sabato 19 aprile 2014

Se io fossi Alberto Stasi...


Chi ha ucciso Chiara Poggi? Questa sarà la domanda a cui cercheranno di dar risposta i giudici della Corte d'Assise di Milano che il 30 aprile decideranno se accogliere o rigettare le richieste del pubblico ministero e della parte civile. La famiglia Poggi ci spera in nuove analisi e si augura che sul capello biondo trovato nella mano della figlia, sulla bicicletta mai sequestrata e in altra maniera anche sul materiale biologico rimasto sotto le unghie, si nasconda la prova che porti a capire chi ha ucciso Chiara. La famiglia Poggi vuole capire e sapere, per questo ha chiesto anche di rifare la perizia sulla camminata di Stasi al momento del ritrovamento del corpo, compresa del passaggio sui primi gradini che portano in cantina (nella foto il sangue presente di fronte all'ingresso della cantina). In poche parole, i genitori di Chiara vorrebbero si facesse in maniera professionale quanto si sarebbe dovuto fare anni fa. Ed è quanto vorremmo anche noi perché è assurdo pensare che non si debba fare tutto il possibile per scoprire la verità. Insomma, se le sentenze di primo e secondo grado portavano a credere che dopo attenta valutazione tutto andasse a favore dell'imputato (ed io a quelle sentenze ho creduto), ora la cassazione si è accorta che alcune analisi non si sono fatte e che altre risultano incomplete. Per cui tutto salta e occorre dirlo che qualcosa non è andato per il verso giusto. Se ci sono state mancanze, però, non sono da addebitare solo all'inesperienza con cui si è affrontato un simile caso d'omicidio e non sono tutte di un procuratore troppo giovane e al primo incarico. No, troppo comodo anche il solo pensarlo perché ci sono state più udienze e più processi e perché sono stati i giudici ha ritenere inutili nuove perizie o ad accettarne di monche. Ma cosa c'è di inutile quando non si ha nulla in mano e solo il sommare dati ai dati può aiutare a individuare un assassino?

Che il caso di Garlasco sia stato affrontato in maniera poco professionale è certo: basti pensare all'orario della morte spostato continuamente (ancora oggi non si conosce), alle perizie smentite da altre perizie e ai pastrocchi combinati col computer. Ma non solo chi doveva accertare gli eventi e non solo la giustizia hanno creato il caos, anche la maggioranza dei media ha le sue colpe. Come capita sempre più spesso, invece di vigilare con spirito critico e vagliare al meglio ogni informazione che arriva da chi indaga o da chi giudica, la maggioranza dei giornalisti segue quel vento che soffia su quei talk show in cui alcuni opinionisti si sentono autorizzati a calcare la mano unendo le usuali frasi di circostanza agli scoop, che non mancano mai e che molto spesso si rivelano falsi. Quando Alberto Stasi diventò l'obiettivo dei Pm e dei carabinieri, Alberto Stasi fu il primo obiettivo anche di quei media che usavano quanto usciva dalla procura e dalla caserma, e dai giornali, per creare pregiudizi. Poi Alberto Stasi fu assolto e tutto cambiò. Non che il pregiudizio su di lui sia scemato, il pregiudizio una volta inserito non scema mai e impera sul popolano giustiziere, però i media iniziarono a seguire solo i giudizi dei giudici e della Difesa. In linea generale accade sempre così. Pochi giornalisti sono dotati della voglia di leggere in modo logico ogni foglio o di addentrarsi in quanto vien loro detto. Troppo tempo si perde ad analizzare in maniera logica e ad informare in modo diverso e giusto. Forse è per questo motivo che i più preferiscono seguire la corrente. In fondo seguire ciò che fa audience aiuta a ottenere i favori dell'opinione pubblica e dà una buona visibilità (quindi ritorni economici). I nostri genitori ci hanno insegnato che quando si sbaglia, siamo tutti umani e tutti possiamo sbagliare, si deve chiedere scusa. Il brutto della vicenda è che, invece, pochi sono i giornalisti e gli opinionisti che fanno pubblica ammenda quando scoprono di aver spalmato sulla gente il seme del pregiudizio esaltando le notizie non vere. 

