giovedì 1 ottobre 2015

In un video la storia di Enzo Tortora. Nel giorno in cui si ricordano le condanne ingiuste vale la pena rivangare l'errore giudiziario più conosciuto...


Mentre a Toronto si stanno organizzati dibattiti per parlare dei mali della giustizia americana e del carcere ingiusto subito da tanti innocenti, da noi tutto tace e nel silenzio tutto resta per com'era decenni fa. Dal 1983 ad oggi non è cambiato niente. I procuratori accusano un colpevole e i giudici che dovrebbero vigilare (Gip), e quelli di primo grado, condannano l'imputato a prescindere. Si applauda e gioisca chi non ha imparato dai propri errori e da quelli altrui. E pensare che quanto si vede e si vive in vita dovrebbe far maturare l'esperienza in ognuno di noi. Invece i fatti ad oggi ci insegnano il contrario. Ci insegnano che come nel medioevo siamo vittime predestinate di un 'sistema giustizia' che coi suoi ingranaggi stritola chiunque si voglia stritolare. Basta un'attimo, anche una voce lontana che dopo mesi cambia testimonianza e versione "per aiutare la giustizia", perché una persona semplice, una madre, un impiegato, un operaio, una ragazza, venga inghiottita nel vortice capace di farle dire addio agli affetti più cari e alla propria vita.

A causa di chi codifica le leggi attuali (viste in maniera diversa da tribunale a tribunale) tutti rischiamo di essere indagati, di finire in carcere, di restarci ingiustamente e di subire giornalmente il disprezzo mediatico di opinionisti e giornalai. Perché (è assodato) una volta arrestati e chiusi in cella saranno pochi quelli disposti ad osservare i fatti con occhio critico prima di scrivere e parlare. Come pochi saranno i popolani della pubblica opinione che non si faranno contagiare dagli insulti sprezzanti di chi staziona sui video per pubblicizzarsi e guadagnare più denaro. Il popolo è influenzabile, il caso Tortora lo dimostra in maniera chiara.

In tanti parlano di Enzo Tortora, ma di quanto accadutogli i giovani sanno pochissimo e i "più grandi" ormai non hanno un vero ricordo. La memoria è labile, si sa, però chi sui media e in magistratura ci vive da decenni il caso lo conosce bene, bene lo ricorda e dai tanti errori avrebbe dovuto imparare prima di entrare in pianta stabile sugli schermi, in procura o nelle aule di tribunale. Invece ancora oggi abbiamo a che fare con pseudo giornalisti che credono di essere il nuovo che avanza e invece sono "il vecchio che puzza". Con procuratori e giudici onnipotenti convinti di avere la verità in tasca.

Chissà se gli italiani hanno capito che la parte maggiore della nostra informazione e un buon segmento della nostra giustizia negli ultimi trent'anni hanno bivaccato lasciando che migliorasse solo la tecnologia, che la mente delle nuove leve non ha seguito il passo ed è rimasta attardata col fiato grosso. La storia prima o poi ritorna, si dice, ma da noi la storia non si insegna. Per questo ci ritroviamo a dibattere sugli stessi argomenti, sempre spaccati in due come vivessimo in realtà opposte e nascoste l'un l'altra da una coltre  fitta di nebbia, una nebbia mediatica che bagna gli occhi ed asciuga la mente togliendole la necessaria lucidità.

Siamo tutti italiani, è vero, e siamo tutti figli di una cultura ipocrita cui la politica ha insegnato ad osservare le cose in maniera diversa e contrapposta. "Chi non è così", chi non ha colori, risulta "strano" agli occhi della massa, dato che tutti sanno come si fa ad odiare le idee dell'altrui schieramento per "partito preso". Ci hanno insegnato come vivere il quotidiano guardando il mondo su uno schermo piatto e negli anni ci hanno anche obbligati ad ascoltare in silenzio.

Così l'uomo senza voce che non ha tempo di far altro se non lavorare e pagar tasse, torna a casa e si adagia sul divano e sulle parole che ascolta sugli schermi... non capendo che in tal modo aiuta il pastore di turno a raggruppare un gregge di pecore obbedienti. Non capendo che lui è in quel gregge.

