giovedì 17 dicembre 2015

Giustizia giustizieri e giustiziati... istruzioni per l’uso

Di Gilberto Migliorini
 

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico. Così cominciava una celebre lirica pascoliana. La novità è che nel Bel Paese si condanna in base a un movente che perfino il Procuratore Generale ha considerato con la consistenza dell’aria fritta. L’antichità è che l’inquisizione permea da sempre la mentalità dei tribunali italiani, ma con quella eleganza da manuale del galateo così ricco di contorsionismi retorici e di allusioni iconografiche. Ci sono moventi che sono come un passepartout, meglio di un jolly e perfino della classica matta pigliatutto, ma comunque non esaustivi della complessità indiziaria: come, ad esempio, la pornografia e il Dna. La prima è come l’araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa.

Fuori metafora l’oscuro oggetto del desiderio è talmente diffuso che oramai non lo si vede più… dissolto un po’ ovunque a insaporire come il prezzemolo e l’erba cipollina. No, non quella delle nudità o dei rapporti sessuali esplicitati in forma didascalica e con valenza didattico esemplificativa, ovviamente. No, per carità, quella è solo propedeutica all’orgasmo virtuale. Si tratta di quella pornografia dei casi dolorosi, delle storie edificanti, delle retoriche di regime nazional-popolare, di quella nudità di sentimentalismo e piagnistei che non fa scandalo e che addirittura sollecita a farne un modello culturale con tanto di imprimatur di una religiosità epidermica e convenzionale.
 
Per quella di pornografia il movente sarebbe non solo assurdo, ma offensivo per quel comune sentimento del pudore, per quella diffusa e circostanziata e sentita afflizione, un patetismo che espone le vergogne senza remore e senza infingimenti, rimestando con sapiente alchimia come uno chef che mescola il fioretto giallo. Lì non c’è movente che tenga, si tratta di esibizionismo condito di leziosità e smancerie, di tante trasmissioni dove la vena pornografica è quella dell’esibizione del mostruoso apparato di piacere del pettegolezzo e della maldicenza o, al contrario, del caso edificante costruito col taglia e incolla: una conturbante e perversa retorica condita di masturbazioni mentali e depravate dietrologie. Figuriamoci se magari un lui o una lei si deliziasse di quegli show mantecati in un intruglio di voyerismo e scopofilia e poi si scoprisse il crimine… nessuno farebbe una piega o accennerebbe a un movente, sarebbe normale amministrazione con il classico delitto per interposta persona....

Che poi invece un omicidio sia propiziato da qualche immagine pornografica sul computer (le classiche e insignificanti immagini da kamasutra) come movente e causa scatenante - la chiave di un teorema con tanto di lemmi, corollari e dimostrazione per assurdo - sembra un tantino umoristico, una barzelletta raccontata a mezza voce in un convento di suore di clausura. Il movente dovrebbe apparire come una teoria assiomatica, con quel timbro epocale da nostalgico tempo andato, una sorta di anacronismo alla Belle Époque, una pulsione assassina old fashion da romanzo ottocentesco, più che altro una fantasia della tv generalista adusa al Via col Vento con Rossella O’Hara. Un moderno san Paolo folgorato sulla via di Damasco potrebbe rivalutare il copione di un dramma manierato alla Giacosa, Come le foglie, o al Fogazzaro del Piccolo mondo antico rimasto all’ambiente borghese ottocentesco e di un criminologo addestrato alla logica apofantica.

Ma tant’è, quando non c’è trippa per gatti anche la pornografia, quella da navigazione anatomica, diviene, con l’opportuno apporto semeiotico e le necessarie ermeneutiche psicoanalitiche, il recondito e surrettizio motivo scatenante di un delitto: l'immagine compromessa di ragazzo perbene e studente modello. Che poi come il Procuratore Generale osserva con logica ineccepibile, l’assassino non avesse provveduto a cancellare quel banale corpo del reato al quale avrebbe dato tanta importanza e valore da indurlo ad uccidere… anzi consegnando agli inquirenti il pc zeppo di quelle immagini pornografiche… pare davvero di una logica sibillina. Ma tant’è l’impianto della sentenza pare ineccepibile alla suprema corte. Sedici anni per un simile delitto sono quel classico colpo al cerchio e quell’altro alla botte, nell’incertezza se caso mai l’imputato fosse innocente, non sono troppi, ci sono sempre gli sconti per buona condotta e (forse) potrà in futuro ancora rifarsi una vita (ma sempre con il marchio indelebile dell’assassino). Ma non voglio parlare del caso Stasi (che detto per inciso ritengo del tutto estraneo all’omicidio della sua compagna, un povero ragazzo che pagherà per le colpe di altri).

