sabato 22 novembre 2014

Trattamento di fine rapporto in busta paga e Jobs Act 2041 - Orwell rivisitato -

Articolo di Gilberto Migliorini


Il trattamento di fine lavoro direttamente in busta paga ha un risvolto davvero emblematico sul quale sembra che nessuno abbia posto mente locale. Più che altro si è sottolineato il carattere di escamotage della proposta, il significato propagandistico in ragione del consenso, oppure si è insistito sull'aspetto di convenienza per il fisco. Anche l’accento sul carattere effimero del provvedimento, in ragione dell’impulso ai consumi, non ha rilevato il vero impatto di un’operazione che esprime bene la cifra di una intera cultura, inconsapevole che il Paese sta scivolando lentamente e inesorabilmente nel 1984 orwelliano (opera scritta nel 1948 e intitolata capovolgendo le ultime due cifre). Una rilettura dell’opera con quel Grande Fratello così evocativo (non solo di spioni, ma anche di reality caserecci e di informazione taroccata) ci conduce a una riflessione, diciamo più attuale del capolavoro dell’anarchico inglese.

La fattoria degli animali per quanto evocativa di regimi totalitari non riusciva a penetrare compiutamente in quelle strutture profonde delle società avanzate. Quella italiana, per ironia della sorte, risulta la più aderente a quello spirito del 1984 che George Orwell ricavava dalla lettura della società inglese e più in generale di quella occidentale post bellica. Nell'Italia attuale si trovano esempi emblematici delle strutture antropologiche riassunte in certi stili di governo nei quali lo spirito di un popolo trova consonanza e compiuta espressione. Ancora una volta siamo all'avanguardia in tutto quello che fa tendenza… Certo, il Big Brother dopo una iniziale semantica da regime totalitario ha assunto un’aura accattivante, quasi benevolmente allusiva ad un voyerismo da boudoir, quelle isole dei famosi e quelle case dei big-fratelli così evocative di una privacy esibita con spontaneità da commedianti dal vivo e da family life per nostalgici arrapati. Ossimoro da avanspettacolo che ci viene direttamente nel camerino in déshabillé, la vita vera in mutande e culotte. 

L’audience spia dal buco della serratura, un selfie fotografato allo specchio, un autoscatto per interposta persona mediante controfigura in tanga e guêpière, un dagherrotipo con smartphone in grado di immortalare le nostre vergogne.

Nessuna opera come quella orwelliana  è riuscita a descrivere con maggiore accuratezza, lungimiranza e visione prospettica il futuro del Bel Paese. Mi correggo, intendevo il nostro presente. Per quanto l’opera fosse visionaria, era difficile immaginare che un romanzo potesse a tal punto trovare riscontri nel nostrano mondo attuale non solo in forma metaforica, ma anche sostanziale con tanto di ministeri della Verità e dell’Amore, dell’Abbondanza e della Pace. Le parole hanno quella carica di ubiquità che le rende così ricche di potenzialità espressiva anche quando paiono banalmente significare proprio il loro contrario.

L’opera orwelliana viene in genere interpretata come critica al totalitarismo, la distopia di un futuro da incubo, un ampliamento della critica allo stalinismo fatta nella ‘fiaba politica’ di Animal Farm. Il tema del totalitarismo nel 1984 è del tutto fuorviante, compreso il finale con la stanza 101 e la tortura dei topi, metaforicamente emblematica di tante sevizie mediatiche inflitte con sadismo a un’audience inconsapevole di essere la cavia dell’esperimento nel corpo vivo del Paese. L’apparente drammaticità del romanzo può occultare il vero elemento rivelatore: la comicità è nella sproporzione tra l’elemento trasgressivo e l’apparato repressivo e di controllo che non ammette la ben che minima discrepanza in un universo sociologico omogeneo e monocorde. Ma non è quello il fulcro, non si tratta solo del carattere lugubre e opprimente di una società chiusa, in grado di reprimere qualunque forma di dissenso, addirittura creando un’opposizione fittizia.