Nel caso di Garlasco è indubbio che ci fu un momento in cui lo scoop assunse una rilevanza esponenziale. Partendo da un fotomontaggio e da qualche parola di sconforto, ad esempio, si creò un pregiudizio che portò ad additare (neppure tanto velatamente) le cugine di Chiara: Stefania e Paola Cappa. Sulle sorelle Cappa si calcò la mano perché nel dolore altrui si cela l'audience. Addirittura si scrisse e si parlò di crepe nei loro alibi, nonché di martelli disponibili a una delle due, in un crescendo di insinuazioni a cui nessuno, spettatore o lettore, poteva sfuggire. E questo venne alimentato da altri articoli in cui si scriveva che nella villetta dei Poggi si era trovata un'impronta insanguinata riferibile a una scarpa numero 36/37. Ce lo dicevano i giornali importanti, quelli che si seguono perché non proprio di gossip, che per risultare ancora più credibili citavano anche una superperizia (qui il link). Non era vero nulla. Io ad esempio non sapevo che a processo il RIS non aveva espresso valutazioni in merito alla misura della scarpa e che nessun 'numero' era emerso durante il procedimento. Per cui la stampa per anni ha seguito la tesi della Difesa, che ha ipotizzato una scarpa da donna, e su questa pista ha inserito le menti altrui. Eppure, dice la parte civile, l'ipotesi della difesa era relativa a un'impronta che sembrava di dimensioni inferiori, che quindi poteva appartenere a un'altra persona, ma le verifiche fatte dagli stessi periti del giudice hanno accertato che si trattava della stessa scarpail Prof. Barili ha dimostrato, tecnicamente, la sovrapponibilità delle impronte apparentemente diverse tramite il raddrizzamento fotografico.

Perciò non c'erano scarpe da donna. Ed io mi chiedo perché ancora oggi su internet c'è chi punta il dito sulle cugine di Chiara. Forse perché lo show non ha mai fine? Infatti come è partito il nuovo processo si è ripreso a scavare nel nulla e ad offrire nuovi scoop al popolo. Il teatro è sempre quello mediatico, dove oggi vivono anche nuovi direttori e nuovi settimanali che però si dimostrano antichi e ripercorrono sempre e costantemente la stessa vecchia mulattiera. Ad esempio nella copertina di "Giallo" del 16 aprile, si annuncia a trombe spiegate di aver trovato documenti inediti che scagionano Alberto Stasi. In pratica si tratta di uno scooppone di prima categoria che ha quasi dell'incredibile: il signor direttore Andrea Biavardi ci fa sapere che in casa Poggi, precisamente in cucina, c'era un posacenere sporco di cenere. E per chi scrive su Giallo è strano, anzi di più, perché né Chiara né Alberto fumavano. Capperini che notizia! Davvero c'era un posacenere sporco di cenere in cucina? Certo che c'era! Ma, e mi spiace contraddire quella lettrice che a pagina tre del suddetto settimanale ha dichiarato la sua stima per la testata, che a parer suo scrive di casi seri e umani non trattandoli da gossip, c'è da dire che la scooppata di Giallo è quanto di più ridicolo si possa trovare (vero è che il ridicolo ha una certa presa su buona parte dell'opinione pubblica), visto che già nel 2008 si parlava della nicotina sui capelli e che il posacenere, immortalato sulle foto presenti agli atti, è entrato nei processi e si è vagliato. Tanto per fare un esempio, sul "Il Giornale" si è parlato della nicotina già l'undici gennaio 2008, mentre su Crimeblog del 31 gennaio dello stesso anno (qui il link), in pratica si può leggere la stessa domanda posta oggi dai giallisti di Giallo (la fecero oltre sei anni fa, dunque). Questa domanda: "...E Alberto Stasi non fuma. Chi era in casa con Chiara? Data risposta a questa domanda, sarà svelata l’identità dell’assassino. In breve, questa la strada che le indagini dovrebbero percorrere, a detta della difesa".

Per cui anche la Difesa di Alberto Stasi sin dall'inizio sapeva del posacenere, della cenere e della nicotina. Lo ha sempre saputo e sono avvocati di prima fascia, non galoppini. C'è da chiedersi se i giornalisti di Giallo si son chiesti il motivo per cui i difensori non proseguirono sul filone posacenere. E c'è anche da chiedersi il motivo per cui hanno scritto che la nicotina non può provenire dalle sigarette fumate in cucina dal padre. Si sa che lo scoop non abbisogna di domande, ma io non cerco scoop e domande me ne faccio. Perciò chiedo e scopro che per quanto riguarda la nicotina nei capelli i periti in una udienza del 2009 hanno affermato: "Quanto alle tracce di nicotina nei capelli, considerato che la vittima non fumava, trovano la loro giustificazione nell'esposizione ad un ambiente di fumatori in un periodo significativamente anteriore al decesso, posto che le tracce di nicotina sono state riscontrate in tutti e tre i segmenti: prossimale, intermedio e distale, esaminati - circostanza questa che è sicuro indice di risalenza. In questo senso occorre rilevare che, poiché il padre di Chiara Poggi è fumatore, la stessa abitazione della ragazza era un ambiente in cui era esposta al fumo passivo". Visto che quanto pubblicato da Giallo nel 2014 risale al 2008, dunque non c'è scoop, e visto anche quanto dichiarato dai periti a processo, come confortare l'affezionata lettrice che legge Giallo perché lo crede un settimanale di informazione e non di gossip? Forse dicendole di continuare a leggerlo, se le piace fa bene e in fondo non è un peccato leggere nel 2014 "nuove" notizie datate di sei anni..

