lunedì 3 febbraio 2014

SPIRITISMO E GIURISPRUDENZA

Un curioso episodio degli inizi ‘900,
per risolvere un caso di omicidio

Di Manlio Tummolo

Bertiolo (UD), Settembre 2011


Prefazione: Quale potrebbe essere la tecnica più semplice, o“l’uovo di Colombo”, per individuare l’autore di un omicidio, se non interrogare il morto stesso? Volendo applicare il criterio della semplicità, che qualcuno scambia col “rasoio di Ockham”, che, viceversa, era tutt’altro, la cosa più semplice sarebbe quella di fare domande al morto stesso: “Chi ti ha ucciso?” e il morto, con la tipica voce a lenti giri e cavernosa, risponderebbe subito “E’ stato Bertoldo”, e poi spiegherebbe tutte le modalità dell’omicidio stesso. Ma il problema più difficile sarebbe, appunto, quella di riuscire a stabilire un contatto col morto e farlo parlare, perché poi i morti, stranamente, avrebbero bisogno, secondo queste ipotesi e procedure, di parlare con strumenti eccezionali e con eccezionali misure. Generalmente non parlano con la propria voce ma con quella dei cosiddetti “medium”, termine usato senza declinazione, ma se si rispettasse la lingua latina, al plurale dovrebbe dirsi “media”, però non ha più la stessa efficacia nell’uso comune, anche perché confondibile con apparecchiature video-sonore. Il tentativo di colloquiare con i morti è antichissimo (necromanzia o negromanzia, condannata dalle più varie religioni), si sa, ma solo tra fine Ottocento e inizi Novecento, negli USA, Paese celebre sempre per il suo alto spirito scientifico, empirico, sperimentale e tecnologico, si pretende di formulare una procedura, un “protocollo”, non più con criteri magici ed inspiegabili, bensì in forma propriamente “sperimentale”, ovvero scientifica e ripetibile.

A molti la cosa sembrerà vagamente lugubre o ridicola, eppure tuttora molti altri prendono sul serio la faccenda, e creano una teoria abbastanza complessa per spiegare come mai i morti, liberi dal corpo e quindi da rapporti e da legami terreni, si interessino ugualmente a scendere sulla Terra per venire a dialogare con i viventi. Uno di questi elementi di interesse non è tanto costituito da nostalgia, quanto da un legame ancora “fisico” col mondo da parte dell’anima, fino a sua completa evoluzione, per cui soltanto al termine di questa evoluzione se ne distaccherebbe del tutto. Ma il problema essenziale restava (e resta tuttora) la possibilità di dialogare col morto, sia con un linguaggio simile all’alfabeto Morse, costituito da colpi sul tavolo, sul muro, sulla porta, sia con la voce del “medium” (generalmente una donna, chissà perché), che entrava nello stato di trance (uno stato in cui il soggetto mediatore perde la sua personalità ed assume quella dell’essere che entrerebbe in lui) e cominciava a parlare con una voce e talvolta con una lingua non sua. Lo stato di trance, vero o falso che sia, autentico o recitato, dovrebbe riprodurre una condizione inconscia, quasi una forma di sonno nella veglia, di cui la persona del medium neppure si rende conto (al risveglio, spesso anche doloroso, dice di non ricordare nulla). Talvolta l’anima del morto si manifesta con fenomeni di “lievitazione” dei corpi (il celebre tavolino che si alza da solo), con lo spostamento di oggetti, e via dicendo. Generalmente tutto questo avviene al buio quasi totale, si presume perché i fantasmi abbiano paura della luce, come i viventi del buio, oppure perché il loro materializzarsi è visibile solo al buio, come la fosforescenza. Naturalmente la possibilità di trucchi ed imbrogli da baraccone è elevatissima, e gli stessi spiritisti lo riconoscono, ma restano sempre i casi inspiegabili.  

Ora, qui non mi interessa tanto analizzare questi eventi, se veri o falsi, truccati o meno, quanto esaminare un episodio storico avvenuto tra il 1916 ed il 1918, riguardante appunto un omicidio risolto con procedura spiritistica e telepatica. Tale episodio viene dettagliatamente descritto in una Rivista, allora di larga fama, “Luce ed Ombra”, pubblicata dall’Editrice Marzorati, e con pretese scientifiche. Ad essa collaborava il celebre spiritista Ernesto Bozzano, il Marzorati che la gestiva, l’avvocato Francesco Zingaropoli (autore del saggio qui in esame) e, dalla parte opposta lo psichiatra e docente universitario Enrico Morselli (insieme al triestino Edoardo Weiss che invece ne fu seguace, uno dei primi studiosi e critici di Freud in Italia, alla cui teoria psicoanalitica dedicò due notevoli volumi. Morselli si occupò anche di spiritismo, negandone la natura “spiritualistica” o “animistica”, per portarla su livelli di auto-suggestione singola o collettiva). Volendo essere immodesto, come sempre, ricordo anche che vi collaborò con articoli e polemiche (buon sangue non mente) mio nonno Vincenzo Tummolo, in opposizione sia alle teorie di Bozzano che di Morselli, alcune delle quali reperibili su INTERNET. Mio nonno Vincenzo fu traduttore dal francese di “Animismo e spiritismo” di Aksakov spiritista russo, ed autore di un’opera dettagliata per il tema “Sulle basi positive dello spiritualismo”.

