuto che dietro la morte di Sarah, Yara e Melania, c’è una strategia progettata e condotta per raggiungere scopi di comando, per sollecitare o appoggiare eventi politici, economici, sociali che sembrano democratici ma che invece non lo sono perché manovrati e protetti da ambigue coperture .

Come la Politica gestisce il popolo e regola la società?

Gli ultimi processi mediatici su delitti pieni di perché e di condanne inspiegabili, quasi copia e incolla, hanno visto strane ritualità di sparizioni e ritrovamenti mortali tutti dipinti di sesso morboso, di controlli (poco) scientifici se non discutibili, di atti perversi compiuti sempre da persone di basso o mediocre profilo culturale, così come si è voluto farci credere.

Una volta costruito l’assassino, si manipola la comunicazione veicolando notizie intorno a personaggi, storie familiari, ambienti, oggetti, dialoghi telefonici, analisi di laboratorio, caricando il tutto di significati inesistenti, pur di raggiungere prevalentemente i seguenti scopi: incutere paura, addormentare la capacità di pensare, plagiare le masse controllandone le emozioni per mezzo di notizie alterate e distillate goccia a goccia attraverso programmi tv e riviste.

In definitiva, appare chiaro che lo scopo di tale procedere è politico.

Vanna ha detto...

Ivana Niccolai, buon pomeriggio.

Interessante ciò che scrivi e colmo di spunti di osservazione:
“ …Il fatto che la perfezione non esista e che noi non possediamo la patente di infallibilità non ci esonera dal cercare di fare le cose nel miglior modo possibile.” Dai per scontato che ognuno cerca di fare del proprio meglio per cercare la verità, e in effetti è così, di fatto però può accadere che qualcuno non faccia al meglio per numerosi motivi, magari ha una legge morale debole e cerca solo il proprio tornaconto o quello di altri, o non ha sufficiente consapevolezza.

E sei convinta che “ la scienza, e soprattutto il suo metodo, diano insegnamenti preziosi mentre, al contrario, un approccio di tipo romantico porti irrimediabilmente fuori strada violentando la realtà a favore di desideri e pregiudizi vari.”

La scienza può certamente portare “preziosi insegnamenti” e scoperte sensazionali, aggiungo, se però è praticata con conoscenza, rigore e preparazione altrimenti può portare a risultati fallaci. Ed è indubbio che l’approccio positivista abbia portato ad una maggiore scientificità del sapere rispetto quello di tipo “ romantico” che in realtà “non violentava la realtà”, la leggeva da altro punto di vista quello del “sentire”, del “credere”.

Ed è strano che proprio col “sentire” romantico si sono aperte le esplorazioni archeologiche del mondo antico, dell’interiorità del sentire della Storia, della consapevolezza che l’uomo ha bisogno di cercare la Felicità, la Bellezza, la Libertà,l’ Indipendenza Politica.
E’ con il romanticismo che nacquero nuovi Stati Nazionali.

Parli della “ soggettività del giudice” che non può ”essere eliminata”, è evidente, perché è sua, anche i giudici dunque hanno una soggettività che può avere dei limiti perché anche la soggettività può portare “ fuori strada violentando la realtà a favore di desideri e pregiudizi vari” esattamente come l’approccio romantico.

continuo...

Vanna ha detto...

...continuo...

Per te, i giudici, devono “ valutare i risultati scientifici con intelligenza e competenza, con equilibrio e saggezza, seguendo un corretto percorso metodologico, prestabilito ed esplicitato, relativo ai criteri di valutazione della prova indiziaria, accertando la responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e tale accertamento è da ritenersi intervenuto quando il dato probatorio, acquisito durante il processo, è riuscito a lasciar fuori solo eventualità astrattamente formulabili, la cui effettiva realizzazione sia risultata priva di qualsiasi riscontro da quanto processualmente emerso, eventualità che si pongano al di fuori della normale razionalità umana”.

Anche per me è questo il ruolo dei giudici, solo che,per me, quel ruolo “ dovrebbe “ essere così, SE, realmente ci fossero: equilibrio, competenza, metodologia, accertamenti scientifici seri…, e aggiungo, SE, non ci fossero pressioni politiche ed economiche... eccetera.