Ma torniamo al reale e passiamo a dire che per la parte civile ci sono incongruenze anche quando si parla del bagno. E forse un minimo di ragione ce l'ha. Perché anche non volendo attribuire alcuna valenza all'impronta di Stasi sul dispenser, come vuole la Difesa e come accettato dai giudici, visto che Alberto Stasi frequentava la casa e il sangue sulla pelle si lava anche senza sapone, c'è da tener conto che su quell'oggetto vi era sangue, come sul tappetino, e che il combur test nel lavello è risultato positivo. Per cui se il sangue di Chiara è sceso in quel lavello e l'assassino si è lavato in quel bagno (almeno la faccia e le mani), la tesi accettata in due gradi di giudizio è quantomeno strana, visto che per i giudici chi si è lavato non ha lasciato nessuna impronta digitale (le uniche sono di Chiara e Alberto). Come strana è la mancanza di tracce ematiche sulle suole delle scarpe di chi ha camminato per le stanze senza guardare. Eppure le perizie, quella del dottor Boccardo (accusa) e quelle dei periti del giudice, ci hanno detto che non c'era nessuno spazio per passare senza calpestare il sangue. I giudici hanno giustificato la mancanza di tracce ematiche con altre perizie che tenevano conto della essiccazione e delle quasi venti ore trascorse fra il ritrovamento del corpo e il sequestro: ma è possibile che nei pori delle suole su cui ha camminato lo Stasi (l'analisi delle suole ha dimostrato che presentano numerosi pori e cavità) siano presenti tanti minerali dovuti all'uso e neppure una minima traccia riferibile al sangue?

Un'altra stranezza a cui passiamo sopra. Cambiamo lato e parliamo di un'altro tassello che per la parte civile mostra mancanze: il capello sporco di sangue trovato sul palmo della mano di Chiara. Il 12 marzo 2008 i giornali riportarono la decisione del procuratore Muscio di affidarsi a due biologi di Pavia per stabilire, partendo dal mitocondrio, almeno un dna parziale: questo perché a causa del sangue presente sul capello il Ris non riuscì rilevare il dna nucleare. Eppure la cassazione un anno fa ci ha detto che il dna mitocondriale non si sa quale sia e che sarebbe giusto farlo conoscere ai nuovi giudici. La difesa di Stasi, anche in questo caso come in tutti gli altri, si oppone all'analisi. Gli avvocati fanno di certo il loro lavoro al meglio, niente da dire, ma per arrivare a una migliore comprensione dell'evento criminoso, a mio parere, per l'imputato non sarebbe affatto "un male" far scoprire la provenienza di quel dna, visto che dovesse pure risultare identico al suo non darebbe assolutamente la prova della sua colpevolezza, mentre se fosse diverso, paradossalmente, potrebbe essergli utile ed arrivare persino a scagionarlo. Infatti se ad uccidere Chiara fosse stata una persona non originaria della Lombardia, il dna mitocondriale di quel capello potrebbe arrivare a dircelo.

In un certo senso, però, la Difesa segue una giusta linea professionale inattaccabile. Negli anni ha ottenuto due sentenze favorevoli e non deve cercare una verità investigativa: non sono gli avvocati difensori che devono aiutare la giustizia, loro devono scagionare chi difendono. Niente altro. E in fondo, se quel capello fosse compatibile a quelli del loro assistito correrebbero il rischio di trovarselo come un indizio a carico, da sommare ad altri, anche se potrebbe essere caduto dalla testa di Alberto nei giorni precedenti e rimasto attaccato alla mano che strisciava sul pavimento nel momento in cui il cadavere è stato spostato, grazie al potere adesivo del sangue. La linea fra ipotesi di verità e fantasia è sempre sottile quando si valuta basandosi sugli indizi. E probabilmente neppure il Pg di cassazione ha ragione quando si dichiara certo della colpevolezza di Stasi. Lui crede che Alberto sia dovuto andare alla villetta di Chiara per via di una risposta muta di dodici secondi. Una risposta ascoltata dopo le tredici, quando telefonò al numero di casa Poggi. Per il Pg quella risposta, che si ipotizza dovuta al sistema d'allarme, lo mise in agitazione facendogli pensare che la fidanzata potesse non essere morta come credeva. Ma la sua ricostruzione, come tutte le altre, è ipotetica e non aggiunge nulla di solido. Ora come ora, quindi, si deve ancora dire che probabilmente Alberto Stasi è innocente e altrettanto probabilmente si può pensare che anche questo processo si concluderà con la sua assoluzione (troppe le incongruenze che porteranno gli indizi a non incastrarsi uno all'altro in maniera univoca in mancanza di un orario certo dell'aggressione). Ma tutto questo si scontra con la memoria di Chiara e con il fatto che è morta e si dovrebbe far di tutto per scoprire il nome del suo assassino.