Altra premessa da fare. Per spiegare come mai fenomeni metapsichici o paranormali o parapsicologici, che dir si voglia, entrarono in discussione nell’ambito di un processo penale, occorre chiarire alcune cose sulla mentalità giuridica che, nel pensiero comune e nel vanto degli stessi giuristi, appare come il massimo della razionalità e della concretezza, dunque il rifiuto assoluto verso ciò che esce dagli schemi realisti o pratici della conoscenza umana. In verità di questo c’è sì l’ambizione, il vanto, ma non la corrispondenza né nella natura intrinseca, direi congenita, del pensiero giuridico specialmente tradizionale, né nella metodologia che procede per tassonomie o classificazioni, non per ragionamenti induttivi o deduttivi. Il procedimento giuridico si fonda sulle classificazioni astratte, non collegate alla realtà, ma preposte all’esame dei fatti che vengono di volta in volta incasellati in queste fattispecie tradizionali. Per rendersi conto ancora meglio di questo procedimento non razionale ma puramente classificatorio, occorre risalire alle origini del pensiero giuridico, che sono sempre religiose, in tutti i popoli e culture. Anche qui non posso granché approfondire tale aspetto, ma rinvio a Carla Faralli “Diritto e Magia”, ed. CLUEB (Bologna, 1992), dove espone la critica di Haegerstroem ed altre nelle quali si va sottolineando la natura originariamente religiosa e magica del Diritto, specialmente romano, ma potremmo anche aggiungere quello di ogni altro popolo. Non è un caso che i primi giudici furono re-sacerdoti,  caste sacerdotali ecc. Sempre qui si potrebbe citare l’opera di Claudio Saporetti “Antiche Leggi”, ed. Rusconi (Milano, 1998). Questa mentalità si proietta poi nel tempo e, ancorché adattata, limitata, corretta e riveduta, vige tuttora; resta tutt’oggi al magistrato una figura “sacrale”, quasi dell’Ispirato da Dio, l’Infallibile, Colui che conosce la verità per immediatezza, grazie a rivelazioni divine o angeliche, qui poco importa; da ciò deriva la sua simpatia verso il “sensitivismo”, il veder le cose non con gli occhi ma con la mente anche a distanza. E’ di questi giorni la notizia di un giudice italiano che pretende, soltanto guardando la fotografia di un’assassinata, di capire chi sia l’assassino. Non è un caso che la cosiddetta “toga”, indumento comune ai giuristi ed ai professori universitari fornito di fronzuli penduli e dorati, ricordi molto il mantello farisaico, descritto ed irriso da Gesù Cristo, in Matteo 23. 5, così come i colori, nero o rosso, sono quelli prediletti dalle caste sacerdotali (anche demoniache, a dire il vero).

In questo tipo di mentalità è facile che emerga, tanto il rifiuto assoluto di ogni astrazione razionale (e quindi il puro emprismo materialista) rivolto soprattutto contro la filosofia vista come un’elaborazione da “romanzo”, quanto, insieme oppure in contrapposizione, anche la credulità di fronte a fenomeni non razionalmente spiegabili, veri o falsi che siano. In fin dei conti, scetticismo assoluto e fideismo assoluto sono gli estremi di una stessa linea, ovvero il rifiuto di un procedimento che, grado per grado, giunga a determinare una conoscenza, per quanto relativa e limitata, ma controllabile, dei fenomeni o delle teorie. Nel caso che sto per prendere in esame, sembra che sia prevalsa nei magistrati degli almeno due gradi di giudizio proprio la credulità, il dare per buona, assodabile ed assodata, la rivelazione, tramite telepatia nella fase agonica prima e post mortem poi, da parte dell’assassinato, sulla persona del proprio assassino .

I testi, sotto citati, di “Telepatia e Giustizia”, il cui autore fu l’allora celebre studioso di spiritismo Francesco Zingaropoli di professione avvocato (costui si occupò anche di cause civili collegate a case infestate da spiriti), vengono riportati dal fascicolo di “Luce e Ombra” del dicembre 1918, pagg. 15 – 31. La pretesa del lavoro è di essere opera scientifica, tale da servire da modello per successive esperienze processuali:

“ La monografia che sotto questo titolo fu scritta dal sostituto procuratore del Re [1] Avv. Alessio Milone e pubblicata nel fascicolo luglio-agosto 1918 della Rivista ‘La Scuola positiva’ di Roma, diretta da Enrico Ferri [2], trae occasione da una causa dibattutasi nello scorso anno innanzi la Corte di Assise di Lucera a carico di Garibaldi Veneziani imputato di omicidio in persona del Conte Ubaldo Beni da Gubbio. E’ la prima volta che un magistrato di larghe vedute [la sottolineatura è mia] rappresentante del Pubblico Ministero, non esiti a proclamare:

"Il fenomeno telepatico che riferiamo ha una particolare importanza per avere avuto l’onore di un accertamento giudiziario…"

Or, siffatta preliminare affermazione ha una portata incommensurabile ed apre, nel campo del Diritto, nuovi orizzonti che non tarderanno a sconvolgere i vecchi codici ed a modificare gli antiquati concetti antiscientifici della responsabilità penale non più rispondenti alle risultanze delle attuali ricerche psichiche. Si tratta di accertare se i fenomeni sono o non sono. Questo semplice [!!!] accertamento ha lasciati fin’ora titubanti giureconsulti, giudici e difensori: ma la verità è in marcia e anche la Giustizia si evolve. Il dibattito cui accenno ne è l’indice: tutta la sua importanza non è tanto riposta nel sostrato del fenomeno telepatico; ma quanto all’averlo rilevato ed, accertatolo, nel discutere della sua forza probante in concorso delle altre prove processuali. Ed il Milone, nel pronunziare la requisitoria [3] e nell’illustrarla, più tardi nella sua monografia, dovette ricordarsi, non è da dubitare, dell’asserto di Cesare Lombroso [4]: ‘I fatti esistono ed io, dei fatti, mi vanto di esserne schiavo!’.[5]