Mi sembra che spesso i giudici, almeno nei casi in questione, non siano stati proprio così equilibrati forse perché certi accertamenti scientifici, dati per scontati, non lo erano o perché è stato più semplice gestire il processo a porte chiuse o aperte in un certo modo, mantenere al fresco il malcapitato di turno con sentenze discutibili: marito arrapato che sevizia nel bosco la moglie; cugina grassa gelosa della cugina magra e zia gelosa della sorella che ha ereditato e zio arrapato della nipotina bionda che uccide, la mette nel pozzo e la fa ritrovare e, per questo, è libero; marito cornificato che diventa un pedofilo che non ha precedenti di pedofilia, però ... ha una madre che cornificava! E lui non lo sapeva!

La Giustizia, per essere tale, pianifica di chiudere le porte alla Stampa, ai Cellulari, ed assume “ un approccio di tipo romantico porta (i) irrimediabilmente fuori strada violentando la realtà a favore di desideri e pregiudizi vari”, nel contempo le porte degli Studi Televisivi sono costantemente aperte e, sia al chiuso che all’aperto, in tale approccio romantico è sempre presente l’irrazionale emotivo.

La Scienza, la Giustizia, la Verità vivono nell’ Iperuranio, insieme con le Idee che derivano da loro e stanno sempre lì perché la via per discendere tra di noi non è più rintracciabile, neanche la bussola segna più il Polo Nord che si va sciogliendo.

hanno smarrito la strada per .

Luca Cheli ha detto...

Mi limito ad un paio di osservazioni rivolte ad Ivana, senza pretesa di completezza.

1) Io sono un sostenitore convintissimo del metodo scientifico di derivazione galileiana, anche per formazione culturale derivante dalla mia laurea in fisica. So anche però che la "verità scientifica" è a formazione "progressiva", con minori cambiamenti in alcuni campi, con molto maggiori in altri. Quando ero ragazzo sembrava prevalere un modello cosmologico con l'universo che alternativamente si espande e contrae, ora pare prevalente il modello "aperto" ad espansione infinita. Così pure, quando mi sono laureato la Supersimmetria era data quasi per certa, adesso è messa in dubbio dalla mancata scoperta di particelle supersimmetriche al LHC.
Il punto però è che nel processo la formazione progressiva della verità, a cui anche tu fai riferimento, si cristallizza ad un certo punto in un "verdetto", dopo il quale la verità non si forma più progressivamente.
Certo c'è l'istituto della revisione, che però arriva (raramente) dopo che si è già scontata una parte più o meno grande della pena.
Certo non si può tenere il processo aperto all'infinito (con condanna od assoluzione protempore), perché oggettivamente la lunghezza della giustizia è già un problema per gli imputati, non è il caso di esacerbarlo.
Quello che volevo sottolineare è però il diverso percorso delle due verità, scientifica e processuale.

2) In secondo luogo, ma questa è un'annotazione pratica e non di principio, mi sembra che tu spesso ragioni vedendo solo il sistema come dovrebbe essere e non come è veramente.
Per esempio, oltre a "scandagliare" la vita della vittima, spesso (praticamente sempre) si scandaglia anche quella degli imputati, trasformando non fatti e pettegolezzi in elementi che possono pregiudicare la serenità di giudizio dei giudicanti.
Un esempio può essere la vendita di certi specchi o l'acquisto di certe mutande.
Così pure i nostri n nobilissimi gradi di giudizio, a cui aggiungo anche tutti quelli della custodia cautelare, sono una meraviglia garantista sulla carta, ma che corrispettivo hanno nella realtà, quando un GIP vidima tutto quello che fa un PM, il riesame approva e la cassazione beatifica, il tutto in strepitoso copia e incolla?
Sempre in merito alla differenza tra teoria e pratica del sistema, quante volte avete visto rispettato l'articolo 358 cpp, che impone al PM, nella fase delle indagini preliminari, di raccogliere ANCHE elementi a favore dell'indagato?
Di sicuro non nei casi più noti degli ultimi anni, caratterizzati fin dall'inizio dall'univoco impegno a dimostrare il teorema accusatorio prescelto.

Ivana Niccolai ha detto...