Il cuore del romanzo è rintracciabile nel tema del tempo, il passato e il futuro non esistono. Viviamo in una dimensione dove il tempo è solo un’illusione, proprio come la scienza contemporanea sembra alludere. Per essere il lontano 1948, Orwell dimostrava di saper immaginare gli sviluppi che solo tre decenni dopo avrebbero portato ai primi computer di massa, come quei grandi cartelloni interattivi - con l’enorme faccia del Big Brother – antesignani dell’attuale sistema di controllo e profilazione. Solo che oggi non c’è neppure più bisogno della faccia del Grande Fratello o di elicotteri che svolazzano attorno agli edifici per spiare dentro agli appartamenti della Vittoria. Oggi perfino i chip sottopelle sono diventati obsoleti prima ancora di essere impiantati agli umani come ai cani e ai gatti. La nuova frontiera, più ancora che negli Ogm e nelle scie chimiche, è quel suadente ed ipnotico showbiz che ci intrattiene con canzonette orecchiabili, pettegolezzi, cucine molecolari, palpatine invereconde, consigli per gli acquisti, spot, tavoli rotondi, talkshow, vite in dirette… e soprattutto quel programma senza nome, senza inizio e senza fine, il palinsesto, che è come il nirvana, il non-luogo (ottimo e felice) che sembra tanto l’utopia di Thomas More, il Libellus vere aureus, con quell'Itlodeo (raccontatore di bugie): un mezzobusto che giornalmente ci propina dal monitor qualche favola bella.

Il vero carattere profetico della macchina narrativa di 1984 sono i tre principi del socing (Newspeak, Doublethink e the Mutability of the Past).

La neolingua (newspeak) è quella che imperversa nei media e che consiste in formule sempre più concise, in una sistematica distruzione di parole, nella impossibilità di commettere qualsiasi delitto di pensiero (thoughtcrime) mancando il suo referente semantico (“Orthodoxy means not thinking, not needing to think. Orthodoxy is unconsciousness"), in una progressiva semplificazione concettuale e banalizzazione delle idee. Le cose sono bianche o nere, qualsiasi tentativo di rendere linguisticamente il senso della complessità è bandito in nome dei metodi quantitativi che traducono tutto in 0 e 1, il linguaggio binario delle infinite biforcazioni, il labirintico palazzo di un sapere in pillole dove Pollicino ritrova sempre la via di casa seguendo i sassolini delle coordinate psicoattitudinali, la terra amata dei referenti ideologici.

Tutto quello che ha il sapore argomentativo va bandito in nome della fugacità, dello slogan e del cinguettio. Si tratta del mito futurista della velocità aggiornato con quello rassicurante della chiacchiera e del pettegolezzo. È il presente dove tutto assume la valenza contratta e liofilizzata dell’autoscatto in un condensato di formule criptiche e di essenze semantiche senza più referenti reali. Il tag di metadati consente indicizzazioni senza più significato, parole chiave ubique e virtuali. L’io non è altro che configurazione neurale dei nostri stati mentali riproducibili in una macchina.

Il bispensiero (doublethink) è un escamotage tanto necessario quanto inevitabile. La contraddizione esiste solo nella logica classica, in quella moderna fa parte delle teorie evolutive del linguaggio e della programmazione cerebrale. Negare e affermare quasi in simultanea è l’arte per eccellenza del buon comunicatore, dimenticare quando serve e ricordare quando conviene. Il regno dell’equivalenza e della comunicazione aperta, senza più semantica, consente la scelta di link con punti di connessione ubiqui. L’audience non si scoraggia per qualche incongruenza sia che si tratti della logica, sia che si tratti dell’etica. La coerenza è patrimonio di una moralità obsoleta e di una logica superata dal nuovo che avanza.

