mercoledì 24 novembre 2010

Non si può morire di negligenza medica

Comunemente chi usa il termine morte bianca intende parlare di un incidente mortale sul luogo di lavoro. Io preferisco dare tale appellativo a chi muore sotto i ferri, in sala operatoria per intenderci. Ultimamente tante sono state le morti che, per imperizia dei medici, sono avvenute sopra un
tavolo chirurgico. Attenzione, non parlo di chi è morto durante gli interventi, per così dire, da ultima spiaggia; c'è chi è mancato mentre gli stavano semplicemente togliendo le tonsille, chi durante un'asportazione di appendicite, chi mentre partoriva col taglio cesareo, chi se ne è andato al creatore mentre gli stavano togliendo un rene (e per la cronaca i reni della paziente erano entrambi sani). 
Per cui occorre dire che la chirurgia, fino a qualche anno fa fiore all'occhiello della sanità italiana, si è adeguata alla medicina tradizionale che da decenni sforna medici incompetenti che a volte fanno fatica a riconoscere anche una banale tonsillite. La cosa brutta è che chi uccide in sala operatoria nove volte su dieci non ne paga le conseguenze. Quell'unica volta che il chirurgo finisce in tribunale subisce una condanna talmente lieve che dopo qualche mese lo si può già ritrovare ad operare in qualche altra clinica. Questo per colpa di leggi inadeguate e di avvocati che con scrupolo, visto i compensi che percepiscono, riescono a ridurre al minimo i danni per i loro assistiti. 
Mai che un chirurgo, un medico, un anestesista o chi altro assiste ad un intervento, si comporti da uomo ammettendo le responsabilità che gli vengono contestate; la reticenza la fa da padrona, quasi ad essere paragonata a quella mafiosa, e chi doveva accorgersi non si è accorto, e chi doveva vedere non ha visto. 

Cartelle cliniche falsificate, certificati di morte fasulli, testimonianze comprate. Insomma, ora si ha paura anche ad entrarci in un ospedale; chi ci dice che dopo qualche giorno ne usciremo camminando? Se è vero, come è vero, che prima di essere medici, chirurghi, imbianchini , muratori o quant altro, ognuno è una persona fisica e psichica coi propri problemi quotidiani, problemi che certamente interferiscono ed a volte danneggiano il lavoro che si sta svolgendo, è altrettanto vero che l'errore di un imbianchino può essere rimediato mentre quello di un chirurgo può essere irrimediabile. 
Chi lavora in fabbrica percepisce poco più di mille euro al mese e se sbaglia gli vengono addebitati i costi sullo stipendio, un chirurgo ha compensi esorbitanti e se sbaglia paga l'ospedale in cui è assunto, quindi lo Stato. Nessuno vuole togliere soldi dalle tasche di chi fa un lavoro importante e serio che serve alla collettività, ma nessuno neppure vuole che un incompetente, o anche solo chi ha al momento problemi familiari tali da distrargli la mente, entri in sala operatoria per operare chi in quel momento vuole solo togliersi una appendicite. Si dice che sbagliare è umano, ma chi non è psicologicamente libero sbaglia di più, è assodato. Come è assodato che chi crede di sapere tutto, per modo di essere o per forma di onnipotenza, tende a portare avanti il suo "lavoro" senza ascoltare alcun tipo di consiglio.
Io vorrei che prima di essere chirurgo chi usa per lavoro una sala operatoria sia "uomo". Vorrei che capisse quando è il momento di dire "oggi non posso operare". Vorrei che pensasse di avere su quel tavolo operatorio un essere umano, uomo donna o bambino, che gli sia caro quanto un familiare, per capirci. Vorrei tornassero all'antico. A quando fare il medico, il chirurgo, era una missione prima che un lavoro. 
Grazie a quei "pionieri" ora loro possono vantarsi di essere ciò che sono, non devono mai dimenticarsene.
Per carità, un chirurgo può "perdere" un paziente in sala operatoria, è successo, succede e succederà, ma non per distrazione, non per negligenza! 
Certamente esistono ancora "uomini" che credono la vita degli altri abbia lo stesso valore della loro, uomini che soffrono per una perdita imprevista e non falsificano la verità. Ma in percentuale quanti sono? 
Io vorrei fossero il 100%. Chi è assunto in una struttura che cura i malati non può dire "vado al lavoro".
Non è un lavoro, non è nato come tale e tale non lo è mai stato, è una cultura, uno stile di vita. Chi non lo sente come tale è meglio cambi mestiere e vada a lavorare in un macello.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

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