domenica 16 novembre 2014

Il problema del Bel Paese? Le buche da riempire…

Saggio di Gilberto Migliorini


Sembra un paradosso, ma il vero problema del nostro paese, quello che ci sta portando alla malora, sono le buche da riempire. La prendo da lontano, da quando dopo il Congresso di Vienna del 1815 si volle creare occupazione per evitare che nuove ondate rivoluzionarie scuotessero l’Europa (durante e dopo la Restaurazione) e si provvide a un impiego della manodopera con lavori di sterro che il più delle volte consistevano nel colmare delle buche e nello spianare le irregolarità delle strade. Si dava occupazione senza produrre vera ricchezza, comunque senza arrecare danni all'ambiente. Scavare buche e tornare a riempirle era in certi casi il prezzo che il potere pagava per creare un po’ di consenso e per sedare la turbolenza di disoccupati affamati, così da tenerli in "pausa" almeno per un po’. Erano attività improduttive, ma non lesive, che servivano a tenere sotto controllo la plebe turbolenta. Meglio che trasformare gli operai in soldati o in carne da cannone, quando si usava l’artiglieria contro le barricate improvvisate nel corso di qualche spontaneo moto popolare di protesta contro le leggi liberticide e le precarie condizioni di vita (la cosiddetta questione sociale).

L’evoluzione del sistema produttivo, che comunque si stava già da tempo attivando con la Rivoluzione industriale, non ha sostanzialmente modificato il concetto di opportunità socio-economica (riempire buche). Ai giorni nostri le "buche" sono costituite da opere, più o meno onerose e più o meno imponenti, che consumano il suolo, trasformano il paesaggio e modificano l’ambiente (storico, geografico, antropico, fisico e biologico) talora in modo irreversibile e catastrofico, creando  le premesse di un futuro di rapaci antagonismi tra nazioni (o gruppi di nazioni) quando tutto il sistema dovesse collassare. Per un futuro prossimo la lotta sarà anche per l’acqua, la terra, le risorse energetiche… e per le condizioni climatiche sempre più estreme di cui, per il momento, ci sono solo le prime timide avvisaglie a causa dell’emissione di gas serra, del depauperamento dei mari e della distruzione dei grandi polmoni di verde (le foreste equatoriali) con il connesso sconvolgimento dei cicli dell’acqua e dell’aria.

Il caso italiano è emblematico di provvedimenti politico-economici che hanno per unico scopo l’attivazione dell’apparato produttivo, giustificando a posteriore l’utilità di opere che hanno lo scopo di promuovere affari per privati e multinazionali (con il contributo del denaro pubblico) e di creare occupazione (poca e con dosi crescenti di sfruttamento) per la moderna plebe mediatica e indottrinata che oggi alza le barricate del gossip e dei talk show. La differenza con le semplici buche da scavare e poi da colmare, è piuttosto rilevante. Ora le grandi opere hanno un impatto sull'ambiente sempre più importante e deleterio. Non è difficile approvare qualunque tipo di intervento trovando giustificazioni e apprezzamenti con l’uso di un’informazione ‘appropriata: da un lato ungendo le ruote giuste e dall'altro agitando la promessa dei posti di lavoro e dei vantaggi sociali, declinati con opportune sponsorizzazioni e una retorica suggestiva che coi soliti esperti a supporto può agevolmente dimostrare l’utilità sociale ed economica di qualunque impresa, anche la più dannosa per l’ambiente. 

Possiamo dire che lo Sblocca Italia è un’operazione ideologica, ultima tra le tante, con lo slogan twittato dal novello pifferaio magico che condurrà la massa dei connazionali nel grande laboratorio a cielo aperto, il nostro Bel Paese trasformato in un immenso cantiere, la buca-cornucopia del nostro radioso futuro. Si tratta dell’innovativo esperimento di ingegneria sociale del novello apprendista stregone, l’apripista di una nuova colata di cemento e di perforanti trivelle nel cuore di quello che un tempo era il Paese dell’arte e della bellezza. Si tratta di un’operazione sostenuta da quel fronte affaristico che non perde occasione, soprattutto quando c’è in ballo qualche catastrofe naturale - prodotta da incuria, cementificazione, speculazione e un consumo del suolo che distrugge le campagne – per programmare qualche nuovo grande progetto di progressivo deterioramento dell’ambiente in nome dell’occupazione e del progresso. Le catastrofi ‘naturali’ sono occasioni irripetibili per dare nuovo slancio e rinnovato ardore al partito trasversale della smania speculativa agevolata con la vasellina degli ottanta denari come specchietto per le allodole. Le buche questa volta apriranno qualche nuovo baratro, di quelli in cui da tempo l’Italia sta scivolando, modificando sistematicamente il suo profilo paesaggistico, la sua vocazione turistica, la sua storia archeologica e antropica, la sua produzione agro-alimentare, manifatturiera e anche industriale: quella di un’industria che dovrebbe sapersi coniugare col territorio in funzione della sua valorizzazione e nel rispetto degli standard ambientali e della qualità della vita. 

