Articolo di Gilberto Migliorini
Quali visioni mirabolanti ci
riserva il futuro? No, non ho la sfera di cristallo, anche se qualcuno già
immagina (e progetta) i computer viventi costruiti con circuiti e molecole biologiche e un web
di nuova generazione dove macchine e apparecchiature comunicheranno tra loro in
maniera istantanea. Naturalmente per rendere la nostra vita più semplice e appagante: traffico regolato da sistemi
intelligenti, bambini ed anziani sorvegliati a distanza, tutti interconnessi
per agevolare qualunque gesto ed azione della nostra giornata: sia nel lavoro,
sia nel tempo libero. Soprattutto protetti dai malintenzionati, scannerizzando lo
spazio nel quale ci muoviamo, passando al setaccio la nostra vita di Truman in un universo Matrix. Il fisico più famoso del
ventesimo secolo, Albert Einstein, in un aforisma rimasto celebre aveva detto: Non so con quali armi si combatterà la terza
guerra mondiale, so però come si combatterà la quarta, con le pietre e le
clave. Parafrasando l’illustre scopritore
della teoria della relatività, dirò anch'io che non so quali invenzioni
costelleranno la nostra vita con funzioni sempre più mirabolanti, so però che
ce la renderanno sempre più complicata, oppure che il collasso planetario ci
riporterà a una economia di sussistenza (per quei pochi sopravvissuti).
Il
mestiere di vivere (e di morire) sarà sempre più sotto l’egida di
strumentazioni complesse, invasive, direttive, onnicomprensive, vincolanti. Più
che occhi elettronici che presuppongono ancora un grado di libertà, quello di
trasgredire per poi essere presi con le mani nel sacco, saranno i percorsi magnetici nei quali saremo incanalati:
un teorema di strade invisibili nelle quali un complesso pattern di perline
colorate (noialtri sassolini) formeranno un arazzo di incredibile bellezza. Non
saremo solo utenti e consumatori, saremo gli ingranaggi di quella meravigliosa
macchina mondo nella quale ciascuno avrà il suo posto, la sua funzione, la sua
prerogativa. Non solo fruitori ma nodi di una rete la cui finalità sarà
l’efficienza e la velocità con la quale la macchina sociale sarà in grado di
funzionare come un gigantesco flipper. Il fine che si prospetta alla moderna
società è infatti l’organizzazione in se stessa, è semplicemente la funzione
produttiva in tutte le sue manifestazioni e in tutte le modalità che la
potenzino in un processo di incremento e di sviluppo. Anche il tempo libero,
naturalmente, in quanto momento ricreativo (e di consumo) è funzionale alla
produzione. La vita è funzionale alla produzione e non la produzione funzionale
alla vita. L’allungamento della vita (indipendentemente dalla sua qualità) è
funzionale a tutte quelle strumentazioni che creano produzione, posti di
lavoro, consumo e nuove opportunità di invenzioni mirabolanti…
E pensare che i
nostri progenitori, quelli del paradiso terrestre vivevano senza tutte le
diavolerie di cui ci siamo attorniati, salvo per quel frutto che aveva ahinoi
attratto la loro insana curiosità…
Forse qualcuno se ne sta già
accorgendo, molte innovazioni tecnologiche stanno non solo complicandoci la
vita, non solo creano le premesse per un controllo sempre più vasto e capillare
sulla popolazione, ma di fatto determinano situazioni di stress e di disagio
esistenziale. Da anni ormai la medicina è funzionale a se stessa, la biologia e
la genetica sono strumenti di espansione economica, la fisica rappresenta lo
strumento per eccellenza per la costruzione di apparati militari e di
controllo. La scienza al servizio del potere e della macchina produttiva. Un
esempio tra tutti la genetica. Si va sbandierando ai quattro venti che il
programma genetico e la connessa rivoluzione con la scoperta della doppia elica
del DNA sarà foriero di una rivoluzione in campo medico. La realtà, al di là
della propaganda, è assai diversa. Appare sempre più evidente che i geni se da
un lato consentono la produzione di proteine da parte degli organismi,
dall'altro non sono in grado di spiegare lo sviluppo degli embrioni. La
capacità di previsione della genetica si scontra con una tale complessità, dove
gli strumenti matematici sono impotenti.
