Di Gilberto Migliorini
Il furgone di Bossetti non è chiuso come questo ma aperto |
La statistica a volte gioca brutti scherzi, vedi le recenti elezioni con tanto di sondaggi ed exit poll. I metodi induttivi basati sulla ripetizione e sul campionamento non scherzano. Si
tratta dei metodi ripetitivi scientifici applicati alla ricerca di un colpevole
o alla dimostrazione di innocenza usando la cosiddetta impronta unica del Dna.
Premesso che non sono un biologo e neppure un matematico, mi affido alla logica
(il semplice sillogismo deduttivo). L’induzione la lascio a chi crede
nell’infallibilità del metodo scientifico per ripetizione o enumerazione. Mi attengo al metodo popperiano
per congetture e confutazioni. Veniamo al caso della povera Yara per il quale
si sarebbe trovato l’assassino addirittura con una probabilità del 99.999987.
La probabilità direi che è un pochino esagerata. In base al ragionamento che
sto per fare è improbabile su base statistica, che il presunto assassino sia
quello indicato in modo perentorio dal ministro e indagato dalla procura
bergamasca.
Vediamo dunque in base a quale
ragionamento elementare si può concludere che sia assai poco probabile che sia
stato trovato il colpevole dell’omicidio della povera Yara basandosi
esclusivamente sulla prova del Dna (a meno che esistano altre prove che non conosciamo).
Trascuro indizi come quello delle celle telefoniche e del furgone chiaro (la
casa del Bossetti è a due o tre chilometri in linea d’aria da Brembate e poco di
più dal luogo del ritrovamento del cadavere, il cantiere era a meno di un
chilometro; forse una buona metà dei furgoni circolanti si possono definire
chiari). Mi concentro sulla prova del DNA con una premessa.
La sequenza genica di Dna è intervallata da sequenze non codificanti in grado di caratterizzare (e riconoscere) i diversi individui discriminandone il profilo sulla base di nucleotidi che replicano un numero diverso di volte nei vari individui (sequenze chiamate shorts tandem repeats. Fin qui tutto bene, è possibile discriminare soprattutto persone non legate da vincoli di parentela in base a un numero diverso di ripetizione di queste sequenze e dunque la nostra unicità genetica (fingerprint). Una sorta di codice a barre biologico ottenuto mediante la caratterizzazione di una ventina di regioni polimorfe. L’utilizzazione in campo forense della metodica e del connesso concetto di identità biologica non è però talvolta andato esente da critiche ed errori, non solo pratici ma anche concettuali.
Sulla base di questi
presupposti è stato comunque possibile in campo criminologico, utilizzando le
tracce di materiale biologico, anche minime, risalire all’autore di un delitto
o comunque a qualcuno che è entrato nella scena del crimine. Il problema è che il laboratorio è neutro, si limita a
indicare correlazioni, ancorché non ci siano errori e contaminazioni nel prelievo del materiale da analizzare o
semplicemente deteriorazione (quando
intercorra molto tempo tra il momento nel quale è stata lasciata una traccia
biologica e la sua repertazione) o qualche tipo di sovrapposizione a priori o a posteriori, casuale o non (in qualche
caso potrebbe essere perfino lasciata volutamente dall’autore di un delitto per
depistare, la scienza stessa può in qualche caso essere strumentalizzata dal
criminale che possieda sufficienti conoscenze scientifiche).
Ma quanto sopra non
rappresenta ancora il ragionamento che voglio fare e che è di natura statistica.
Domanda. Quando un DNA appartiene alla stessa persona al di là di ogni
ragionevole dubbio? Ci vien detto che la probabilità che due persone (non
gemelli omozigoti) abbiano lo stesso profilo genetico è circa una su 30
milioni. Bene, vediamo a cosa ci porta la statistica.
Un
esperimento mentale
Immaginiamo un pianeta dove
vivano un miliardo di persone e dove sia stato compiuto un efferato delitto.
Immaginiamo che gli organi di polizia siano in grado di effettuare controlli
sul dna della popolazione e che dopo trenta
milioni di controlli ottengano un profilo genetico A (quello del presunto
colpevole) con le impronte biologiche lasciate sul luogo del
delitto (prescindiamo da qualsiasi altra considerazione criminologica).