Per quanto ne sappia, la Giurisprudenza successiva non sviluppò nella pratica processuale simili teorie paranormali o parapsicologiche, certamente tuttavia vediamo spesso la tendenza nei magistrati di indulgere a pratiche che nulla hanno di scientifico (per il semplice fatto che non sono riproducibili e verificabili, anche ammettendo la loro verità ontologica), come il sentire veggenti o il trasformare sogni ed allucinazioni in realtà comprovate. Questa indulgenza e questo interesse a fenomeni paranormali, applicato alla realtà processuale, alle indagini, rischia di provocare forti distorsioni nell’andamento giudiziario, spingendolo sulla strada dell’inaccettabile e del ridicolo, mentre invece il dover decidere sul futuro di molte persone implica la massima serietà e il massimo rigore metodologici, anche per una fatto di coscienza civile e professionale. Senza escludere in assoluto l’esistenza di fenomeni eccezionali di natura fisica, psichica o mista, siamo tuttora ben lontani dal capirme i meccanismi, per cui la pretesa conoscenza di questi fenomeni è inapplicabile alla ricerca scientifica vera e propria ed all’attività di tipo giudiziario. L’Autore cita del Lombroso stesso il criterio discriminante su questi fenomeni e la necessaria cautela da adottare di fronte a chi ne vanta la conoscenza, o di dominarli o di utilizzarli:

“Ma v’ha anche la timorata preoccupazione racchiusa nella proposizione che con una allucinazione telepatica non si manda in galera la gente. Come magistrato e come studioso, penso che il giudice non possa disimpegnarsi dal curare un tale accertamento allo scopo di assodare se sia vero nel senso s’intende, oltre che generico, specifico della verità in ordine a tali fenomeni, col dovuto contributo che devesi assegnare alla suggestione, al caso fortuito, alla strana coincidenza nonché alla ipotesi essenziale agli effetti di una inchiesta giudiziaria, di un trucco che un soggetto processuale o un testimonio, o persona estranea al dibattimento volesse insinuare nella compagine di un processo, per deviare il corso delle indagini o aggravare una tendenza dello stesso”. [6]

Ora veniamo al fatto, così come descritto dal procuratore Milone e riportato dallo Zingaropoli.

Un tale conte Ubaldo Beni da Gubbio conviveva a Pietra Montecorvino, dirigendo una cava di creta per la produzione di sapone, per conto (vedi che curiosità!) della Ditta Kill con sede a Firenze, con la signora Anna Gasparini, con la quale si sarebbe sposato con rito civile (siamo in tempi anteriori al concordato e durante la Prima Guerra Mondiale) appena la signora avesse sistemato alcune faccende ereditarie. Delle spedizioni ferroviarie si occupava un giovane di nome Garibaldi Veneziani (Garibaldi, come d’uso in quegli anni, era un nome proprio, non il cognome), che riscuoteva assegni provenienti da Lucera e firmati in bianco dal Beni. Nel maggio 1916, il Veneziani si appropriò di ben 900 lire (all’epoca una bella cifretta, malgrado la svalutazione bellica) su 1200. Il Beni, accortosene, minacciò il dipendente di denunciarlo. Il Veneziani desiderava altresì sostituirsi al Beni nella direzione dell’azienda. Il 24 agosto (anche questo è curioso: certi delitti avvengono sempre dopo la metà d’agosto!) 1916 il Beni si recò a Lucera con un calesse, seguito dal Veneziani in bicicletta. Il giorno dopo i passanti videro il cadavere del Beni, assassinato sulla strada Lucera-Pietra, e sul suo corpo vennero trovati l’orologio con catena e il portafoglio con 20 lire. Il Veneziani dichiarava di aver lasciato il Beni poche centinaia di metri prima del luogo del delitto, e ben presto fu il primo, se non l'unico, sospettato del delitto. L’uomo inoltre aveva ricevuto parecchi assegni del Beni, per il complessivo valore di lire 1600. Prima negò l’esazione, poi ammise di averla compiuta ma consegnando al Beni l’incasso. Fu quindi arrestato per omicidio ed appropriazione indebita qualificata (la definizione è ovviamente quella del Codice del tempo, ovvero Zanardelli). Contro di lui venne aperto il procedimento penale. Verso la fine dell’istruttoria (allora non esisteva la figura distinta tra P.M. e giudice delle indagini preliminari, ma il solo giudice istruttore, come fino al 1989), arrivarono, da parte del Delegato di Pubblica Sicurezza (la Polizia di Stato del tempo) da Spoleto, due lettere, di cui una della madre del Beni, l’altra della sua convivente signora Gasparini. Seguono i rispettivi testi, come riportati dallo Zingaropoli.