La promessa della genomica di
modificare interi organismi e plasmare l’uomo, sembra più che altro uno slogan
per raccogliere fondi. Le molecole e le loro permutazioni non spiegano il
funzionamento degli organismi. Tra un moscerino della frutta e un uomo la
differenza genetica è davvero minima, ma guarda caso gli esiti formativi sono
un po’ diversi: addirittura molte specie vegetali hanno molti più geni di noi
umani. Le promesse del genoma stanno volgendo rapidamente ad un
ridimensionamento circa la possibilità di decodificare
l’uomo (reale) su base genetica. Le aziende che operano in campo biotecnologico
sembrano scommettere sul futuro, ma al presente non sembra che i risultati siano
eclatanti. Sequenziazione dei genomi, analisi delle proteine, bioinformatica…
non sembrano spiegare la morfogenesi, nemmeno di un moscerino. E’ solo un
esempio di come la scienza si occupa più che altro di profitti e di espansione
settoriale, che sia davvero al servizio dell’uomo è un’altra cosa.
Del naturalista moderno si dà
un esempio emblematico nel periodare di Spallanzani (Lazzaro Spallanzani
1729-1799), una prosa scientifica che ha già tutti i caratteri
dell’osservazione sistematica e del metodo meticoloso della ricerca (nella
fattispecie in ambito biologico) con le prime controversie scientifiche come
quelle Spallanzani-Needham o quella Galvani-Volta, solo per citarne alcune
emblematiche agli esordi del metodo sperimentale. Quello che però risulta
ancora vago e nelle nebbie degli entusiasmi dei pionieri della scienza moderna, è il suo embricarsi, dietro alla apparente neutralità dell’uomo di scienza,
quella sperimentale per intenderci, con quel contesto socio-politico che il
nuovo Prometeo sembra considerare solo come uno sfondo completamente
inessenziale per le sue ricerche. Lo scienziato (in senso moderno) appare
nell'iconografia come un uomo disinteressato, asserragliato nel suo laboratorio
che spesso per portare a termine le sue ricerche, a vantaggio di tutta l’umanità, si fa carico personalmente più degli oneri che degli onori, fino talvolta a
compromettere la sua salute in nome del fuoco sacro della conoscenza
scientifica (emblematico il caso di Marie Curie).
Uno dei leitmotiv della ricerca scientifica è il beneficio che essa apporta
per l’umanità nel disvelare i segreti della natura che costituiscono un tesoro
di conoscenze e di vantaggi per tutti. Gli experimenta
lucifera e fructifera di
Francesco Bacone. La retorica della scienza in effetti costituisce un potente
volano per attrarre finanziamenti e per dare ai suoi paladini quel prestigio e
quella considerazione che in qualche caso sono un po’ di facciata. È pur vero
che nel nostro paese qualcuno è costretto ad emigrare per svolgere la sua
attività con riconoscimenti economici adeguati. Ma nessuno è disposto comunque
a disconoscere il valore sociale della scienza, l’enfasi sul tema della ricerca
(parola suggestiva ed evocatrice) non tiene quasi mai conto del suo impatto sul
piano sociale e ambientale. La ricaduta economica, posti di lavoro e profitti,
mette a tacere qualsiasi distinguo. Possiamo dire che la scienza è lo sponsor
più efficace del sistema industriale e produttivo che sta portando il pianeta
sull'orlo del collasso. E questo è tanto più paradossale per il fatto che
proprio la ricerca scientifica, in alcuni ambiti specifici, sembra essersi
assunta il ruolo di monitorare e mettere a punto quegli strumenti conoscitivi ed
operativi in grado di porre rimedio alle devastazioni ambientali e a quei
cambiamenti sistemici che mettono in pericolo il pianeta.
Detta così, io allora sarei un
oscurantista che sogna il ritorno a un mondo pastorale prescientifico.