Certo è che la paura di finire in carcere toglie il coraggio, ma se io mi chiamassi Alberto Stasi, se fossi stato il fidanzato di Chiara e l'avessi amata, se sapessi di non aver ucciso nessuno e di non aver usato con le suole sporche di sangue la bicicletta che si vuole analizzare, se sapessi di non essere stato graffiato da lei, se sapessi che il capello trovato nella sua mano non può essere mio... beh, a costo di diventare la vittima di un processo sbagliato (quando si ragiona solo con gli indizi gli errori giudiziari possono capitare), non porrei ostacoli e cercherei di aiutare la giustizia autorizzando ogni perizia e ogni analisi. Anche perché, risultando estraneo al delitto, quindi innocente, darei finalmente il via a nuove e migliori indagini che potrebbero portare all'arresto del maledetto che ha ucciso la donna con cui avrei desiderato vivere.

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8 commenti:

Anonimo ha detto...

Beh, comunque, scoop o no, la domanda resta. Non la nicotina nei capelli, che quella è spiegabile data la convivenza col padre fumatore, bensì proprio la cenere trovata nel portacenere dove però non vi erano mozziconi di sigaretta (che l'assassino avrebbe ovviamente rimosso per non lasciare tracce di dna). Chiara era ordinata e precisa, al momento del ritrovamento la casa era in ordine e pulita, in cucina non vi era alcuna stoviglia sporca dunque è impensabile che Chiara abbia lasciato un portacenere sporco dopo che i genitori erano partiti da una settimana.
Poi c'è la testimonianza di un operaio (mai entrata nel processo) che dichiarava di aver visto in orari compatibili col delitto una donna su una bicicletta come quella descritta dalla vicina che aveva con se un oggetto contundente assimilabile ad un attizzatoio o similare.
Un altro particolare (anche questo pubblicato da "Giallo" qualche mese fa) è il fatto che la bicicletta della mamma di Alberto (quella simile alla bicicletta indicata dalla vicina) si trovasse, all'epoca dei fatti, in un magazzino della ditta del padre di Alberto, magazzino dotato di un allarme "con memoria", ossia, tutte le volte che l'allarme veniva inserito e disinserito la memoria ne teneva traccia e non risulta niente, nessuna operazione di disinserimento e reinserimento nel periodo del delitto.
Non che io sia, come la lettrice, un ammiratore del settimanale "giallo" che trovo di un colpevolismo assurdo (ma si sa sono le leggi dell'audience, un colpevole fa maggior tiratura di un innocente), però per una volta che provano ad essere innocentisti non me la sento di dargli contro su questo.

Stefano

PINO ha detto...

L'esposizione riassuntiva dei fatti, così come l'hai composta, è molto chiara, caro Massimo. Resta, senza dubbio, la mancata risposta a quesiti importanti, mai evasa nei due precedenti processi, su cui la Parte Civile e la Cassazione hanno imperniato l'attuale "revisione".
E da parte mia, non sarei tanto sicuro sulle :" incongruenze che porteranno gli indizi a non incastrarsi uno all'altro in maniera univoca". Per farli quadrare, senza convinzioni aprioristiche, basterebbe diversa volontà e indiscussa professionalità.
Senza essere necessariamente un "forcaiolo", non metterei la mano sul fuoco, sull'estraneità dello Stasi, per la morte della povera Chiara: molte stranezze che hanno accompagnato la tragedia, non sono state chiarite.
Ciao, Pino

Anonimo ha detto...

