Sono tanti anni che ti
prendono per i fondelli, da molti lustri che ti fanno promesse da marinaio, che
agitano un po’ di spauracchi e un po’ di quei panegirici farlocchi da venditori
di pentole. Non farti incantare dall’ennesimo contaballe dalla parlantina
sciolta che ti rifila la solita patacca. E sì che avresti dovuto aver imparato
la lezione, ne hai avuto di tempo per por mente locale, ne hai sperimentato di
modelli da imbonitore, alcuni davvero molto ingegnosi, equilibrismi e volteggi da vero trapezista, carambole e piegamenti da esperto contorsionista, reversioni e giravolte da
virtuosista del palo roteante. Possibile che ancora non sei sazio di
millantatori, sia pure estrosi e con la faccia di ‘tolla’ e con quei doppio petti che fanno tanto glamour… e tronfia arroganza.
Anche quest’altro ti mena per il naso, lui è in combutta con quegli amiconi del
gatto e la volpe, quelli che se vogliono magnà
el paese. Non fare il furbo, ma fatti furbo, prova a guardare come dice
quello che dice il venditore di niente, prova a non farti infinocchiare per
l’ennesima volta. Ormai è chiaro, vogliono spremerti fino all’osso, usarti come
uno spaventapasseri, buttarti fumo negli occhi, rivoltarti come un calzino e
poi dire che si mettono in ordine i conti del paese. Un po’ di melassa, PowerPoint,
minestra condita di retoriche del consenso, la solita vecchia e inossidabile
spocchia del parvenu…
Sì, d’accordo. da tempo immemorabile sei stato indottrinato
al marketing, al compri uno e paghi due, al prodotto d’occasione irripetibile
da non farsi scappare, alla fidelity card
con lo sconto promozionale, per rifilarti il solito fondo di magazzino spacciato per uptodate. I vecchi
trucci chiamati ammodernamento, i soliti immancabili bidoni. Ti hanno educato
allo spot, al carosello e alla suggestione subliminale, ti hanno fatto credere
di essere tu a decidere e a scegliere. Non è vero, ha sempre scelto Pinocchio
per te (quello con la P maiuscola) smazzando le carte con diligente e
disinvolta nonchalance mentre ti si buscherava. Prova per una volta a scegliere
davvero tu. Come? Intanto diffida di chi ti blandisce, di chi ti fa le moine e
ti adula e intanto ti tratta come un deficiente da istruire, come un
analfabeta da ammaestrare con tanto di disegnini alla lavagna, schemi tattici
come fa l’allenatore coi suoi ragazzi, la maestra all’asilo quando deve
convincere i suoi bimbetti a fare la pipì nel vasino e gli fa lo schemino. Ti
parlano come se tu fossi interdetto, un minore che ha bisogno di tutela e di
protezione: metti il golfino che prendi il raffreddore, non mangiare in fretta,
fai il segno della croce, non mettere le dita nel naso…
Oppure te la suonano e
te cantano, ruffianescamente, per dirti che sei bello, intelligente, creativo,
estroso, la quintessenza del genio italico, un perfetto e scrupoloso italiota
con tanto di pedigree. Diffida anche di me se può servire (sai il paradosso del
mentitore), ma diffida soprattutto di chi finge amorevole e disinteressata
stima e attenzione, di chi ti liscia il pelo e ti fa il contropelo... L’Europa
dei potenti sta a guardare, annuisce, sorride (un ghigno tra il compassionevole
e il sardonico ammantato di lusinghe e di larvate minacce. Che nascondano un
pungiglione avvelenato?). Fare i compiti per bene, andare a ripetizione, la
maestra ha il volto benevolo e tollerante della madre amorevole, tiene la
bacchetta come ultima ratio e lo scolaro pare assai diligente, ha l’aria del
primo della classe, si lascia guidare, prende istruzioni, sembra davvero un
bamboccio modello con quell’aria da enfant prodige che si è preparato a dovere.
Zelante quanto basta, ma mostrando l’orgoglio del neofita e l’autonomia dello
scolaro indottrinato, sa recitare la poesia con cadenza appropriata e snocciola la
lezione mostrando di aver assimilato i concetti e di saper correttamente
interpretare i desiderata dell’insegnante, ma anche simulando quelle punte di
irriverente autonomia che mandano la maestra in sollucchero: il bamboccio è
bravo anche nelle public relations,
sa ostentare quando serve e intonare a tempo e con disinvolta irruenza, ma pur
sempre seguendo i desiderata e le istruzioni della maestra. Sì, un perfetto
scolaro che sa ubbidire quando deve e derogare quando serve, un po’ compunto e
servizievole e un po’ svagato e irriverente quando l’insegnante vuole che il garzoncello scherzoso vada a briglie
sciolte, ma per carità: solo per finta e recitando il copione con sentimento
appropriato.