Contrariamente a quanto si crede la scienza non nasce con la cosiddetta
rivoluzione copernicana (Copernico tra l’altro era un mistico ossessionato
dalle sfere) ma nasce in Grecia con la filosofia. Non ci sarebbe stata scienza
moderna (il metodo sperimentale) senza la grande tradizione filosofica che
nasce con i presocratici prima e con Platone e Aristotele poi.
Quali sono gli strumenti più
pericolosi creati dall'uomo nel corso della sua evoluzione? Le armi nucleari, dirà qualcuno. Sbagliato! Sono le idee e i pensieri. Dal neolitico, e
sicuramente anche prima, nel paleolitico, l’essere bipede dalla statura eretta
ha utilizzato il pensiero per creare modelli della realtà intorno a lui. Per
non farla troppo lunga si è arrivati fino al modello standard dell’universo.
Cosa c’è di pericoloso nel pensare per modelli? Niente se si è consapevoli che
si tratta, per l’appunto, di modelli, cioè di un tentativo di afferrare la realtà attraverso delle costruzioni, delle
immagini e degli strumenti concettuali, ideandola per così dire in una versione
semplificata e astratta per rendercela in qualche modo conoscibile, anche per
poter esercitare un certo dominio sulle cose. Fin qui tutto bene. I problemi
cominciano quando si pretende di sovrapporre il modello alla realtà, come se
l’uno fosse l’esatta copia speculare dell’altra. La scienza moderna, che pure è
uno strumento estremamente potente, è incorsa in tale errore madornale già ai
suoi esordi in quella che comunemente viene chiamata "Rivoluzione scientifica".
Possiamo dire senz'altro che il primo a incorrere in tale eresia (uso volutamente la parola per ribaltare il senso della
rivoluzione galileiana) è stato proprio Galileo Galilei.
Il suo
aguzzino, Bellarmino, nella sua visione strumentalistica
ha tratti di modernità ben più rilevanti, dal punto di vista della filosofia
della scienza, di quella dell’illustre fiorentino.
Si è trattato di
un metodo rivoluzionario che pone le basi di una scienza sperimentale
quantitativa in cui ci sono già i germi di una visione della scienza di
tipo dogmatico ed esclusivo nell'assunto (indimostrato) che il mondo sia
scritto in caratteri matematici. Insomma, Galileo non solo mette a punto un
nuovo modello di ricerca, ma lo assolutizza come specchio fedele del mondo del
quale vuole fornire una chiave interpretativa. La visione eliocentrica
Copernicana (con molti caratteri misticheggianti che faranno dire agli storici
della scienza che la rivoluzione scientifica era ancora di là da venire),
sviluppata da Keplero, vede in Galileo lo scienziato in senso moderno con tutte
le idiosincrasie e i dogmatismi di una scienza contemporanea alla quale i
successi tecnologici hanno dato alla testa. C’è un filo rosso che percorre
tutta la storia della scienza in epoca moderna, è quello che conduce a una
visione di dominio dell’uomo sulla natura (compresa anche la propria natura
ovviamente). Tale assunto è foriero di delusioni mortali.
I successi
tecnologici hanno creato le premesse per quella scienza ordinaria che dà
l’illusione di padroneggiare il mondo. Non a caso Friedrich Nietzsche diceva
che la scienza è un insieme coerente di errori. L’errore cioè non è in una sua
logica interna che di fatto utilizza inferenze induttive e deduttive perfettamente
consequenziali con il metodo che ha mietuto tanti successi in campo
tecnologico. Con troppa disinvoltura abbiamo scordato che il modello
tolemaico-aristotelico del cosmo, con il suo sistema di eccentrici ed epicicli, consentiva, pur essendo in errore, di
effettuare previsioni astronomiche abbastanza precise. Tutta la costruzione
della scienza allo stesso modo potrebbe, nonostante il suo potere predittivo,
fondarsi su un semplice modello che non rispecchia il reale, ma soltanto una
sua qualche approssimazione. E non c’è neppure bisogno di riferirsi alla
meccanica quantistica, al paradosso dell’azione a distanza e alla teoria
dell’indeterminatezza. Ci sono troppe cose che ci illudiamo di sapere e di
conoscere, punti fermi di cui la scienza moderna sembra essere convinta. La
presunzione del moderno Prometeo che scambia il modello per la realtà di cui è
solo una approssimazione, può davvero condurci alla catastrofe. Il moderno
scienziato più che un Ulisse che varca le colonne del mondo conosciuto, appare
come un apprendista stregone che suscita forze che poi non riesce e non sa più
controllare per via di una tracotanza che lo illude di conoscere la vera
essenza del mondo.