Certo parlare del singolo caso e sviscerarne tutti gli elementi costituisce la logica stessa di un sistema investigativo basato sugli specifici riscontri probatori. Però talvolta si può tentare di cogliere le strutture profonde di una cultura che ha le sue radici in quel sistema inquisitorio messo alla berlina da Pietro Verri e da Alessandro Manzoni nel celeberrima disamina sul Processo agli untori. L’attualità dei due autori (un illuminista e un romantico) a molti suona strano, si preferisce qualche rivista di carta più o meno patinata con gli immancabili criminologi, lo psichiatra e il genetista che fa tanto uptodate, oppure i format televisivi dedicati a sviscerare i cold case come se si trattasse di fornire una ricetta da nouvelle cuisine. Il fatto è che il Bel Paese non ha fatto tesoro delle intuizioni e degli approfondimenti di tanta nostra cultura rimasta come lettera morta, preferendo le elucubrazioni criminologiche di opinionisti da manuale Cencelli.

Non parlerò del Piazza e del Mora, i due incolpevoli torturati e giustiziati nel lontano 1630, ma nemmeno di tutti quegli innocenti condannati a pene detentive e all’infamia della pubblica gogna, e neppure di quei colpevoli che la fanno regolarmente franca magari con qualche cavillo giudiziario o con l’omertà di un sistema corporativo che funge da ala protettiva per i suoi adepti e affiliati. Parlerò di quel sistema che si fonda sulla necessità di dare al corpo sociale risposte in sintonia con le aspettative e con le esigenze promosse da quell’ingegneria sociale orchestrata politicamente e rappresentata mediaticamente, il terreno di cultura dove crescono rigogliosi i pregiudizi e i luoghi comuni, o dove si forma quella mentalità dell’italiano medio, un acquirente che compra a scatola chiusa, ma ne assapora il contenuto ingurgitando con avidità...

La cultura nazional-popolare un tempo era rappresentata dallo spettacolo del patibolo, non certo più impressionante del moderno feuilleton televisivo e di certo medium virtuale dal sensazionalismo eclatante in grado di rimestare nei visceri di un imputato più ancora di un Torquemada. Oggi il varietà indossa i paludamenti delle toghe (la spettacolarizzazione richiede anche effetti scenografici e mise appropriate) ma ha bisogno soprattutto di quell’ambiente mediatico nel quale siamo immersi anche quando crediamo di trovarci in mare aperto su una scialuppa di salvataggio, lontani da qualsiasi ormeggio… La solitudine e la privacy sono un lusso che neppure i naufraghi si possono permettere, le isole dei famosi sono ormai alla portata anche dei dispersi nel deserto e degli anonimi sul sentiero di Compostela in odore di santità.

Intanto occorre dire che l’esigenza di trovare un colpevole è preponderante rispetto alla necessità della salvaguardia dei diritti civili e del classico al di là di ogni ragionevole dubbio che sembra più che altro lo slogan pubblicitario di una scatola di biscotti per la colazione del mattino. La cosa potrebbe apparire contraddittoria rispetto a tutti quei manigoldi che non vengono neppure sfiorati dalle penalità della giustizia. Il fatto è che esistono quelle reti di protezione, collusioni e reciproche tutele che per qualcuno sono una manna dal cielo. Per altri, i cani sciolti o non abbastanza immanicati col potere, la loro funzione sociale è appunto quella, alle bisogna, di fare da attore consumato, di professione vittima sacrificale, in uno status conclamato, di adattarsi al ruolo del colpevole e magari dell’assassino quando lo spettacolo lo richiede e soprattutto quando occorre dare risposta al grido di dolore che sale dal corpo sociale. È il classico osso da rosicchiare tenendo occupata e addestrata la platea mediatica a compiere inferenze criminologiche (e politiche) sull’onda emotiva, magari tirando un sospiro di sollievo quando, per usare l’immagine metaforica di Erasmo da Rotterdam, suona la cassetta delle elemosine e un’anima sale in cielo. Sì, si tratta di un sistema dove l’equilibrio dei poteri impone criteri negoziali e soprattutto scenografici, un copione che per quanto possa sembrare di natura casuale è invece un sistema coerente con tanto di surrogati e valvole di sfogo per uno spettacolo che ha una precisa funzione sociale.

Un tempo ci si accalcava attorno al patibolo per cogliere in slow-motion gli spasmi e le contratture sul volto del condannato prima ancora di avvertire il rumore delle ossa rotte e le immancabili flatulenze intestinali. Altro che realtà virtuale, per gli aficionados era davvero come toccare con mano, almeno a chi si trovava proprio davanti al proscenio, sui palchi, non sulle curve, in galleria o alla buvette in attesa che si liberasse un posto possibilmente in prima fila dove assistere allo spettacolo esilarante ed educativo.

Oggi ci si accontenta, si fa per dire, del gossip condito di tante illazioni ben confezionate... e poi c’è la scienza che immancabilmente da un capello e da qualche nanogrammo di materiale genetico ti squaderna tutta intera la dinamica e la filiera di un delitto. I benpensanti e gli estimatori sono davvero impressionati quando si parla di nucleotidi e sono pronti a scommettere con quella fede scientifica che fa all’uopo con il classico “spieghi come il suo Dna è finito sulle mutande?”. Per gli untori non ci sarebbe stato davvero scampo, e per il Manzoni sarebbe occorsa una Storia della Colonna infame di impronta genetica per tener testa alla vicenda nei suoi risvolti scientifici. Alla fine però anche gli assassini, quelli che premeditano il delitto e non già quelli presi da raptus omicida e da stress postraumatico, si faranno furbi, sempre che non l’abbiano già fatto facendo il lavoro con guanti da chirurgo e metodologia forense. In fondo sì, anche quella del delitto è un’arte da praticare con competenza da manuale e adeguate capacità organizzative.

