domenica 8 febbraio 2015

Il Principe rivisitato da Machiavelli per l'anno di grazia 2015

Di Gilberto Migliorini


Dante, immerso nel medioevo, aveva dipinto il Bel Paese con un'immagine folgorante: non donna di provincie ma bordello! Segno davvero che il Sommo poeta - oltre che chiaroveggente - era anche dismagato e a la page, aggiornato all’ultima fotografia statistica di un Paese sempre più uguale a se stesso, oleografia da immobilità cadaverica, un rigor mortis così emblematicamente espresso in tanta nostrana rappresentanza di vecchie (e giovani) glorie intramontabili. Una classe politica che si riproduce per clonazione, con quel gattopardo che cambia tutto per non cambiar niente. Gioco di travestimenti sotto i quali c’è un lifting inespressivo e mortifero come certi protagonisti senza età apparente: la petrarchesca Italia mia, benché ’l parlar sia indarno a le piaghe mortali che nel bel corpo tuo sí spesse veggio… Le maschere, il mascara e il fondo tinta, a quello servono, a nascondere le magagne, a rendere equanimi e intercambiabili perfino Geppetto e Pinocchio, il Gatto, la Volpe e la Fata Turchina. La favola sembra vera, con il campo dei miracoli e gli zecchini d’oro. E c’è anche Moby Dick, la balena bianca finita per sbaglio in una storia che non è la sua, con il capitano Achab che sfida il Leviatano.

Se invece Machiavelli redivivo riscrivesse il suo Principe nell'anno di grazia 2015? Il Segretario fiorentino dovrebbe aggiornarsi a cotanti nuovi stratagemmi del moderno reggitore, potere inteso in quel collettivo partitocratico dai confini incerti e dalle alleanze precarie e intercambiabili, ma pur sempre in prima linea con le sue truppe inamovibili, le sue cariatidi ecumeniche e i suoi eterni femminini. Tutto l’organigramma di un potere che sembra uscito da una favola di fine ottocento, con quella fragranza mediatica che fa sembrare i suoi protagonisti (con tanto di claque) come freschi di giornata anche quando hanno un non so che di stantio e ammuffito. Sono i personaggi di sempre ma con quell'appeal che li fa sembrare ogni volta vieppiù originali, in tutte quelle metamorfosi e trasformismi che li rende ineffabili, sempre diversi anche quando sono la perfetta fotocopia del loro alter ego mediatico. C’è da uscire di senno e da non raccapezzarsi circa una diplomazia così sottilmente ubiqua da superare l’immaginario più ardito. 

Uno stile disinvoltamente spregiudicato e amorale… e così moralmente perbenista da disorientare perfino bacchettoni e adulatori adusi alle lusinghe e al bacio pedestre. Nemmeno Lui, Machiavelli, l’analista della politica per antonomasia, avrebbe previsto un mondo talmente alla rovescia da trasformare un ranocchio in Principe, un Pappagone a recitare una commedia shakespeariana. Magia che può riuscire solo con straordinari incantesimi, con la bacchetta magica della fata col toupet e gli occhi ‘celestrini’? O si tratta del vecchio e inossidabile trucco dell'illusionista riveduto e corretto che fa sempre presa sullo spettatore distratto? E per non parlare di tutto quel corteo di anime belle che fanno un po’ da suggeritori, un po’ da figuranti e un po’ da guitti e saltimbanchi. Alla fine si dovrebbe ammettere che l’italica fantasia al potere supera di gran lunga perfino le teorizzazioni di un Segretario fiorentino avvezzo alla disinvolta diplomazia del Duca del Valentino e di suo padre Borgia.

Lo zelante e moderno cicisbeo che ci racconta la cronaca ha quell'aria da vero intenditore, un sommelier della politica che ti versa un intruglio zuccheroso che gronda maraviglia per qualsiasi cacata elevata al rango di notizia. Quelle vere è sempre meglio diluirle e stemperarle in modo da nasconderle tra il gossip e l'iperbole, annacquarle per bene con l'enfasi risonante. Il moderno affabulatore ce la suona e ce la canta da qualche salotto televisivo con l’aria da competente e delega cortigiana, un linguaggio da ipnotista con quei bei tropi e traslati che menando il can per l'aia suscitano consenso ed emozione in un pubblico assuefatto ai programmi anima e core. Lo zelante apologeta incide il suo encomio sugli acta diurna o sull'ebdomadario e ti disegna un mondo di stupefacenti promesse e di retoriche celebrative secondo una metrica da ode pindarica. Una teoria di cori angelici, serafini, cherubini e troni che cantano le lodi in endecasillabi sciolti del giovin signore, senza neppure una parvenza antifrastica che ci dica che non è più il tempo delle pere. Non nani sulle spalle dei giganti, più che altro pidocchi su qualche rispettabile chioma col riporto…