Uno dei paradigmi scientifici
più controversi, salvo nel nostro paese dove il dibattito è oscurato da una
sorta di pregiudizio (o meglio: di censura), è quello che va sotto il nome di morte cerebrale. Il criterio di morte
cerebrale è quello inventato dal protocollo di Harvard per rendere effettuabile
l’espianto da persone a cuore battente, da persone cioè che prima del nuovo
criterio di morte erano considerate vive a tutti gli effetti. Inutile dire che
dietro ai trapianti d’organi ci sono interessi economici colossali. Senza
entrare nel tema in modo specifico, dirò solo che appare paradossale che mentre
non esiste neppure una definizione condivisa intorno alla vita, c’è la pretesa da parte della scienza di interpretare il
concetto di morte. Proprio per il
carattere e la specificità del metodo sperimentale (del quale si riconosce
tutta la portata operativa) questo non sarà mai in grado di dare una
definizione della vita (e della morte) che in quanto qualità sfuggono alla determinazione dei metodi quantitativi. In un
recente articolo, pubblicato su scientificamerican.com
il 2 dicembre 2013, dal titolo: Perché la vita,
in realtà, non esiste, si fa riferimento non a una qualche proprietà
intrinseca delle cose che definiamo vive, ma alla nostra percezione di esse. Di
fatto non esiste una definizione universalmente accettata della vita. E io
aggiungo che non potrà mai esistere. Il perché è ovvio da un punto di vista
logico. La vita presuppone che un soggetto (un io) percepisca qualcosa come
vivo (non importa se si tratta di un organismo naturale o artificiale). La vita
insomma presuppone sempre un osservatore che la qualifichi come tale.
Se è vero
che non esiste mai una precisa linea di confine tra vita e non vita, è anche vero che non esiste mai una precisa linea
di confine tra la vita e la morte. Ma
è ancora più vero che tutta l’impresa scientifica si basa su convenzioni dall'enorme
potere predittivo. Quello che forse l’impresa scientifica non conosce, sono i
limiti del suo metodo che per quanto potente potrebbe non essere mai in grado
di cogliersi come un mero riflesso di automatismi: proprio come quei processi
darwiniani di cui si fa paladina. Insomma, il metodo sperimentale, in
questa ottica, più che un procedimento di conoscenza consapevole sarebbe
nient’altro che un automatismo evolutivo (del quale però non saremmo ancora in
grado di valutare il successo di sopravvivenza). Il darwinismo presuppone
l'autoreferenzialità. Le stesse produzioni intellettuali e scientifiche non
sfuggono a una evoluzione che è immanente al mondo naturale, compresa l’impresa
scientifica che a tutti gli effetti ne è una sua espressione (se fosse vero il
contrario verrebbe violato l’assunto - del sapere scientifico - dell’uomo come
animale tra gli altri animali). In forza delle fosche nubi sul nostro futuro
non è detto che la conoscenza scientifica (se considerata come ontologicamente
vera) sarà idonea ad assicurarci quel futuro di delizie che sembra prometterci.
La realtà è che il metodo scientifico è solo uno strumento potente e utile ma, per l’appunto, solo uno strumento che non dovrebbe mai avere la pretesa di
cogliere il mondo nella sua essenza e di sostituirsi al buon senso e alle
opzioni basate sul criterio di libertà.
Qualunque forma di determinismo,
compreso quello scientifico, sono un’offesa e una lesione alla dignità
dell’uomo. Forse l’umanesimo con il manifesto di Pico della Mirandola ha ancora
molto da insegnare alla tracotanza di certa ‘scienza’.