“Ill.mo Sig. Delegato,
Faccio la presente deposizione. La notte del 26 corrente ho la certezza di aver visto svolgersi il delitto che ha colpito il mio povero figlio Ubaldo. Mi pareva vederlo venire sul suo carrozzino, per una strada campestre, quando fu aggredito. L’aggressore aveva un segno particolare consistente in una macchia all’occhio. Il mio povero figlio, caduto a terra per il declivio della strada, fece come una mossa. L’assassino,vedendo questo, si diede a fuga precipitosa. E in fede per la verità. Caterina Beni“ [7]

E’ facile verificare che la donna, sogno o allucinazione che sia la sua, non vede un omicidio, vede una caduta, vede un moribondo che ha spasmi di agonìa, vede l’”assassino” che fugge, ma in realtà non vede la serie di colpi che avrebbe inferto al figlio. Vede altresì che l’uomo ha una macchia nell’occhio, ma stranamente non ne vede il volto. La convivente della vittima aggiunge poi un’altra versione, dove si definisce moglie della vittima e ne assume il cognome, pur essendo stato scritto che tale ancora non era. Vediamo:

“Ill.mo Sig. Delegato,
Io dichiaro che, nella notte del 24 corrente, mentre ansiosa aspettavo il ritorno di Ubaldo, ho visto a me davanti mio marito il quale mi ha detto: Vedi? mi hanno levato le briglie del cavallo dalle mani. Cerca il traditore. La persona che ha fatto questo ha una macchia nell’occhio. La mattina di poi parlai subito del su detto a Filomena Ramponi a Pietra Montecalvino e lo raccontai al principe Strozzi di Firenze. In fede di ciò, con perfetta osservanza. Anna Beni” [7]

A parte l’illegittimo uso del cognome del convivente, cosa che non costituisce un bel segno di buona fede della signora Gasparini, va segnalato che questa lettera è datata 1° settembre 1916, mentre quella della madre non ha data. Una tuttavia sogna il giorno 24, l’altra sogna il 26 agosto. Nessuna delle due vede un omicidio, la seconda parla di “briglie”, il che poteva far intendere la sola direzione dell’azienda a cui il presunto assassino aspirava. Di comune, la “macchia dell’occhio”. Ora, sta di fatto che tanto l’una quanto l’altra avrebbero potuto aver conosciuto il Veneziani e sapere che avesse tale macchia. E’ evidente che le due signore si sono influenzate in merito al sogno e al suo significato. Ma vediamo che cosa ne fa il procuratore Milone il quale, dopo aver osservato che né il delegato di Pubblica Sicurezza, né il giudice istruttore Uccello, presero sul serio come fatto penale tale “denuncia” (e il motivo appare evidente, non rientrando sogni e visioni in un materiale probatorio), dopo una premessa aggiunge :

"… Occorre… avvertire che il Veneziani ha in effetti una macchia bianca all’occhio sinistro [8], quasi impercettibile - di cui avevano scarsa contezza anche coloro che vivevano con lui in consuetudine di vita".

Nel dibattimento presieduto dal barone Giandomenico Magliano, tra i più intelligenti ed esperti presidenti di Assise, la difesa, rappresentata da due campioni del Foro di Capitanata, il prof. Michele Longo e l’on. Matteo Amicarelli, suscitò l’interessamento sul ‘caso’ ponendo in essere la eventualità di un trucco della moglie dell’assassinato. Trattandosi di processo indiziario che si fondava massimamente su di una imponente causale [9], l’abilità di due illustri difensori era tesa a presentare ai giurati altra ipotesi di causale, tra cui una, vagamente designata, senza che fossero stati fissati i contorni, alla quale non sarebbe stata estranea la Gasparini, discreta accusatrice del Veneziani. Come per tacita intesa, l’accusa pubblica... e l’accusa privata [parte civile, diremmo oggi], rappresentata dall’illustre avvocato Ettore Valentini, seguirono l’impulso di fedeltà alla tradizione, come se un certo ‘pudore’ le trattenesse dal trarre materia di convincimento da fenomeni di tal genere. Nella discussione orale la trattazione si limitò a due punti essenziali: 1° serietà del fenomeno; 2° eventualità di un trucco della Gasparini. Questa dimostrazione era doverosa ed essenziale perché, trattandosi di un processo indiziario, occorreva esaminare gli altri eventualmente interessati [10] a sopprimere il conte Beni e specie l’atteggiamento della donna che con lui conviveva…”. [11] 

Bel lungi, quindi, dal farne una santa o una pura vittima del reato, gli inquirenti rivolgono anche a lei l’attenzione, come possibile complice o mandante del delitto, così come di altri personaggi attorno alla vittima. Tuttavia, sempre secondo l’illustre procuratore Milone, la realtà del fenomeno telepatico era effettiva. Del sogno fu informato il fratello del Beni, ovvero Renzo, mentre la sorella del Beni, di nome Elisabetta, chiarisce meglio i dettagli del sogno della madre, avuto nella notte tra il 25 e il 26 agosto, quando la morte della vittima era stata appena comunicata dalla Gasparini con telegramma, Secondo l’Elisabetta Beni, i particolari dell’occhio vennero conosciuti solo in un momento successivo dalla madre, il che proverebbe la spontaneità della visione notturna. Inoltre, tale fatto della non ancora avvenuta conoscenza di tale dettaglio dell’occhio fu comprovata da quanto aveva testimoniato altro agente di Polizia, il delegato Rella che il procuratore definisce “funzionario valente e retto”. Questo Rella testimoniò che la comunicazione della madre sul sogno era avvenuta “uno o due giorni dopo l’assassinio”, ovvero il giorno della sua denuncia, sopra riportata. Anche la signora Filomena Cologrossi testimoniò in merito a questi particolari del sogno, la cui data venne pure provata dalla testimonianza della domestica di altra signora di cognome Fratellino, che si chiamava Felicetta Loreti. Insomma, un codazzo di donne, a parte gli agenti di polizia, allora rigorosamente tutti maschi, costituirono il coro di conferma che la signora Beni aveva avuto la visione del figlio e dell’assassino con l’occhio macchiato la notte tra il 25 e il 26 agosto. Il procuratore inoltre, alle note 1 e 2 [12], ripete anche il nome del principe Leone Strozzi, il quale non fu presente al processo, ma confermò la notizia con rogatoria dell’11 novembre 1917.