Per cui nel silenzio capita che l'indagato di turno, senza prova alcuna, divenga sicuro assassino e trattato come una pezza da piedi buona solo per essere calpestata... senza ritegno e riguardo perché "così fan tutti" e perché l'informazione insegna a farlo. Sembra una sciocchezza e se fossimo in un bar di periferia lo sarebbe anche. Però il problema, essendo nazionale è più vasto di quanto può sembrare. L'informazione raggiunge tutti, non solo i clienti di un bar ma anche gli addetti ai lavori, siano procuratori, giudici togati o civili di una futura giuria popolare, che un domani dovrebbero operare senza condizionamenti di sorta e che dopo anni di bombe mediatiche a lunga gittata dovranno decidere della vita di chi, se in carcere da innocente, ormai non esiste più perché sotterrato da milioni di carte, da miliardi di pubbliche parole utili solo a confezionare una bara da gettare, una volta riempita, sul "fuoco della giustizia popolare".

E se è vero che i media aggiungono benzina e legna da ardere alla catasta, è anche vero che il fiammifero che la brucerà lo hanno in mano quegli italiani che a bocca spalancata aspettano il verbo di quegli investigatori e procuratori creduti, a prescindere, sempre integerrimi e professionali. Il fiammifero l'hanno quegli italiani che la marea di giornalisti e opinionisti luccicanti e splendenti nutrono col cibo acquistato a basso costo da due aziende fallimentari che stanno marcendo come ciò che vendono: "L'azienda giustizia e l'azienda informazione".

Non so voi, ma io non ci sto a questo gioco. E non ci sto perché ho memoria, perché ricordo molto bene cosa scrissero sulle loro belle testate quando Enzo Tortora fu accusato di essere un esponente di spicco della "nuova camorra", quando fu accusato di essere uno spacciatore di cocaina. Io ho memoria e non potrò mai dimenticare che partendo da queste accuse si arrivò a scrivere, sul "Corriere della Sera" e non sul "giornale di Timbuctu", che il presentatore Tortora aveva intascato parte dei soldi stanziati per il terremoto dell'Irpinia. Io ricordo il Pm che a processo inveiva contro di lui dipingendolo come un bieco delinquente che sguazzava fra camorristi e crimini organizzati. Ricordo l'opinione della maggioritaria schierata all'ottanta per cento con la parte colpevolista. Di quella maggioranza assoluta che seguiva solo la pubblica accusa credendole ad occhi chiusi.

Questo purtroppo capita ancora ed oggi come allora il popolo è convinto che la giustizia non sbaglia mai, che un procuratore non arresta il cittadino onesto e se una persona viene spedita in carcere da un gip un motivo c'è. Il popolo non sa che sui media vige il copia-incolla ed è convinto che l'informazione sia pluralista e non si appiattisca alle procure da cui si foraggia.

Quanto accaduto, dissero e scrissero i giornalisti dopo l'assoluzione di Enzo Tortora, non si dovrà più ripetere. La stampa dovrà essere solo 'la stampa' e non influire sulla vita dell'uomo, sull'indagato che si proclama innocente. Belle parole vero? Peccato che ad oggi risultino abortite.

Nel 1984 ben l'82% degli italiani era convinto della colpevolezza di Enzo Tortora. Questo nonostante i suoi programmi televisivi avessero battuto ogni record di ascolti e il presentatore fosse molto amato dal pubblico. I media dopo il suo arresto si gettarono contro di lui come molossi imbufaliti. I pochi giornalisti che scrivevano articoli contrari al volere della massa venivano emarginati. Solo gli amici fidati e la sua famiglia non lo abbandonarono a un destino che a un certo punto sembrava segnato.

Nel 1987, nonostante l'assoluzione con formula piena, il 34% dell'italico popolo aveva ancora la convinzione che qualcosa il giornalista Tortora avesse commesso, visto che era stato in carcere e subito due processi. E a leggere certi commenti su internet, tanti anche oggi hanno la convinzione che i giudici lo abbiano graziato perché il potere politico voleva tornasse un uomo libero.