Un intero territorio sottoposto a continua urbanizzazione sta collassando, sottoposto a innaturale ed eccessiva densità abitativa.

Nel progetto, emblematicamente, è incluso un intento demografico di ‘ventennale’ memoria, quello delle madri prolifiche e dell’immigrazione selvaggia, creando le premesse per un esercito di consumatori d’accatto, di manodopera di riserva e… di guerra tra i poveri. Abbiamo visto nell'operazione Mare Nostrum a quale livello può giungere la disperazione di uomini donne e bambini che rischiano tutto quello che hanno, la loro vita (cioè il niente di una desolante miseria e di un disperante vuoto di prospettive), per cercare l’illusione di un futuro per loro e i loro figli. Pochi hanno visto nelle immagini di quei disperati (trasmesse in televisione) che hanno commosso, il senso del nostro futuro, quello che ci aspetta tra non molto quando il pianeta entrerà in fibrillazione e forse le risorse cominceranno a non bastare neppure per noi. Quei disperati sono il risultato del colonialismo e del neocolonialismo dei paesi ricchi (anche il nostro) che hanno considerato l’Africa e il Medio Oriente (tra le altre zone del mondo sottoposte a sistematico sfruttamento) come terre da espropriare, res nullius, da spremere e devastare anche con la complicità di classe dirigenti locali corrotte. Proprio noi occidentali abbiamo creato le premesse di quell'umanità che ora si riversa sulle coste delle vecchia Europa e su quel ponte naturale, l’Italia, che rappresenta da sempre l’incontro di tante culture. 

Anche in questo caso si tratta di una buca, un’imponente foiba dove milioni di persone andranno ad aggravare tutti i problemi di un paese: il nostro. La demografia è un altro degli inganni con il quale il potere sta portando il pianeta alla catastrofe. Il consumo del suolo e l’alterazione dell’ambiente, nel caso italiano, procede senza sosta. Ci dicono che bisogna fare più figli, premiare le madri prolifiche mentre è evidente che le risorse si stanno assottigliando e che più di tanto la rete non regge… continuando in direzione di uno sfruttamento dell’ambiente che significa depauperamento, sconvolgimenti climatici, alterazione irreversibile degli equilibri a livello locale e a livello globale. La globalizzazione di cui ci parlano i guru dell’economia è intesa solo come affarismo ed egoismi nazionali. Ad oggi non esiste nessun intervento credibile - a livello planetario - per affrontare i problemi di un'umanità che si avvia verso gli 8 miliardi di persone e che continua a crescere consumando come se avesse a disposizione più di due pianeti. È chiaro che il pianeta comunque sopravviverà, che troverà un nuovo equilibrio attraverso un riassestamento dove un fastidioso parassita, l’homo sapiens, alla fine sarà estromesso dal ciclo biologico con modalità che non riusciamo bene ad immaginare anche per l’impatto drammaticamente catastrofico del futuro scenario che coinvolgerà tutti i popoli dell’orbe terracqueo. 

Si tratterà di meccanismi ‘omeostatici’, catastrofi, che stanno delineandosi in tutti gli ecosistemi come più volte annunciato da coloro, non solo scienziati, che paventano che in questo secolo lo stato del pianeta presenterà il conto all’homo tecnologicus. L’Italia, tanto per non smentire mentalità e costume, affronta come al solito i problemi con la miopia che contraddistingue da sempre la sua classe politica. Siamo in prima linea per affrontare i problemi nel solito modo: scavare buche e mettere la testa nella sabbia. Una politica che tenga conto del nostro incerto futuro, di un pianeta sull'orlo del collasso ambientale dovrebbe incentivare una maternità cosciente: meno figli per ridurre l’impatto di un’umanità che sta distruggendo gli ambienti di vita, ma ai quali riuscire ad assicurare un futuro fatto di qualità, opportunità di lavoro e benessere. Parlare di demografia è però argomento tabù, non solo per motivi religiosi ma anche e soprattutto perché lo sviluppo del sistema del capitale si basa proprio sul criterio consumistico, cioè espandere indefinitamente l’area di produzione. L’efficienza dei sistemi produttivi e l’ottica del risparmio per unità di prodotto paradossalmente è proprio all'origine di una ulteriore espansione di consumo. Le società meno efficienti da punto di vista produttivo erano anche quelle dove si produceva di meno (dunque si consumava molto meno) e dove la durata dei prodotti era di gran lunga superiore ai cicli produttivi attuali basati sui consumi effimeri e su cicli di sostituzione rapidissimi. 

Il risparmio energetico dunque è proprio in funzione di un ulteriore sviluppo economico che necessita di ampliare il mercato dei consumatori. Il processo ha come esito inevitabile il collasso, come un treno che continua ad aumentare la sua velocità fino a deragliare.