“… Per ammettere un trucco o una suggestione di una delle due signore verso l’altra, o più particolarmente della Gasparini verso la madre del Beni, occorrerebbe distruggere questa contemporaneità imponente di riferimenti avvenuta poco tempo dopo il delitto, a distanza di centinaia di chilometri, quando non vi era stata altra corrispondenza oltre quella telegrafica…” [13].

E qui, ahi noi !!, casca l’asino, perché il buon procuratore Milone crede sì alla telepatia, ma solo tra la vittima, supponiamo morente e poi morta, e le due donne, ma stranamente non suppone che la telepatia possa essere avvenuta tra due donne viventi, legate affettivamente ad uno stesso uomo, il che la dice molto lunga sulla serietà di questa narrazione. In sostanza, il Beni trasmetterebbe bene, da morente e da morto, il suo pensiero rispettivamente alla convivente ed alla madre, ma le due donne fra loro avrebbero solo contatto telegrafico, e non telepatico. Non so se gli avvocati del Veneziani, colpevole o innocente che fosse, ma comunque assai disgraziato nell’incontro con un magistrato credente nei fenomeni telepatici a senso unico e scartamento ridotto, avessero sollevato questo interrogativo.

Torniamo alla visione della madre del Beni, Caterina, sulla quale si dice più avanti che ebbe la visione non come semplice sogno nel sonno, ma in stato di dormiveglia, il che ricorda più propriamente un’allucinazione, mentre la domestica Loretta Felicetti ne fu informata dalla figlia Elisabetta. Come si vede, questo passare di bocca in bocca, e quasi sempre tra donne, è una caratteristica ancora viva ai giorni nostri. In un’altra nota [14] lo Zingaropoli aggiunge che, “a titolo di curiosità”, dopo la decisione della Corte, corse voce che un disertore, nascosto nel boschetto denominato “Cavalli” (presumo dal suo proprietario) avesse visto ben tre individui, tra cui il Veneziani, assassinare il conte Beni. Per lo Zingaropoli ciò non aveva rilevanza processuale. Si vede che le visioni di donne erano, per lui e per il procuratore Milone, più importanti dell’eventuale testimonianza, ancorché tardiva, di una persona, la quale, essendo disertore, non avrebbe potuto, salvo arresto e detenzione militare, testimoniare in quel momento su quanto avesse visto. Il processo si concluse con la condanna del Veneziani a 21 anni di carcere, mentre il ricorso alla Corte di Cassazione (sembra non esservi stato prima ricorso alla Corte d’Appello d’Assise, non so se allora esistente, o se invece il ricorso, nella convinzione dell’assurdità della motivazione della condanna sia stato immediatamente rivolto alla Suprema Corte) venne respinto in data 10 aprile 1918. Per capire qualcosa di più sul piano strettamente giudiziario, sulle esatte motivazioni, sarebbe necessario verificare il tutto presso l‘Archivio di Stato di Roma, dove sicuramente tale materiale sarà stato depositato, apparendo assurdo che perfino i magistrati della Suprema Corte di Cassazione si siano fatti incantare dalle visioni notturne di due donne, ma si siano piuttosto basati sulla valutazione dei moventi di tale omicidio, perché se così non fosse, si dovrebbe necessariamente ammettere che non proprio tutte le rotelline, i microingranaggi, le valvole, i transistors e i microprocessori nel cervello dei giuristi professionisti, magistrati in particolare, funzionino in modo ben coordinato, malgrado le grandi riforme di principio e procedurali seguite al razionalismo illuministico. Non disponendo poi di altre fonti sul caso, ignoro anche se il processo sia mai stato rivisto o le indagini siano mai state riaperte.

Lo Zingaropoli allega poi al suo scritto ulteriore docuimentazione, sulla testimonianza della figlia Elisabetta (sorella della vittima), sempre sul sogno, la quale ovviamente ci garantisce che la madre era perfettamente sana di mente e di corpo [15]. Qui, a titolo di conclusione, riporto le teorie del procuratore Milone, in merito al fenomento telepatico-spiritico, sul quale - ovviamente – doveva avere una formazione del tutto personale, completamente avulsa da quella impartita alla Facoltà di Giurisprudenza, dove, forse solo fino al ‘600, si sarà impartita qualche lezione di fenomeni “diabolici o necromantici”, poi qualificati “spiritici” o “paranormali”. Seguono le osservazioni del Milone :