Enzo Tortora morì poco tempo dopo l'assoluzione definitiva. In quel periodo, seppur malato, non si arrese e lottò contro le ingiustizie. Lui sapeva lottare... ma non tutti riescono o possono. Non lotta chi non ha la forza necessaria e chi non ha le possibilità economiche per far fronte alle enormi spese giudiziarie. E questi imputati saranno destinati a perdere la speranza, ad essere rinchiusi ingiustamente in cella, a subire l'ingiustizia che, se non sarà un suicidio a chiudere il discorso vita, li vedrà morire giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto nell'indifferenza generale... se non nella compiacenza generale.

Questo perché alcune sofferenze non si possono comprendere se non si vivono in prima persona. E se nella pubblica opinione ci sarà un'intrinseca convinzione di colpevolezza, quella che continuamente sputazzano gli opinionisti e i giornalai sui media, non apparirà sofferenza ma verrà scambiato per finzione il dolore immane di chi viene chiuso in cella ingiustamente.

Per cui si applauda e gioisca chi, per convinzione personale dettata dall'altrui mediatico pensiero, spera che un indagato finisca in galera prima ancora di essere giudicato colpevole. Si applauda ora da uomo libero chi sale sul carro colpevolista ogni volta che s'arresta l'antipatico di turno. Si applauda e gioisca oggi perché con l'attuale sistema giustizia del doman non v'è certezza...

6 commenti:

Annamaria Cotrozzi ha detto...

Mi auguro solo che questo articolo - davvero esemplare per l'efficacia della sintesi e per la forza argomentativa - venga letto dal maggior numero possibile di persone, e che si presti la massima attenzione a ogni parola del video e del testo. Chiunque trovi esagerato il confronto tra la sconvolgente vicenda di Enzo Tortora e certe vicende mediatico-giudiziarie dei nostri tempi avrà modo di riflettere.

boboviz ha detto...

Sommessamente riporto il ricordo di Elvio Zornitta, ancora vivo.
Si, è vero, fatte le debite proporzioni, Zornitta non andò in carcere, ma la sua vita è stata comunque distrutta. Si è continuato ad indagare (e a passare veline ai mass media) anche quando era PALESEMENTE chiaro che non fosse coinvolto con gli assurdi attentati di Unabomber. Si arrivò a falsificare delle prove per sostenere l'idea della procura.
E, tranne Zerner, nessuno ha pagato.
Come per Tortora.

TommyS. ha detto...

Massimo

Grazie per avermi fatto rivedere quel reportage così toccante ed amaro.

In esso si trovano già tutti i mali di cui da troppo tempo sta soffrendo la nostra giustizia ed il giornalismo italiano.

Sebbene non condivida solitamente le opinioni di Ferrare, le sue ultime parole sono perfettamente centrate. Gli italiani hanno "rimosso" quel caso esemplare di malagiustizia ed adesso si cibano famelici dallo squallido piatto che viene loro passato quotidianamente.

Luca Cheli ha detto...

Il Caso Tortora me lo ricordo più a posteriori che per aver seguito le cronache all'epoca (questione di età), tuttavia fu il primo seme di quella che sarebbe cresciuta, decenni dopo e per altre vicende, come la pianta della mia profonda sfiducia nell'apparato investigativo-giudiziario del nostro paese.

Non è cambiato niente, ma non è che non si sia cercato di cambiare qualcosa: la prima legge sulla responsabilità civile dei magistrati fu in buona parte un prodotto della vicenda Tortora, e forse anche la nascita del nuovo codice di procedura penale nel 1988 venne accelerata da quei tristi eventi.

Però non si è ottenuto niente.

La prima legge sulla responsabilità civile ha prodotto poco o nulla, tanto e vero che adesso ne abbiamo una seconda che ha addirittura "spaventato" una buona fetta della magistratura ... fungerà davvero da deterrente contro le condanne facili ed in fotocopia?

Mi permetto di dubitarne.

La riforma del 1988 ha prodotto sulla carta un sistema meravigliosamente garantista nel quale ancora prima di arrivare al processo c'è un GIP che vigila sull'operato del PM e per le questioni di custodia cautelare se non ti basta il GIP puoi appellarti al Riesame e poi alla Cassazione, infine un GUP deve certificare se ci sono o meno le prove sufficienti a giustificare un processo.

Processo che poi comporta esso stesso almeno tre gradi di giudizio, tutti con giudici diversi.

Insomma alla fine, particolarmente con il rito ordinario, si hanno decine di giudici (tra togati e popolari) che vagliano la causa: come possono sbagliarsi tutti?