Però Pino a me spaventa gia solo la premessa "per farli quadrare" quando non anche il seguito "senza convinzioni aprioristiche basterebbe DIVERSA volontà e (in)discussa professionalità"...
Laddove noi viviamo in un sistema giudiziario dove i giudici, se vogliono, riescono a motivare la condanna di qualcuno per aver rotto i denti ad un altro semplicemente somministrandogli del brodo...
A volerlo dunque, in un tribunale si fa sempre quadrare tutto, quali sarebbero per te queste stranezze non chiarite?
Io invece, a malincuore (non la stimo granchè), stavolta mi trovo d'accordo con la criminologa Bruzzone quando dice che l'alibi di Stasi è straprovato dalla sua attività al computer e, a differenza sua, non lo considero solo un alibi temporale quanto anche psicologico.
Chi, non essendo un criminale seriale, dopo aver commesso un delitto, riuscirebbe a continuare a lavorare alla tesi di laurea e soprattutto a prendersi un break, tra uno scritto e l'altro, rilassandosi guardando un video porno???
Comunque, sono concorde sulle analisi, a mio avviso l'analisi dirimente sarebbe quella sul cd "materiale sottoungueale", quello trovato nelle unghie di Chiara, sempre che ne sia rimasto in quantità sufficiente e sufficientemente conservato.

Stefano

Anonimo ha detto...

..se è per la camminata e il mancato sporcarsi della suola, si dimentica il fatto che, quando qualcuno si muove in un ambiente "ostile" (e tale deve averlo percepito Alberto notando le macchie di sangue appena entrato), tende (inconsciamente) a muoversi sulle punte, non appoggia tutta la suola, quindi è sbagliata l'idea di rifargli fare il percorso facendogli appoggiare tutta la suola o di calcolare la distanza tra le macchie di sangue e commisurarla all'intera misura delle scarpe laddove la punta delle stesse occupa una porzione di spazio molto minore (per non parlare della secchezza delle macchie, che sempre sulla punta, non sulla suola pregna di increspature, potevano anche non attecchire).

Stefano

PINO ha detto...

@ Stefano,
far "quadrare" indizi e tutto il resto, non significa farli "quadrare" in direzione dell'unico indiziato. Ma seguire l'operazione, appunto come ho scritto, senza preconcetti.
Un assassino/a c'è. Non è stato un fantasma ad infierire crudelmente sulla ragazza. Che si cerchi, bene e più profondamente, quindi, senza tralasciare quei dettagli ritenuti "inutili e superflui", così come richiesto dalla p. c. e dalla Cassazione (e non sono pochi), riconsiderandoli alla luce di un ottica "sterilizzata" al 100%.
Per quanto riguarda le mie personali sensazioni a "pelle", esse restano tali, pronte, però, ad essere neutralizzate da risultati al di sopra di ogni dubbio.
Pino

Anonimo ha detto...

è stato Stasi. Troppo lungo spiegare perchè. Se non lo incastrano è perchè le cose sono state fatte male al principio. Ma è stato lui.

Ivana ha detto...

Sono pienamente d'accordo:
anch'io "se io mi chiamassi Alberto Stasi, se fossi stato il fidanzato di Chiara e l'avessi amata", se sapessi di essere innocente, allora non avrei posto alcun ostacolo, anzi avrei cercato, da subito, di collaborare con gli inquirenti accettando volentieri ogni perizia e ogni analisi richiesta, in modo che la mia collaborazione potesse rappresentare lo sprone a ulteriori e approfondite indagini, che avrebbero potuto condurre all'arresto di chi effettivamente avrebbe distrutto non solo la vita della mia fidanzata, ma anche la stessa mia vita, tormentata sia dal dolore della perdita, sia dal sentirmi ingiustamente sospettato, sia da eventuali, anche se non giustificati, sensi di colpa per non essere stato con lei al momento dell'aggressione...

Ivana ha detto...


A Giusi Fasano del Corriere della Sera l’avvocato Giarda ha detto:
«Dunque. Vediamo se ho capito bene. Alberto avrebbe fatto questa cosa gravissima di scambiare i pedali delle sue biciclette nei sette giorni dopo il delitto e però nei sette anni successivi non gli è mai venuto in mente di disfarsi di quegli stessi pedali che oggi proverebbero quello scambio. Giusto?» Fabio Giarda non aspetta risposta. «Lo capisce chiunque – dice – che questa tesi non sta in piedi. Non scherziamo…È una follia…».

Come poteva disfarsi dei pedali della bicicletta nera se mancava ancora il terzo grado di giudizio? Se (proprio come ora è avvenuto!) gli fosse stata sequestrata la bicicletta nera, l'avrebbe presentata senza pedali? Che giustificazione avrebbe addotto?
Perché l'avvocato Giarda non ha immediatamente e tranquillamente replicato? Alla difesa necessita tempo per costruire una spiegazione convincente?