Vanna, buongiorno e grazie per il tuo apprezzamento e per aver espresso il tuo ben articolato pensiero!
Credo nell’unitarietà del sapere, ma mi preoccupa l’“invadenza” dei “letterati” e dei “filosofi” che, avendo maggior accesso ai media, finiscono per proporre il proprio punto di vista, mentre lo spazio riservato agli “scienziati”, al loro metodo e alle loro scoperte, è ancora minimo, per cui la cultura scientifica, di fatto, resta ancora poco seguita e poco conosciuta non essendo sufficientemente propagata, rimanendo, quindi, non accessibile al grande pubblico.

Ivana Niccolai ha detto...

Luca, ritengo corretto venga scandagliata ANCHE la vita degli imputati alla ricerca del movente, MA credo che determinate notizie DOVREBBERO rimanere BEN RISERVATE su richiesta dei diretti interessati, anche se attualmente, in pratica, credo che il concetto di “scandalo” non coinvolga, di certo, la libera scelta sessuale e di vita di ognuno/a, nel rispetto dell’altrettanto libera scelta altrui.

Il processo si avvale delle analisi scientifiche per cui verità processuale e verità scientifica si intrecciano, o, almeno, s’incontrano e la verità processuale si appoggia alla verità scientifica…

Riguardo all’idea di Kuhn, di cui i postmoderni si sono appropriati per proporre una visione relativistica della scienza, è un’idea criticata e non condivisa dagli scientisti e il logico matematico Odifreddi ne evidenzia la “fragilità” nel libro da me già precedentemente citato.
Mi limito a trascrivere quanto si legge, tra l’altro, a pagina 110 del libro: “Il giro del mondo in 80 pensieri”: “[…]Kuhn indica nel passaggio dal sistema tolemaico a quello copernicano l’esempio archetipico di rivoluzione scientifica. Ma i due sistemi sono perfettamente equivalenti nella teoria e nella pratica, e lo stesso Copernico derivò il suo in maniera teorica da quello di Tolomeo[…]”.
Altra citazione, tratta da pagina 261: “[…]Nel Novecento, l’esempio più tipico di supposto cambiamento di paradigma è stato il passaggio dalla meccanica classica di Newton a quella relativistica di Einstein. Inutile ripetere[…] che di nuovo si tratta di descrizioni di situazioni diverse: moti a velocità trascurabili rispetto a quella della luce in un caso e a velocità paragonabili a essa nell’altro. E, di nuovo, le formule di Einstein si riducono a quelle di Newton, quando si tenga conto di questo[…]”
Insomma, ogni conquista scientifica getta nuova “luce” sui risultati scientifici precedenti.
C’è, poi, chi, come l’anziano matematico di Princeton, Edward Nelson, (sulla stessa lunghezza d’onda di Kuhn!) era convinto, dopo una ricerca durata dieci anni, di aver dimostrato l’inconsistenza della matematica contemporanea, era convinto di aver dimostrato, contemporaneamente, un teorema e la sua negazione, era convinto di trovarsi di fronte a “un cambio di paradigma nella matematica”. Il suo “sogno” era quello di bandire i metodi astratti introdotti da Cantor, Peano, Hilbert …
A un giovane matematico dell’Università della California di Los Angeles (vincitore, nel 2006, della medaglia Fields), Terence Tao, sono bastati un giorno e una notte per leggere il lavoro di Nelson, trovarne l’errore e scrivere una refutazione!
Insomma, il tentativo di impedire l’uso dei metodi astratti (non costruttivi) di Nelson è fallito. L’anziano matematico ha saputo, però, essere onesto, ritirando il proprio “annuncio” e ringraziando Tao per aver trovato l’errore.

Luca, sì, è vero, guardo “il sistema come dovrebbe essere” in base alla normativa vigente, perché ritengo di non avere né dati sufficienti né competenza per giudicare l’operato dei magistrati. Credo, però, che se dovesse essere provato qualche eventuale “dolo” (o qualche eventuale corruzione!) sarei sempre più convinta della necessità di ulteriori leggi specifiche tendenti a “imporre” trasparenza, serietà e correttezza in ogni ambito lavorativo e professionale.
Quando un “GIP vidima tutto quello che fa un PM, il riesame approva e la cassazione beatifica”, un motivo “serio” (o, almeno, ritenuto tale!) ci sarà (oppure no): come posso io giudicare se non ho letto tutte le carte, se, dunque, non ho elementi sufficienti per esprimere il mio parere tanto più che non ho la competenza di un magistrato?


Vanna ha detto...