“Il fenomeno telepatico che abbiamo riferito contiene tre speciali caratteristiche comuni a fatti di tal genere: 1° Visione apparsa a parenti o persone care dell’individuo trasmissore. 2° Contemporaneità tra il fatto e la visione, o apparizione di questa poco tempo dopo il fatto. 3° Apparizione durante lo stato di veglia o dormiveglia. Se ci sarà consentito un rapido cenno su quello che a noi pare lo stato attuale delle conoscenze in ordine a tali fenomeni, sarà agevole rinvenire che i particolari suindicati dello avvenimento, mentre rispondono ai caratteri quasi costanti della fenomenologia comunemente intesa, rispondono altresì alla natura e formazione di tale fenomenologia. Recenti studi inducono a ritenere che il fenomeno telepatico o di trasmissione a distanza del pensiero avvenga per ondulazioni vibratorio-eteree [16], cioè in conseguenza del movimento proprio della materia fluidica eterea, onde risulta il così detto doppio eterico, copia esatta del corpo fisico che ne è interpenetrato, ed anello intermedio tra questo e il corpo astrale, sede del desiderio e della vita affettiva [17]. Ammesso che il pensiero, inteso nel suo contenuto complesso di rappresentazioni, di immagini e di idee coi relativi rapporti di spazio e di tempo, sia, rispetto al suo dinamismo, effetto di processo vibratorio delle correnti intercerebrali, è agevole comprendere che siffatto processo vibratorio o movimento etereo si trasmetta da persona a persona, anche a distanza, col ridestare, nel ricevente, il medesimo movimento cerebrale proprio in corrispondenza alla determinazione riproduttiva di tali immagini o idee che si erano destati nel cervello trasmissiore. Chi desiderasse approfondire la ragione del fenomeno potrebbe giungere a ritenere che la trasmissione a distanza del pensiero, effetto di azione dinamica di ondulazioni eteree, sia la conseguenza di unità di forza animatrice della natura, la quale forza, determinandosi mercè la distinzione reale dei fenomeni, permane identica, nella sua azione causativa, all’intima sua qualtà essenziale di moto eterno dell’universo. Nell’antichità FILONE [18] e gli stoici con le teorie del pneuma mostrano di comprendere il duplice composto della psiche, la parte puramente sprituale divina ed eterea e la parte fisica, materiale, fluidica, sottoposta alle accidentalità fenomeniche, con le analoghe leggi dinamiche nello spazio e nel tempo. Tosto che l’anima si stacca dallo involucro fisico resta tuttavia, secondo gli insegnamenti teosofici, circondata dagli altri involucri, tra cui specialmente l’eterico, il quale, per esser più affine alla materia fluidica diffusa, più facilmente rendesi adatto a suscitare, a distanza, movimenti vibratori sia con le percezioni sensibili di fenomeni auditivi ed ottici (voci udite senza che se ne comprenda la ragione, visioni spettrali, ecc.), sia con la riproduzione mentale di fatti, notizie, corrispondenti alla reale esistenza di ciò che avvenga o sia avvenuto a distanza. Come venne osservato dall’AKSAKOV, oggi, grazie alle esperienze ipnotiche, la nozione della personalità subisce una completa rivoluzione. Essa non è più una unità cosciente, semplice, permanente, ma una coordinazione psico-fisiologica, un insieme coerente, una sintesi, un’associazione dei fenomeni della coscienza, un aggregato di elementi psichici: per conseguenza una parte di questi elementi può, in certe condizioni, distaccarsi dal nocciolo centrale al punto che questi elementi prendano pro tempore il carattere di una personalità indipendente…” [19] .

Sicuramente, il procuratore Milone dimostra, a suo modo e per i tempi, una vasta conoscenza della problematica filosofica e naturalistica del tempo, anche se non compiutamente compresa. Vi sono fatti che colpivano i ricercatori di fenomeni paranormali, come quella dei fenomeni elettrici e della trasmissione di voci a distanza (la radio, non ancora la televisione, ma che si fonda sui medesimi princìpi), d’altro lato spiegati in un quadro ancora molto incerto. Lo spiritismo non crede più all’anima in quanto entità metafisica, ovvero del tutto spirituale, ma in una sorta di composto, in cui la materia si rende sempre più lieve, meno pesante (concezione dell’etere come quinto elemento, presupposto fin da Aristotele e poi, reintepretata anche da una certa fisica ottocentesca e novecentesca), ma pur sempre materia. Ora, la natura “materiale” dell’anima e pure del pensiero consentirebbe la trasmissione di idee, sensazioni, sofferenze, ad altre persone anche molto distanti. Siamo quindi, anche qui, ad una fase intermedia tra il magico e lo scientifico, perché di tutto ciò non si spiega il “come” nelle sue varie e complesse fasi, bensì puramente si indicano causa ed effetti,come se fossero un tutt’uno.

Il sapere che tuttora, molti magistrati e giuristi si occupino di queste vicende ed utilizzino informazioni di persone che si qualificano o si spacciano per “sensitive”, capaci di trasmettere o di vedere cose a distanza, denota come la formazione scientifica rigorosa di tale professione ponga gravi perplessità sulla validità epistemologica e critica di ciò che si va insegnando nelle Facoltà di Giurisprudenza, e pertanto sulla scarsa attitudine allo spirito critico, all’analisi ed alla sintesi, alla verifica sistematica di ciò che viene testimoniato o dichiarato dopo esame sperimentale, mentre viceversa si privilegia il puro metodo delle classificazioni artificiose, spesso arbitrarie, di tradizione romanistica, e la pura fede nell’accettazione di realtà che sembrano costituire un’arida caricatura del Mondo Iperuranio, concepito da Platone, ovvero la sintesi tra l’Essere Immobile di Parmenide ed il pluralismo concettuale di Socrate, in cui princìpi giuridici, norme generali e definizioni terminologiche assumono un carattere astratto, completamente avulso dal linguaggio normalmente adottato o dal modo di pensare, sia comune, sia di natura scientifica e razionale di altre discipline.