Niccolò Machiavelli redivivo, dovrebbe fare un corso di aggiornamento piuttosto impegnativo, con un occhio alle nuove tecnologie, non tanto elettroniche, quanto mediatiche. Dante invece è talmente smaliziato da tracciare un ritratto dell’italica gente senza l’ausilio della Psicologia Sociale e della Filosofia politica. Lui non saprebbe che farsene del marketing, dello slogan testato in laboratorio e della retorica riprodotta e misurata sul target con metodi quantitativi. Il colpo d’occhio dell’illustre fiorentino basta e avanza  per capire al volo chi ciurla nel manico, chi ti rifila un bidone e chi ha per casa l’Antenora (zona del nono cerchio dell'inferno dantesco)

Il sommo poeta non avrebbe certo bisogno della scienza sociale per fare un affresco di quel nostrano mondo politico e dei suoi epigoni (seguaci) e supporter mediologici, portaborse per vocazione, intellettuali visceralmente incollati al potere che non sollevano la testa dal fiero pasto neppure per una pausa di riflessione, troppo intenti a vampirizzare un paese ormai svenato e dissanguato. L’intellettuale organico non tira nemmeno il fiato tra un panegirico e una piaggeria (un'oratoria servile), con quella retorica che ha bisogno di stomaci forti per non vomitare qualche apostrofe o evacuare una iperbole indigesta. Il moderno cavalier servente si prodiga indefesso per illuminare e confortare un’audience confusa e avvilita,  infonde coraggio a un paese sull'orlo del disamore con l’armamentario di figure retoriche, un campionario di piatti precotti, predigeriti e omogeneizzati indicando la via maestra della sottomissione al potere.

Di certo l’Alighieri non si farebbe incantare dalle sirene… o da qualche giovinotto che si spaccia per un moderno Odisseo, navigatore da social network, nocchiero dall'attivismo spregiudicato che varca i confini del mondo conosciuto con quell'aria alla tenente Colombo. Perfino un avatar oggidì può sembrare un Ulisse che incita i compagni di merende, anche quelli un po’ recalcitranti e non sempre in completa sintonia, recitando per interposta persona come se fosse un ventriloquo a farlo parlare. Fatti non foste a viver come bruti… Ma in fondo i compagni di viaggio sono come quelle scimmie che non vedono e non sentono. Si fanno perfino mettere la cera nelle orecchie (e magari anche le toppe sugli occhi e i tamponi nel naso), inanellando sottili distinguo circa le fette di salame che sia d’uopo usare per meglio non guardare e non vedere... Il dissenso riguarda più che altro chi lo stia prendendo in quel posto. Ma c’è un coro unanime per quel connazionale che sta sullo sfondo e che fa la cavia nel laboratorio mediale. 

Lui, il nocchiero, si fa legare per poter resistere a lusinghe e allettamenti delle cantatrici marine, sfida virilmente l’infida tentazione di chi lo vuole cooptare e ingannare col bel canto. Vuole essere edotto circa le malie di streghe e sirene… giusto per essere sempre pronto a replicare.

Il manovratore occulto, invece, pare un orpello, un accessorio più che altro per dare corpo a una sceneggiatura incolore e insapore. Lassù, sulla luna, c’è una bella cabina di regia e un art director dall'aria dimessa - che se ne sta neghittoso in disparte, quasi confinato in una prigione virtuale - manovra da remoto schiacciando un bottone. Il regista ha con sé il tablet col quale tracciare e istruire il suo avatar, che per inciso qualche volta si permette qualche innocente trasgressione al copione. Il suo padrino la concede, allo scavezzacollo, compiaciuto e accondiscendente per quel tocco personale che ha saputo dare alla sua creatura mediatica. Il figlio adottivo si avventura in slanci ardimentosi, irruenza adolescenziale da beata gioventù scapestrata…

Che il Medioevo sia più attuale dell’umanesimo-rinascimento con tutta quella profusione di dignità e centralità dell’uomo? Perfino Pico della Mirandola sembra un pubblicitario che sforna lo slogan accattivante di un Adamo faber fortunae suae aggiornato all'homunculus in provetta (leggendario uomo creato dagli alchimisti) e alla clonazione con l’immortalità assicurata mediante ibernazione e successiva resurrezione, tutto come da contratto e secondo copione. La regia comporta tante abilità, un collettivo che fa del Principe moderno un "io" più simile a una società della mente che a un cogito cartesiano. L’idea che la creatura sia diventata l’opera di se stessa, che costruisca la propria natura, rende euforici: l’avatar da burattino diventa finalmente bamboccio e poi davvero un omino. Par di vederlo che gioca con birilli e soldatini, che si prepara con scrupolo alla sua vocazione da mago e illusionista: un Henry Potter con la sua pietra filosofale. Alla fine lo si trova prima a dirigere il traffico in un gioco di ruolo e poi a fare il Principe sul trono e con lo scettro del comando nella mano (quella sinistra quando si ricorda che è mancino). 

Sembra ormai emancipato, sembra davvero lui il regista di baracca e burattini. Come emulo non è niente male, impara in fretta e con passione, conosce già tutti i trucchi del mestiere... e poi c’è la campagna acquisti con i transfughi, la compravendita e i rottamatori, per non parlare di tutto quel corteo di soccorritori dell’ultima ora che responsabilmente si fanno in quattro per rendersi utili.