«Adamo,
non ti diedi una stabile dimora, né un'immagine propria, né alcuna particolare
prerogativa, perché tu devi avere e possedere secondo il tuo voto e la tua
volontà quella dimora, quell'immagine, quella prerogativa che avrai scelto da
te stesso. Una volta definita la natura alle restanti cose, sarà pure contenuta
entro prescritte leggi. Ma tu senz'essere costretto da nessuna limitazione,
potrai determinarla da te medesimo, secondo quell'arbitrio che ho posto nelle
tue mani. Ti ho collocato al centro del mondo perché potessi così contemplare
più comodamente tutto quanto è nel mondo. Non ti ho fatto del tutto né celeste
né terreno, né mortale, né immortale perché tu possa plasmarti, libero artefice
di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore. Potrai
degenerare sino alle cose inferiori, i bruti, e potrai rigenerarti, se vuoi,
sino alle creature superne, alle divine.»
Pico della Mirandola, dalla Oratio de hominis
dignitate
L’immagine che la scienza
moderna sta dando dell’uomo, solo una macchina biologica senza libero arbitrio,
potrebbe davvero essere l’opzione con la quale il moderno Adamo ha compiuto la
scelta di essere soltanto un automa senz'anima, una macchina, un terminator che
agisce mediante l’istinto cieco del suo programma di sopravvivenza. C’è
nell’impresa scientifica - quella che sta vivendo il suo enorme sviluppo nell'ultimo
secolo - un lato oscuro che più che alla conoscenza fa riferimento al potere più che alla razionalità, alle pulsioni inconsce del freudiano disagio della civiltà, più che al
benessere collettivo a vantaggio di sparute minoranze. Una scienza insomma che
dietro alla retorica del bene comune e del sapere, nasconde fini inconfessati. Saggio di Gilberto Migliorini
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7 commenti:
Carissimo Gilberto,
riesci sempre a precedermi. Comunque, anche se i nostri argomenti sono strettamente collegati, penso che sarà interessante il nostro confronto.
Carissimo Manlio
Sono curioso di sapere come sono riuscito a precederti. Devo possedere un sesto senso. Sarò felice di confrontarmi con chi come te ha talento e dimostra originalità e anticonformismo. Sarò lieto di apprezzare il tuo contributo.
Ciao
Gilberto
Ne ho anticipato qualcosa per l'articolo precedente. Riguarda le motivazioni dalla mia prossima uscita da INTERNET.
@ GILBERTO
Una "visione" futurista molto verosimile. Congratulazioni.
Pino
@ MANLIO
Mi incuriosisce morbosamente il motivo che ti spinge ad una così radicale decisione.
Pino
Caro Pino,
dovrai attendere qualche giorno da parte mia; e poi, secondo la decisione del nostro Massimo, gestore del blog; oppure eventualmente ti manderò l'articolo via posta elettronica.
Carissimo amico Gilberto complimenti per l'ottimo articolo.Non lo so se il futuro sarà radioso,per ora è un po opaco,scienza e tecnologia fanno passi da gigante e tutto cambia in maniera vertiginosa,quindi niente previsioni catastrofiche, direi di aspettare gli eventi per poterci vedere dei lati positivi.Gli antichi nel fare certe previsioni si può dire che hanno indovinato e che tanti traguardi sono stati raggiunti.Prevedere se il futuro sarà roseo è un po azzardato,neanche un mago ci riuscirebbe,al massimo potremmo affidarci a certi trattati filosofici di personaggi illustri.Può essere che le tue visioni futuristiche si avverino,chi può dirlo con esattezza? nessuno,non possediamo sfere di cristallo.Il tuo umile scudiero ti augura una serena notte caro amico, e cerca di sognare cose belle mi raccomando,ciaooo.
Carissimo Vito
Alias scudiero, amico e sostenitore, scusandomi per il ritardo nel commentare il tuo commento che come al solito coglie l'essenza del problema, mi riprometto di telefonarti quanto prima per fare il punto della situation...
A presto
Gilberto
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