Ivana,
grazie per una risposta che non è tale, anzi, è un inno alla cultura scientifica, ben conosciuta da pochi secondo te, contrapposta a quella "invadente" dei " letterati- filosofi" che hanno tempo da perdere appresso ai Media (che non propongono cultura, ovviamente), avendo anche l'ardire di proporre il proprio punto di vista.

Hai anche il coraggio di dire che credi nell'unitarietà del sapere e che quello scientifico è poco "propagato" e non accessibile al pubblico.

Perbacco, è una tragedia 'sta scarsa diffusione scientifica che tende a castrare la conoscenza del sapere e a stimolare diverse dimensioni del pensiero!

Ho sempre saputo che il Sapere non è unitario ma è dato da un insieme di conoscenze tra loro collegate che formano i SAPERI.

I differenti SAPERI possiedono la capacità di collegarsi tra di loro e di formare ragnatele di conoscenze stimolando le curiosità di ognuno, le libertà di approfondire il campo nel quale si è più portati e che più piace, le socialità della trasmissione, le passioni che ne derivano, il tempo che occorre, lo spazio che delimita.

Tutto concorre alla comprensione dei SAPERI e quando anche uno scienziato stesse tutta la vita a studiare le Scienze, il suo personale sapere di fronte al mondo nel quale vive, sarebbe molto scarso perché il mondo si muove non solo con le regole matematiche, si muove anche per mezzo della comunicazione verbale, dei bisogni naturali, spirituali, artistici che hanno i loro linguaggi, le loro regole, le loro diversità, le loro storie, i loro ambienti.




Ora se il sapere, per te, è unitario, perché ti preoccupi dell'

Credo nell’unitarietà del sapere, ma mi preoccupa l’“invadenza” dei “letterati” e dei “filosofi” che, avendo maggior accesso ai media, finiscono per proporre il proprio punto di vista, mentre lo spazio riservato agli “scienziati”, al loro metodo e alle loro scoperte, è ancora minimo, per cui la cultura scientifica, di fatto, resta ancora poco seguita e poco conosciuta non essendo sufficientemente propagata, rimanendo, quindi, non accessibile al grande pubblico.

Vanna ha detto...

Chiedo scusa: sempre distratta, non ho cancellato il copia e incolla.
Vanna

boboviz ha detto...

Mi sento chiamato in causa, avendo una laurea in filosofia (mai sfruttata). I filosofi hanno posto le basi e i confini del metodo scientifico (pensiamo, per esempio, a Godel) spesso confondendo i campi e traendone fruttuosi avanzamenti del sapere.
Poi, si, esistono i filosofi del nulla, del vuoto, della chiacchera (come la intendeva Heidegger),ma sono altri.

Ivana Niccolai ha detto...

Vanna,
io parto da una visione “globale” del sapere e, per me, la cultura umanistica e la cultura scientifica sono ciascuna una metà di un tutto.
Purtroppo, a causa di un lungo predominio della cultura umanistica (per Benedetto Croce, per esempio, la scienza rappresentava soltanto un “libro di ricette di cucina”) certi stereotipi persistono tuttora: uno stereotipo più diffuso è quello che identifica gli scienziati come “pazzi” . Tale stereotipo è un effetto perverso del romanticismo che ha diffuso una visione distorta del ricercatore, visto come persona spinta da un delirio di potenza a inseguire imprese insensate e pericolose.
Insomma, si è scambiata la distrazione dello scienziato nei confronti delle semplici azioni quotidiane come un sintomo clinico, senza tener conto che il ricercatore preferisce concentrarsi totalmente sull’oggetto della propria ricerca (a cui dedica il proprio tempo indipendentemente dall’orario d’ufficio) e sa usare la ragione costantemente.

Per rendere “visibile” la mia immagine dell’unitarietà del sapere posso immaginare, per esempio, di far riferimento all’immenso albero della conoscenza con innumerevoli rami uno per ogni disciplina (da cui si dipartono rametti vari, uno per ogni settore di ricerca) costantemente in fieri.
Posso immaginare anche (e in modo più adeguato) un’immensa nazione (“saperlandia”) suddivisa in vari dipartimenti (vel regioni), ognuno suddiviso in città ecc. costantemente in fieri (dove mi sembrano più evidenti l’” interdisciplinarità” e la “transdisciplinarità” nei rapporti collaborativi tra le città di una regione e tra le regioni dell’intera “saperlandia” ). L’essere umano diventa il turista pronto a visitare "saperlandia” soffermandosi dove più gli aggrada.
Spero di aver reso un’idea del mio concetto personale di “unitarietà del sapere.