Purtroppo sono gli ingenui e sprovveduti che di solito finiscono nella rete della giustizia. Che siano colpevoli o innocenti capitati per caso sul luogo del delitto, magari a scoprire il cadavere, o davvero rappresentino l’assassino, in fondo poco importa. L’essenzile è che il ruolo sia assicurato e che qualcuno lo interpreti, magari con una regia che ne valorizzi i talenti cogliendo lo sguardo giusto, un po’ di traverso, dando lievito e carattere a una biografia troppo piatta e inadeguata allo status-ruolo - giocando sui suoni onomatopeici e sugli accenti, le assonanze e le allitterazioni - magari giostrando su quei passatempi caserecci che d’improvviso assumono il rilievo di un vero movente. 
 
In fondo basta davvero poco... e per ciascuno di noi, anonimi personaggi senza arte né parte, c’è un copione che di botto ci potrebbe rendere famosi, interpreti convincenti e perfino appropriati di un giallo mediatico infallibilmente di successo…

8 commenti:

manlio.tummolo ha detto...

Condivido, carissimo Gilberto. Potrebbe sembrare strano che, malgrado gli enormi progressi tecnologici anche nella ricerca criminologica, si continui a restare bloccati a certe procedure più che inquisitorie, persecutorie e pre-giudicanti. Il nodo della questione consiste in una mentalità che non muta e non si cura nemmeno del progresso tecnologico, se non per piegarlo alle esigenze del pre-giudizio, visto che si è convinti che il ritrovamento di un colpevole non avviene per una certa induzione scientificamente fondata (ancorché passibile di errore come ogni atto umano), ma per Ispirazione Ultraterrena, poco importa quale o a quale stadio. La Camera di Consiglio è il Luogo Santo nel quale tali rivelazioni vengono comunicate e che poi il giudice fatica a tradurre in motivazioni razionali, tanto è vero che non gli basta il mese previsto, ma talvolta gli occorrono perfino anni, così l'illuministica conquista della motivazione obbligatoria di una sentenza viene aggirata attraverso il rinvìo a tempi indeterminati, come se essa fosse una superflua modalità aggiuntiva alla Decisione Ispirata.

Gilberto ha detto...

Sì, Manlio, come al solito ci troviamo in perfetta sintonia, sarà per formazione culturale o semplicemente per buon senso.
Ciao
P.S.
Cosa aspetti a proporre il tuo saggio a un editore?

Manlio Tummolo ha detto...

Carissimo Gilberto, grazie per quanto osservi e per il tuo apprezzamento. Con editori ho già avuto due esperienze negative (uno di Trieste si è comportato da vero imbroglione, ne accenno sull' autobiografia del mio sito), l'altro, un buon uomo, ma non particolarmente capace. I grandi editori ? Cercano scrittori già celebri per una qualche ragione, perché hanno tutto da guadagnarci, ed evitano personaggi scomodi come me, che non ripeto tesi di largo consumo. Temo che sarò "scoperto" dopo qualche secolo dalla mia morte, così non mi pagheranno neppure i diritti d'autore. La nostra epoca storica vanta la libertà di stampa come una sua grande conquista, ma la reltà - come ben saprai tu stesso - è ben diversa. In Italia si ha la libertà di "stumpa", ovvero quella degli errori di stampa. I più cari saluti e vivissimi Auguri a te e chi ci segue, in nessun caso disperare. Manlio

Gilberto ha detto...

Manlio
Un errore è quello di demordere, alle volte è questione di fortuna, trovare la persona che legge e sa vedere. Insisti!!
In bocca al lupo e Buon Natale
Gilberto

ENRICO ha detto...


BUONE FESTE a tutti gli utenti del blog ed all' impagabile insostituibile Massimo Prati

Gilberto ha detto...

Buon Natale e buone feste a tutti
Gilberto

Dudu' ha detto...

Sempre un gran piacere leggerti Gilberto.
Sereno Natale a te, a Manlio Tummolo che non manco di leggere anche lui con gran piacere a sorsate, purtroppo devo ancora arrivare alla fine del suo ultimo articolo, ed ad Enrico.

Massimo Prati
I migliori auguri di un sereno Natale anche a te. I miei ritagli di tempo li dedico un pò anche al tuo blog, fonte genuina di un pensare alternativo. Con stima per voi tutti,
Buone Feste anche a tutti coloro, incarcerati, stanno subendo un percorso durissimo e doloroso. Una buona stella li aiuti e li sostenga.
Buon Natale, Dudù.

Manlio Tummolo ha detto...

Grazie a Dudù, per gli auguri, che ricambio sentitamente, e la paziente lettura. Fortunatamente nessuno ci corre dietro, né per chi scrive, né per chi legge. Così si può seguire uno scritto con tutta la calma necessaria. Auguri a tutti, Mamlio Tummolo