Note:
[1] Allora l’attività processuale era svolta in nome del Re, ed il procuratore o i giudici agivano non in nome del popolo, bensì appunto del sovrano, il quale, col diritto di grazia, veniva considerato il giudice supremo. L’ottica democratica fa invece del popolo il “sovrano” (collegiale), e quindi anche il supremo giudice .
[2] Enrico Ferri fu uno dei fondatori della criminologia novecentesca, socialista estremo, teorico del positivismo italiano, considerato allora tra i più abili oratori, più tardi aderì anche al fascismo. Può apparire strano che un filosofo positivista accettasse le teorie spiritiste, ma è chiaro anche che non sempre lo spiritismo si concilia con lo spiritualismo, in contrapposizione al materialismo, come infatti osservo verso la conclusione. In un quadro positivista, i fenomeni paranormali o parapsicologici possono essere considerati manifestazioni di una fisica atomica o subatomica (che a cavallo dei due secoli stava nascendo e che doveva finire per travolgere la fisica classica di stampo newtoniano).
[3] Spesso si fa confusione tra “requisitoria” ed “arringa”. Nel linguaggio giudiziario, la “requisitoria” è il discorso finale dell’accusatore, l’”arringa” quello degli avvocati, soprattutto del difensore dell’imputato, ma volendo anche delle parti civili nel processo.
[4] Cesare Lombroso fu, con Ferri, uno dei maggiori studiosi posivisti di psichiatria e di criminologia. Formulò l’idea che il criminale è tale per ragioni genetiche, criticando viceversa le teorie sociologiche, e formulò il principio che, dai lineamenti e dalla forma della testa, si possa dedurre “scientificamente” la natura criminale di un soggetto. Ritenne di corroborare questa concezione con un bel po’ di autopsie e di sezioni del cervello. Questo tipo di ricerca ebbe la conseguenza di far ritenere criminali tutti coloro che avevano certe espressioni e certe caratteristiche fisiche, preludendo anche al razzismo, ma d’altro lato rese meno punitivo il carcere per i colpevoli, i quali risultavano delinquenti, non per una loro scelta cosciente e propriamente responsabile, bensì per loro inveterata natura. Creò così la possibilità di una certa prevenzione che, come la teoria, creò vantaggi e svantaggi per la successiva ricerca crimino-antropologica.
[5] op. cit., pag. 15 .
[6] L’analisi del Lombroso indica bene le perplessità che si dovrebbero avere nel pretendere di inserire in fatti concreti, specialmente se oggetto di indagine e di processo, fenomeni di difficile comprensione, indipendentemente da chiunque voglia appunto farli inserire. Ibidem, pag. 16.
[7] Ambedue le lettere sono a pag. 18.
[8] Si presume, ovviamente, che la macchia “bianca” fosse nella pupilla o nell’iride, in quanto è noto che i bulbi oculari sono del tutto bianchi. Ma il procuratore non lo specifica.
[9] Dovrebbe alludere alla motivazione, o movente, del delitto, che, a parere del procuratore, sarebbe stata “imponente”. Ma qui, più che di trucco, si tratterebbe di reciproca suggestione di due donne, sulla base di qualcosa che non descrive affatto l’azione dell’omicidio, ma solo in parte la conseguenza.
[10] Al di là della telepatia e di fenomeni di trasmissione del pensiero, questo saggio è interessaante dal punto di vista della storia giudiziaria, per le procedure del tempo. Ebbene, una cosa che sembra sfuggire agli inquirenti dei nostri tempi, è l’indagine non solo sul sospettato di primo grado, ma anche su tutti gli altri che potessero essere interessati al delitto. E qui si rileva altresì che, allora, malgrado la farragine dell’argomento e malgrado la guerra, il processo, vero o sbagliato che fosse, durò solo due anni, segno che si lavorava con altro impegno ed altri ritmi.
[11] ibidem, pagg. 18 – 19 .
[12] ibidem, pag. 20 .
[13] ibidem, pag. 20 .
[14] ibidem, pag. 21 .
[15] ibidem, pagg. 22 – 24 .
[16] Ovviamente siamo di fronte a teorie fisiche che in certa misura preparano la concezione einsteiniana del mondo, con atteggiamenti di critica, ancora abbastanza primitiva e superficiale, alle concezioni della fisica classica newtoniana. Anche il linguaggio denota queste incertezze scientifiche .
[17] Volendo qui applicare l’autentico “rasoio di Ockham” (entia non sunt multiplicanda sine necessitate” “praeter necessitatem”: non si devono moltiplicare gli enti, senza che sia necessario, oppure oltre la necessità”) , il filosofo scolastico britannico avrebbe obiettato che, per dimostrare il rapporto diretto tra anima e corpo, non è necessario supporre altri “enti” intermedi, corpi eterei ovvero astrali, ectoplasmi, e così di seguito, ma basterebbe constatare nell’immediatezza che, pur diversi ontologicamente, corpo ed anima hanno questo rapporto, spiegato del resto immediatamente, una volta accettata l’onnipotenza divina, per la quale non c’è impossibilità che tenga nel correlare entità sia pur nettamente diverse nella loro sostanza (semplice quella dell’anima o dello spirito, complessa e mutevole quella del corpo o della materia).
[18] Filosofo ebreo di Alessandria del I sec. d. C., contemporaneo di Caligola, presso il quale fu inviato come ambasciatore della comunità ebraica, e di Gesù Cristo: Filone preparò, con le sue dottrine di interpretazione simbolistica della Bibbia, molte successive concezioni filosofiche cristiane (soprattutto la teoria, di derivazione neoplatonica, del Logos, che, da Giovanni in poi, è la seconda persona, o emanazione, di Dio).
[19] ibidem, pagg. 24 – 25 .
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Da oggi al 23 febbraio riproporrò tutti i Saggi inviati a volandocontrovento da Manlio Tummolo. Mercoledì ripubblicherò: "L'anima di Ponzio Pilato aleggia sul Lungotevere"