Che l’allievo bagni il naso al suo maestro? La regia però è di gruppo, un inciucio a geometria variabile e a ricatto incrociato, anche se poi qualcuno più bravo dà la sua impronta alla telenovela con quello stile inconfondibile da lupus in fabula.

L’eminenza grigia ha il volto che magari non ti aspetti, comunque non è Cesare Borgia che per quanto scaltro è più che altro una controfigura, filiazione del de Borja. Il pupillo elevato a nomina cardinalizia è più incline alla spada che alla vita claustrale, dispensato dall'onere ecclesiastico ma contando pur sempre sull'intercessione del padre pontificale (che potrebbe morire di morte naturale o di congiura di palazzo, ma è meglio non vendere la pelle dell’orso prima che sia davvero imbalsamato). Per quanto non sia stato fatto un test di paternità, la natura per dirla papale papale è comunque acclarata, buon sangue non mente anche se la parentela è puramente virtuale, inscritta nel baconiano sapere è potere.

Sull'attualità di Machiavelli ci sarebbe qualche dubbio. L’arte della politica esiste in rapporto a quell'altro sapere, quello dell’antropologia evolutiva, del potere occulto e delle consorterie (Principato collettivo o negoziale che dir si voglia). Oggi gli strumenti sono i metodi quantitativi, la profilazione che si serve di elaboratori che ti sfornano previsioni in tempo reale e consentono di correggere in istantanea la strategia politica, di valutare il gradimento di uno slogan pesandolo come fosse una bistecca e correggendone il sapore. Il filetto viene cotto a puntino con il termometro dell'auditel, i questionari, le interviste, la pubblicità… ma è soprattutto il consumo di carta igienica e di condom nel fine settimana, l’indicatore obiettivo del grado di apprezzamento e di fiducia dell’elettore...

Antropologia dell’uomo senza qualità alla Musil di una società decadente o al contrario società dei consumi con l’appendice di un robottino programmato con la tv nazional-popolare? Il target si è fatto via via più sfumato ma anche prevedibile. Il calcolo statistico misura un potenziale supporter dove la suggestione segue con un feedback praticamente immediato. Con input opportuni lo spettatore può essere indirizzato, facendogli perfino credere che sia davvero lui a decidere per chi dare il suo consenso. Basta davvero poco per spostare le preferenze. L’elettore è condotto per mano, teneramente, amorevolmente, vezzeggiato e incoraggiato, indirizzato, orientato, diretto verso la meta agognata. Manipolazione? Per usare una locuzione entrata nell'uso di una scuola dell’irreggimentazione: educazione al consumo creativo, educazione al dialogo, alla pace, al realismo politico e a tutte quelle formule così care a chi impacchetta la cultura sotto vuoto spinto e con la demagogia usata un po’ come il prezzemolo.

Questo ci riporta al segretario fiorentino e a quella realtà politica dell’Italia dove ancora non esisteva la carta fedeltà e il software per interpretare politicamente il consumo del tacchino e del pollo ruspante, e quelle belle agiografie di santi, poeti e navigatori e perché no, anche Capi di Governo. Il moderno reggitore sembra rimembrare quell'umanesimo con l’istanza del rinnovamento: ritorno ai principi, ma con il sano realismo scevro da infingimenti e illusioni (la sostanza immutabile dell’umana natura). È quel Principe unificatore e riordinatore della nazione italiana che fonda la sua azione sulla considerazione realistica e spassionata dell’elemento antropometrico: i mezzi in ragione dei fini da perseguire adeguandoli a una forma libera e ordinata di convivenza, come criterio di stabilità e ordine sociale. Bella tirata… davvero machiavellicamente attuale.

Sembrerebbe più moderno Dante, che non indulge né al pessimismo antropologico (il machiavellico volgo vile, malfido e dissennato) né a quella tensione tra il fiume della fortuna e la libertà: uno slogan mediatico per tutte le stagioni e con il classico colpo al cerchio e quell'altro alla botte. L’auto-normatività della politica sembra più che altro appannaggio di un moderno principato di interessi di parte, camarille, consorterie e società massoniche dove conta l’accordo tra i gentiluomini, i commensali del banchetto.

Il medioevo è tutto pieno di rinascite - prima ancora di quel Rinascimento per antonomasia con l’enfasi dell’homo faber. La Commedia sembrerebbe più attuale del Libellus vere aureus di Thomas More o del Principe alla Cesare Borgia. L’utopia dantesca dipinge un monarca super partes che tanto assomiglia al Presidente che tutti vorremmo, come ritorno alla legittimità basata sulla giustizia e sulla libertà, che fuori metafora è quel bene collettivo fondato sui dettami della nostra costituzione repubblicana, anche se rimane il dubbio se si tratta di quella odierna o di quella che verrà… 

L’utopia del Sommo poeta appare comunque più appetibile di quel Principe machiavellico che fa da parodia (nell'attualità) di un Rinascimento politicamente tradito.

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