Ovviamente non potremmo essere certi di aver trovato l’assassino perché sulla
base di un calcolo elementare devono esistere (su base statistica) altri 33,3 individui potenzialmente colpevoli (dando per buono la percentuale statistica).
Facendo altri trenta milioni di controlli infatti (ma solo statisticamente) si
scoprirà un secondo possibile colpevole e così via fino allo screening
dell’intera popolazione con circa 33 possibili autori del delitto (siamo sempre
nel limbo della statistica). Altra cosa sarebbe stato se l’individuo A - già
sospettato per una serie di indizi e altre prove - fosse stato sottoposto alla
prova del Dna che sarebbe andata a completare un quadro indiziario. Mancando
qualsiasi altro indizio non generico o prova provata, la probabilità che A sia l’assassino sarebbe 1 su 33,
dunque altamente improbabile.
Nel caso di Yara, teoricamente
la probabilità in rapporto ai 18 mila campioni sarebbe 18.000/30.000.000 cioè
1666,6 (trascurando eventuali errori concettuali). Sembrerebbe altamente
probabile di aver trovato l’assassino (a prescindere dalle osservazioni
espresse precedentemente – contaminazione,
deteriorazione, sovrapposizione – e da qualsivoglia altro elemento che possa
spigare la presenza del Dna sul luogo del delitto o sul corpo della vittima di
natura del tutto casuale.
Purtroppo però le cose non
stanno così. Si tratta di corrispondenze del tutto teoriche che non tengono
conto della qualità del materiale
repertato (campione "non corrotto"? Contenente un numero sufficiente e
‘limpido’ di informazioni?).
Se la probabilità di una
corrispondenza tra due Dna fosse per
esempio 1 su 18000 il dato non potrebbe essere interpretato come una
probabilità su 18000 che l’imputato sia colpevole. La correlazione è
semplicemente una corrispondenza casuale: una corrispondenza su 18.000
significa che, ogni 18.000 persone, ci si può attendere che ce ne sia una che
presenta quella corrispondenza e che, quindi, ogni 36.000, ce ne siano due,
ogni 72.000, ce ne siano 4 e così via… (Lascio a chi è più esperto di me, un
genetista, indicare la probabilità in ragione del materiale repertato e della
procedura utilizzata).
Questo significa che - in questa ipotesi - se lo screening
avesse riguardato il doppio di individui si sarebbe trovato (statisticamente) un
altro profilo genetico compatibile con quei dati biologici. Su una popolazione
bergamasca di circa 1.100.000 abitanti (ma non possiamo escludere che
l’assassino non sia bergamasco) avremmo un potenziale di 61 possibili autori
del delitto 1.100.000/18000. Paradossalmente è proprio l’alto numero dei
campioni (18.000) a falsare la statistica e a illudere di aver sicuramente trovato l’assassino. Su base
probabilista la possibilità che Bossetti sia l’assassino in questo caso sarebbe
piuttosto bassa, e, se non suffragata da qualche altro
elemento probante, sarebbe puramente illusoria (naturalmente gli inquirenti
possono però essere in possesso di altri elementi di prova che non conosciamo).
In questa ipotesi si tratterebbe di un classico caso di profezia che si
autoadempie…
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3 commenti:
ti sei scordato il dna mitocondriale ossia materno..quante probabilita' ci sono che ci sia un dna uguale a quello sui leggins (ma non appartenente a Bossetti) che in linea materna appartiene ad una donna il cui marito NON ha lasciato il suo dna insieme a lei???
Da ogk
Diciamo che è giunta l'ora di rispondere a questo commento: infatti il DNA mitocondriale trovato non corrisponde a quello di Bossetti! E adesso?
Saluti, ogk (@ostrogotiko)
mi sembra si molto complicato ma gli esperti del'accusa e la parte civile non ci hanno capito un tubo ma sono solo degli esperti in inesperienza e si beano della loro ricerca che porta al nulla,,ma la credibilità di queste persone mi porta a pensare siano dei principianti indi per cui navigano nel'oceano del pressapochismo non credibili in tutti i sensi,,
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