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5 commenti:

Anonimo ha detto...

Carissimo Manlio
Complimenti!!! Un bellissimo articolo, godibilissimo e pieno di humor (drammaticamente inteso) di Storia del diritto (o anche di cronaca?) Non so perché la trattazione del Milone mi ha ricordato le macchie sul pigiama della Franzoni. Alle volte le libere associazioni... Comunque un suggerimento, l'articolo merita di essere trasformato in un libro, mantenendo lo stesso registro obiettivo e disincantato che senza polemizzare suscita nel lettore quel misto di stupore e di comicità che sono alla base di un best sellers, naturalmente approfondendo il caso a dovere presso l'Archivio di Stato per ricavarne tutte ulteriori implicazioni. Sono certo che il tuo lavoro avrebbe uno straordinario successo. Mi è piaciuto in particolare lo stile dove l'ironia è solo accennata e per questo lascia al lettore per intero l'onere dell'interpretazione.
Grazie Manlio per il tuo acume e la tua intelligenza.
Gilberto

Vanna ha detto...

Gradevolissima lettura Manlio!

Il tuo racconto è tutto interessante, particolare e intrigante, colorato poi da una leggera pennellata ironica che fa sorridere, riflettendo.

Condivido il suggerimento di Gilberto di trasformare l'articolo in un libro ed aggiungo che oltre le necessarie ricerche archivistiche, si potrebbe dare uno spazio maggiore anche ai diversi contesti locali nei quali si mossero i personaggi e si svolsero i fatti: si aprirebbero ulteriori scenari per "condire" la storia già di per sé succosa.

Quindi non sparire, qui siamo in attesa di ogni tuo nuovo dono.

Grazie!

PINO ha detto...

Caro MANLIO,
Mi associo in concerto con l'intero tuo spartito: arguto e piacevolmente umoristico (salvo una differente valutazione sulla casistica parapsicologica).
Non sarebbe opportuno fare una ricerca...genealogica, per vedere se, per caso,il Procuratore del Re Miloni non abbia discendenti approdati a Taranto?
Sai, trattandosi di questione di "sogni"...non sarebbe, poi, tanto assurda...
Salutissimi, Pino

Vito Vignera da Catania ha detto...

Carissimo Prof Tummolo e Lei avrebbe il coraggio di abbandonare il blog dopo un articolo del genere? non sia mai,un comandante non abbandona mai la nave.I suoi commenti, il suo humor e la sua grande cultura sono utili per il proseguo di indagini e quant'altro si discute sul blog.Ammetto di aver sorriso leggendo il racconto che ci ha proposto,un po ironia non guasta mai,requisitorie e arringhe a dir poco fantasiose,altri tempi e altro tipo di indagini,anche se a Taranto non è che siano poi cosi lontani da questo passato giudiziario,gli anni passano ma il sistema non cambia,accuse che a volte si basano sul nulla,anzi per esser precisi su sogni e certi ricordi che tornano a mente,qualcuno una mano la deve pur dare ai Ss inquisitori,altrimenti come farebbero ad arrestare i veri colpevoli.Tutti sono utili nelle indagini,anche i pazzi,altrimenti come potremmo leggere certe motivazioni che motivano il nulla.Un cordiale saluto caro Prof e buona notte a tutti cari amici.

Manlio Tummolo ha detto...

Vi ringrazio tutti, carissimi. Questa di Prati è una ripubblicazione di un articolo che è stato il primo dei miei su questo blog. Trasformarlo in libro ? Bisognerebbe ritrovare negli archivi (se conservato il fascicolo originario, il che non è detto) per sapere come sia finita. La rivista "Luce e Ombra", a cui mio nonno paterno Vincenzo collaborava, aveva allora una certa fama, ma non so quanto sia stata esatta ed obiettiva nel riportare questi fatti. Comunque si dimostra che la mentalità giuridica è essenzialmente legata al mondo del magico, come sappiamo anche oggi (credenza nei sogni, nelle veggenti, ecc.). L'auspicata razionalizzazione della giurisprudenza, tra '700 e inizi '900, non è mai avvenuta. Di qui la molta fantasia nelle sentenze, la scarsa motivaione scientifica nelle stesse.

Ho fissato la data del 12 febbraio p.v. come il termine "a quo" del mio divorzio da INTERNET e solo a certe condizioni potrei "risposarmi" con esso. Non è la decisione avventata di un momento, ma un atto di volontà determinata e meditata. Quanto a non scrivere più su questo blog, il discorso è diverso, ma lo strumento di spedizione sarà tradizionale, come ho detto al nostro Massimo Prati.

Grazie ancora, comunque, per le vostre cortesi valutazioni, Manlio