Boboviz, amo la filosofia (in particolare apprezzo filosofi quali, per esempio, Aristotele, Leibniz e Carnap).
Riguardo al pensiero di altri filosofi (quali, per esempio, Popper, Kuhn e Feyerabend)ho ancora molte perplessità.

Giacomo ha detto...

D'accordo con l'articolo di Luca Cheli.
Vorrei aggiungere solo due considerazioni.
La prima è che il processo indiziario prende origine da una cultura giustizialista che identifica nel pubblico ministero non già un rappresentante di parte, ma un vero e proprio giudice, che in sostanza emette delle sentenze già confezionate già prima di giungere al dibattimento, durante il quale in teoria si dovrebbe formare la prova. E la Difesa dell'imputato, già da subito considerato un malvivente che cerca di farla franca, viene vista come un'entità che cerca di ostacolare il nobile compito della Procura, intemerata depositaria della verità. L'imperare di questa (sub)cultura ha un riflesso immediato sulle indagini, che restano approssimative e pregiudiziali e tendenti a cucire addosso all'imputato il vestito del colpevole, indipendentemente dalla verità storica. Vere prove neppure si cercano, a meno che non siano evidenti. Tanto si sa già che basteranno alcune circostanze per lo più neutre, promosse al rango di indizi gravi e concordanti, per ottenere una sentenza favorevole all'accusa. D'altronde per ottenere la concordanza degli indizi, basta eliminare quelli che militano a favore della difesa.

Ma come seconda considerazione, bisogna aggiungere che tutto questo modo di procedere non sarebbe possibile, se esso non trovasse profonda consonanza nella mentalità giustizialista del popolo, anche di esponenti istruiti, per cui una volta che ci sia un misfatto, è inconcepibile che esso resti senza colpevole. E questo, Luca Cheli l'ha scritto.
Allora, meglio un possibile innocente in galera che un malvivente in libertà? Ma l'alternativa non si pone nemmeno. Se un tizio finisce in galera, egli è CERTAMENTE colpevole. Quante volte si sente dire, anche dalle galline e palloni gonfiati, autoeletti ad opinionisti: se l'hanno arrestato, avranno i loro buoni motivi, anche se non li conosciamo. Anzi il fatto che non li conosciamo è indice della serietà degl'inquirenti, che hanno secretato la documentazione.

E così sia.

Saluti a tutti gli amici del blog.

Giacomo

magica ha detto...

salutI A GIACOMO
i suoi rari interventi nel blog ci fanno riflettere .
interventi pacati scritti con cipiglio serio e mai banale .
ho letto anche in altri blog : banali e pessimi . discorsi sciocchi , come quelli scritti da un forumista , che trovo'erudita ed elegante , pure educato : la persona intervistata dalla LEOSINI . UN ASASSINO CHE UCCISE UNA RAGAZZA .. tagliandole la gola .. che bel personaggio!
un personaggio che trova simpatizzanti.

Vanna ha detto...

Giacomo buongiorno, condivido ciò che scrivi.

sorianablu ha detto...