Nel 1984 è però la mutabilità del passato (the Mutability of the Past) il vero fulcro del sistema (la nostra società). La temporalità è appiattita nella dimensione del presente. Nella società del 1984 il futuro appare determinato e immodificabile (in quanto non esiste), mentre proprio il passato è fluido e aperto perché controllato da un presente che retroattivamente è in grado di modificarlo “Who controls the past - ran the Party slogan - controls the future: who controls the present controls the past'”.

Si vive nella dimensione del consumo immediato. Al futuro non crede più nessuno, mentre il passato appare come qualcosa che conosciamo davvero bene, possiamo ricostruirlo nel dettaglio per il semplice fatto che non esiste. La memoria è affidata agli archivi, le biblioteche, le fonoteche, le cineteche, le memorie digitali… alle ricostruzioni accuratamente predisposte negli studi televisivi da una pletora di zelanti opinionisti.

Viviamo in una realtà virtuale dove il passato non è soltanto un film immaginario, è una storia continuamente modificabile, la vita in presa diretta riprodotta sul momento. Siamo nell'epoca dei tarocchi collettivi, degli illusionismi di massa, delle guerre virtuali e dei massacri reali, delle ecatombi in diretta e dei slow motion con un drone a scrutare il campo di battaglia, un avatar che agisce in remoto, la nostra controfigura nel mondo reale. La Storia è un copione scritto per rendere realistico il film, con tanto di effetti speciali. Gli eventi cosmologici e le teorie evolutive sono gli antefatti immaginari di uno script, la sceneggiatura del film. Siamo figuranti inconsapevoli di trovarci sul set di una telenovela.

In fondo il Tfr è solo l’immagine virtuale di un futuro che non esiste. È come trovarci in un giardino zoologico o in un circo a fare gli animali ammaestrati, persuasi di trovarci davvero nella savana o nella foresta equatoriale. Si tratta di scenografie suggestive e accattivanti, c’è un regista-demiurgo con la cinepresa sempre a portata di mano.

Il Tfr non serve proprio, un film in genere dura novanta minuti, tanto vale spenderli subito i denari, invece di accantonarli per il nostro futuro, per la vecchiaia o peggio per i nostri figli e nipoti che sono solo figuranti e prestanome. Carpe diem, dicevano gli antichi, chi si contenta gode, dicono i nuovi guru intendendo che si tratta di questione di ippocampo e aree cerebrali di negoziazione… o semplicemente di dar fiato ai consumi per riattizzare l’economia del voluttuario e dell’effimero depauperando sempre più il nostro ambiente di vita. Ma non c’è da preoccuparsi, si tratta solo di fiction.

Se anche si muore, poi si risorge nel prossimo film. Non sappiamo chi ne sarà il regista. Lo spettacolo attuale purtroppo potrebbe risultare un flop colossale anche se il pubblico conta su un finale che riservi un bel colpo di scena, trattandosi di un thrilling, magari con gettoni di buonuscita da spendere in un hard discount. Il futuro? Il nuovo spettacolo è già in avanzata preparazione. Da indiscrezioni si chiacchiera di una Science Fiction. Un Metropolis alla Fritz Lang, un Blade Runner alla Ridley Scott o un Fahrenheit 451 alla Bradbury? No, è un Jobs Act 2041 con milioni di operai e impiegati che escono da immense catene di montaggio. Si tratta di robot positronici, quelli di ultima generazione, con le tre leggi di Asimov incorporate. Qualcuno dice che già oggi per le strade se ne stiano diffondendo i prototipi e che in modo discreto cominciano a intrecciarsi con le nostre vite. 

Se attualmente risultano disoccupati è solo perché sono così innovativi da non poter ancora essere impiegati in modo efficace e performante, ma si tratta solo di tempo, i posti di lavoro saranno presto disponibili senza tante remore e complicazioni sindacali trattandosi solo di hardware di silicio, sia pure così sofisticato da sembrare davvero dotato di anima e soffio vitale…










Novità: Presto potrai ordinare e leggere "Outrage of Law", la versione americana de "La legge del Disprezzo"









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