Se paesi come l’Italia non avessero partecipato allo sfruttamento, il posto al sole, dei paesi africani insieme a tanti altre nazioni del benessere, oggi non ci troveremmo con sette od otto milioni di extracomunitari che aggiungono nuovi problemi sociali ed economici a un paese che non ha mai affrontato e risolto nemmeno quelli endemici. Ancora una volta la classe politica, al di là dei proclami retorici e demagogici, ha dimostrato con un ideologismo di copertura di perseguire gli interessi delle caste dei soliti ceti privilegiati che fanno dell’affarismo la vera bandiera, salvo sventolarla in qualche partita di calcio per mostrare tutto il loro sentimento patriottico o versarsi secchi d’acqua sulla testa per manifestare il  politically correct.

La micro e la macroeconomia stanno tutte nell’ottica di una furbizia che fa delle riforme economiche e fiscali l’uso sistematico di buche più o meno grandi. Perché sia chiaro che esistono anche le buche che servono soltanto a fare in modo che qualcuno le debba riempire. Si tratta ancor più di lavoro inutile, si tratta di entropia, aumento del disordine sociale, economico e culturale in una politica di privilegi e favoritismi. Che ci stanno a fare tante leggi contraddittorie, incomprensibili, inutili, controproducenti, invasive della privacy, contorte, complicate, bizantine, prolisse… se non per dar lavoro all’esercito di avvocati, giureconsulti, notai, amministratori? E' il  più grande al mondo, il più gioiosamente pleonastico di tutta la burocrazia dell’orbe terracqueo. Si tratta di un meraviglioso lavoro di sterro, di buche da scavare e da riempire, delle ennesime riforme che servono a far funzionare un moto perpetuo di turbine che producono il nulla. Anzi, di un lavoro fatto apposta per complicare la vita al cittadino e per renderlo dipendente da chi saprà spaccare il capello: in quattro se serve e in otto se conviene. 

Certo, anche le buchette hanno una loro importanza. Tutti quei provvedimenti legislativi, una serie di riforme per ‘modernizzare’ il paese, hanno lo scopo di peggiorare la qualità della vita e costituiscono degli oneri inutili e controproducenti stressando ancor di più l’utenza e sottraendole tempo e risorse. Le buche muovono denaro e affari per quei gruppi sempre così ben rappresentati nelle istituzioni a livello locale e nazionale. Nei progetti via via più importanti, fino a quelli davvero faraonici, gli oneri per la collettività non riguardano soltanto il presente, ma anche un futuro che, al di là degli slogan altisonanti e della retorica ampollosa, appare sempre più opaco ed incerto, con un territorio devastato e istituzioni sotto il controllo di caste e camarille che tirano così bene l’acqua al loro mulino. La politica è ormai diventata appannaggio di quei comitati d’affari che possono utilizzare sempre più disinvoltamente il denaro pubblico contro gli interessi della collettività (sia mediante la corruzione che attraverso la visione miope dell’uovo oggi e degli interessi particolaristici) e nell'incapacità di valutare le conseguenze a medio e lungo termine delle politiche messe in atto. Una classe politica che da tanto tempo ha bandito dalla sua prospettiva il buon senso, l’onestà e la rettitudine per non salvaguardare la coesione sociale e l’integrità morale e materiale del Paese. Una classe politica spregiudicata si appresta a dare l’ultimo assalto alla diligenza mentre un popolo inconsapevole non si avvede che questa volta la buca potrebbe davvero essere un baratro nel quale finiremo per gettare quel che resta del giorno

A livello globale si tratta di un capitalismo selvaggio che cerca di scaricare le sue contraddizioni delocalizzando le produzioni più sporche (ma in Italia ce ne sono ancora tante) nelle nazioni con meno tutela ambientale (illudendosi che il pianeta sia fatto biologicamente di compartimenti stagni). Il nostro paese, piccolo, montuoso e con la popolazione che si ammassa nelle pianure e nelle zone costiere, sarà uno dei più a rischio in un futuro prossimo, quando si aggraveranno tutti i problemi relativi ai conflitti per l’esaurimento delle risorse, l’innalzamento del livello dei mari e la perdita di biodiversità - tutti nodi che arriveranno al pettine nei prossimi decenni. Qualcuno ha già previsto che il punto di rottura sarà intorno alla metà di questo secolo, ma in realtà nessuno può dire con certezza quando la trave si spezzerà: di sicuro se non si cambierà strada non ci sarà molto da aspettare. La risposta dell'attuale governo. quella di promuovere il solito modello di sviluppo, è in linea con la cecità di fronte all'oscuro futuro che ci attende e con l’illusione che qualche nuova eclatante scoperta possa risolvere per incanto tutti i nostri problemi. La programmazione va nella direzione di quello sviluppo predatorio che ci sta portando diritti al punto di non ritorno. 

Gli scenari che si stanno delineando sono quelli di un sistema culturale ed economico globale che non ha più nessuna consapevolezza delle numerose incognite del futuro... una macchina ormai fuori controllo. 

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