Sulla carta, la stessa sulla quale questo sistema è così bello, non ci sarebbe risposta a questa domanda.

Ma poi ci si ritrova davanti ad un tale copia e incolla tra tutti questi stimati giudici, talvolta così meccanico da non ricordarsi neppure di sopraggiunte modifiche al quadro probatorio (vedi autopsia di Loris Stival) e dove ogni grado superiore conferma quanto deciso da quelli inferiori.

Poi ci sono i media, che come ben diceva Massimo hanno in media un anno buono prima del processo per influenzare non solo la pubblica opinione, ma i giudici stessi, particolarmente quelli popolari, è vero, ma non è che i togati vivano su Marte.

E infine ci sono i giudici di ogni ordine e grado (Cassazione compresa) che sonnecchiano durante le udienze, altri che smanettano con lo smartphone nello stesso contesto ... alla fine non è poi più tanto difficile rispondere alla domanda di cui sopra.

Che fare, allora?

Difficile, molto difficile da dire.

C'è chi vagheggia di giurie popolari all'americana, senza rendersi conto che esse sono già un problema nel contesto USA, figurarsi in uno come il nostro in cui non esistono "gag orders" (divieto di parlare di un dato caso) e in cui i media accessibili al grande pubblico (da cui proverrebbero le giurie) sono quasi sempre allineati alle procure quanto l'ago di una bussola lo è alle linee del campo magnetico terrestre.

Ci sono delle idee: limitazione o abolizione del processo indiziario, inappellabilità delle assoluzioni, limitazione dei poteri dei PM particolarmente per quel che riguarda il controllo delle indagini e istituzione di un Servizio Nazionale di Scienze Forensi dipendente dal MIUR che sostituisca RIS e Polizia Scientifica.

Tutte cose grosse che richiederebbero in alcuni casi anche modifiche alla Costituzione e quindi molti anni e tanta volontà politica.

Alcune cose però si possono fare sin da subito e la prima e la più evidente è la riforma della custodia cautelare, con limitazione della carcerazione preventiva ai soli reati seriali, di crimine organizzato e di terrorismo.

Questo è un obbiettivo concreto e anche raggiungibile.

TommyS. ha detto...

Luca Cheli

Sulla custodia cautelare hai perfettamente ragione. A parte per coloro colti in flagranza di reato (e se il reato non è particolarmente grave una volta cessato il rischio di inquinamento delle prove gli indagati dovrebbero essere rimessi in libertà), dovrebbe essere applicata esclusivamente per alcuni reati gravi come quelli che hai elencato.

Le riforme dell'art.274 cpp si stanno rivelando inefficaci in quanto viene quasi sempre disatteso il criterio che il pericolo di fuga e la reiterazione del reato non può essere desunta dalla gravità del reato. E qui si potrebbe fare un elenco di casi eclatanti e famosi degli ultimi tempi.

Ritornando al video del caso Tortora, mi ha colpito come già il presidente della corte d'appello all'epoca avesse ammesso di essere arrivato al processo con un pregiudizio dovuto alla campagna mediatica. Per fortuna in quel caso (come anche a Perugia con Hellmann) l'imputato ebbe la fortuna di incappare in un magistrato serio e scrupoloso che seppe attenersi alla realtà giudiziaria scoprendo così che dietro alla condanna di primo grado vi era un quadro indiziario inesistente se non decisamente falsato. Così purtroppo non è capitato alle due Misseri e tanto meno a Parolisi.

andres ha detto...

Di fronte a queste infamie provo un senso di impotenza che non vorrei avere.
Siamo di fronte alle azioni di due poteri, che non pagano mai.Come possono i giudici
fotocopiarsi i pareri di chi li ha preceduti, senza cambiare una virgola, sapendo di avere tra le mani delle vite umane? Come possono i media arrogarsi il diritto di processare,umiliare e condannare? Che un Presidente di Corte d'Appello ammetta di essere arrivato al processo con un pregiudizio dovuto alla campagna mediatica,come ha notato TommyS, è inaudito, però è così sempre.
Come si può parlare di un Paese democratico se è evidente l'intoccabilità di alcune caste? Perchè io mi devo sentire un irrilevante suddito e non un responsabile, partecipante, importante cittadino?