Gran parte dei sudditi sembra
(ma non si sa mai) accogliere festosamente il nuovo corso (che poi è quello
vecchio portato all’ennesima potenza, la minestrina stantia con l’aggiunta di
tanto sale e quegli ingredienti che fanno andare bene di corpo e talvolta anche
di stomaco… lasciandoti esausto e senza più nemmeno le energie per protestare
contro l’ingrato destino). Lo scenario ricorda confusamente una favola. Le favole…
quale tesoro di saggezza! Ma ahimè, non vengono più raccontate ai bambini e
soprattutto agli adulti. Il lupo che parla con voce suadente, la volpe adulatrice
e il corvo vanitoso… ma soprattutto quella storia immortale, il mito della
caverna di Platone, che non parla ai nostri visceri ma direttamente alla nostra
anima.
Il mito, si sa, può essere
letto in tanti modi diversi e talvolta contrastanti, può ricevere luce da
destra e da sinistra, dall’alto e dal basso, da un’analisi razionale o da
un’intuizione (la forma artistica) o da un metodo ricorsivo (un linguaggio
macchina con cicli iterativi e subroutines). La forza di un mito è per
l’appunto la sua indeterminazione, può essere letto e riletto in tanti modi ed
essere compreso da tante angolazioni, la sua forma è irriducibile a qualsiasi
stereotipo che ne indichi una decodifica in via definitiva. Lo schiavo liberato
torna nella caverna ad avvertire i compagni che quello schermo nel quale sprofondano
le loro certezze è solo un’illusione, pixel colorati (la caverna si aggiorna ai
nuovi standard) con colonna sonora incorporata, forse perfino in ologramma 3D.
E per questo lo schiavo liberato rischia la vita.
Avvertire del pericolo di un
inganno - la dissonanza cognitiva che può mettere in crisi tutto un sistema di
credenze e agnizioni - può risultare assai più pericoloso che fare lo stuntman. Là, fuori da quel mondo oscuro
e ipogeo dove regnano l’inganno e le menzogne dei sensi (la favola bella), sembra davvero che splenda il sole della verità (ma
non sarà mai anche quello un’altra patacca?). Vedi pinocchio con la p minuscola
(e mi ci metto anch’io), il dubbio è la chiave, senza quello non si può neppure
tentare di sceverare il vero dal falso. Quello schermo là sotto, nel mondo
della caverna, con quegli schiavi incatenati non già con ceppi e catene, ma da
quel suadente mezzo fatto di blandizie, allettamenti, sonorità, flatulenze… è
davvero come le sirene di Ulisse, solo che lui si era fatto legare
volontariamente, mentre tu… noi… non si è capito bene se siamo lì legati come
salami per volontà propria o perché ci siamo infilati in un cul de sac senza saperne i motivi. Siamo
finiti lì, così, per quella malaugurata idea di accendere la tv, di leggere il
giornale, di navigare in internet, insomma di informarci (o disinformarci?).
Essere o non essere, l’impedimento è qui…
Chi poteva immaginare, dirai tu, che una cosa così semplice come premere
l’interruttore del telecomando potesse causare una concatenazione di cause ed
effetti fino a trovarci trasformati in porci dalla maga Circe? No, nessuno
poteva prevedere di cadere in quel maledetto schermo come Alice che seguendo un
coniglio bianco è scivolata in un mondo sotterraneo. Si può sempre bere da una
bottiglia e rimpicciolirsi fisicamente (o anche mentalmente?) per entrare in
quel mondo dove i Pinocchi (quelli con la P maiuscola) devono aver mangiato uno
di quei pasticcini magici e sono diventati ipertrofici. Realtà virtuale, il
mondo dove siamo precipitati, senza sapere né come né quando esattamente, e dove
ci stiamo abituando a vivere come se quello fosse il mondo vero e non ciò che da tanto tempo ci viene descritto con l’ausilio di una lavagna luminosa.
La
caverna si è attrezzata e adesso ha l’apparenza sfarzosa di una vetrina dove
risuona la canzone che ci piace ascoltare, dove zampettano ballerine con
splendidi glutei che ci fanno perfino dimenticare la voce dell’imbonitore che
ci racconta del niente con il suo tono onirico come se parlasse della nostra
vita vera.
Siamo in procinto di
svegliarci? Dove? Nel paese delle Meraviglie, ovviamente.
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