Luca Cheli, tu esprimi concetti chiari e tutto sommato giusti, e si potrebbe essere solo d’accordo con te, però secondo me tu semplifichi il discorso e nella vita non è tutto così semplice e lineare. Ti riporta un po’ con i piedi per terra Ivana con la quale sono d’accordissimo, perché ci fa notare che il lavoro di inquirenti non è così primitivo come lo immagini, e parlando di indizi non possiamo semplificare la questione e ridurre i processi indiziari a una semplice “esigenza politica” di trasmettere la sicurezza ai cittadini. Insomma, ci sono processi e processi, ci sono indizi e indizi. Però ha ragione anche Vanna quando (riporto nel sintesi) scrive che non sempre i giudici lavorano come dovrebbero e quindi non abbiamo le garanzie. Ci sono indizi e indizi, e vediamo il processo di Sarah Scazzi sull’onda mediatica dove secondo me non c’è nessuna ragione non solo condannare le imputate, ma nemmeno tenerle in carcere. Però anche vero che noi spesso esprimiamo i nostri pareri non essendo bene informati e quindi possa capitare che leggendo le carte processuali e valutando gli indizi nel loro insieme capiamo che una decisione che ci sembrava sbagliata è invece assolutamente fondata.
Sono d’accordo con Giacomo, che evidenzia i problemi nelle sentenze preconfezionate, nella percezione della difesa come “disturbatore” che si arrampica sugli specchi, nella mentalità e nei preconcetti del popolo manipolato dai mass media, su quali cavalca l’accusa, non preoccupandosi di svolgere il proprio lavoro bene.
Quindi, secondo me il problema non è tanto i processi indiziari come tali, ma il livello di istruzione di inquirenti e giudici, e il loro QI. Il problema è la custodia cautelare con lo scopo di pressione psicologica sull’ imputato, il problema sono i processi mediatici che mettono la fretta agli inquirenti, disturbando il loro lavoro, influenzano non sono l’opinione pubblico, ma anche quello di giudici, il che è molto peggio. Però spesso i mass media manipolano le menti delle persone non solo in chiave colpevolista, ma anche quella innocentista, come è accaduto con l’intervista a Guedè di Leosini (che spero avrà qualche provvedimento per la mancanza di professionalità) e gli articoli diffamatori per la vittima sul Libero nel caso Garlasco.
Se esistono i giudici come Nencini e Ionta c’è qualcosa che non va, perché queste persone non dovrebbero fare i giudici. Se leggo i documenti prodotti dalla procura di Ragusa penso che Petralia non può condurre le indagini. Quando leggo la sentenza di riesame di Panarello firmata da Vagliasindi a me si raddrizzano i capelli perché questa persona secondo me non deve nemmeno avvicinarsi ai palazzi di giustizia, deve scrivere i romanzi di fantascienza a casa sua. La mancanza di professionalità e competenza è il problema MOLTO PIU GRAVE dell’esistenza di processi indiziari (i quali cmq hanno le loro regole), non parlando nemmeno di concetti così effimeri come l’onesta, perché anche qui purtroppo possiamo fare moltissimi esempi negativi. Sappiamo che spesso i giudici esprimono i pareri e giudizi NON leggendo nemmeno bene le carte processuali! Un triste esempio di un simile giudice è Oscar Cedrangolo. Troppo spesso leggiamo di errori grossolani degli inquirenti che non erano capaci nemmeno conservare la scena del crimine, ma sarebbe il minimo. Leggiamo spesso di errori di Ris, come anche nel processo di Bossetti, quando erano usati perfino i reagenti scaduti.
Non saprei che via di uscita potrebbe esserci, non a tutti capita la fortuna di essere difesi da due pitbull come Salvagni e Camporini. Senza alcun dubbio, devono essere regole precise per i casi mediatici, i par condicio dell’accusa e difesa, sempre e dappertutto. I settimanali come Il Giallo devono essere chiusi dopo la seconda bugia diffusa, nelle trasmissioni di tv il criterio di scelta di opinionisti deve essere SOLO la professionalità, e le persone che si permettono di scrivere certe cose su Fb e su quali pendono processi per calunnia verso i loro colleghi devono essere allontanate immediatamente.

sorianablu ha detto...

Per giudici e inquirenti forse si potrebbe introdurre qualche test specifico e la soglia minima di QI, però non so come testare l’onesta delle persone. Non sono per niente contenta se un giudice proscioglie Logli, perché lo proscioglie non solo sulla base di pochi indizi, ma non escludendo il fatto che Roberta potesse essere viva e questa ipotesi nelle circostanze di quella vicenda è assurda. Ho un brutto sospetto che Laghezza forse non ama i rom e non crede alla sua testimonianza; che forse più volentieri si medesima in un cittadino pacato, benestante, con giacca e cravatta e un’amante regolare, perché è così umano avere un’amante e a chi non capita…. Mi spiace, so che a pensare male si fa il peccato….
Mi pare chiaro che la questione della giustizia non è per niente semplice. Come una di possibili soluzioni potrei proporre solo la banca dati del DNA di assolutamente TUTTI i cittadini e le video camere di sorveglianza su TUTTI gli angoli di ogni paesino. A me non interessa la riduzione della mia privacy, posso farne a meno, a me interessa molto di più e soprattutto la sicurezza delle persone, perché scusate, non si può avere tutto nella vita alla perfezione: salvare sia cavoli che capre.