lunedì 30 settembre 2013

Longarone 1963: Eccidio

Denuncia di Francesca Chiarelli
Belluno, ottobre 2013


In questo periodo di ricorrenza cinquantennale dei fatti cruciali del Vajont, tanti scrivono, tanti parlano, tanti ricordano, tanti ascoltano o leggono qualcosa di una vicenda molto intricata. Ho anch'io un pezzo di storia da aggiungere e lo faccio in memoria di mio padre, anche se i rapporti fra noi non erano certo dei migliori a causa delle nostre diverse convinzioni e sensibilità. Di lui però ho sempre ammirato l'onestà e la determinazione con cui portava avanti gli impegni che man mano si è assunto. E lui ha sempre usato il termine "eccidio", mai "disgrazia", quando parlava di quelle vicende. La verità sta, a mio avviso, nel mezzo, perché mi pare che non sia stato propriamente né questo né quello, e pur tuttavia le due cose assieme. Giudicate voi, alla luce del mio racconto. Dopo 50 anni ancora circola la spiegazione ufficiale e solo quella, quella che abilmente é stata messa in giro fin da subito e anche poi, spostando apposta il processo a L'Aquila, ovvero ben lontano rispetto a Belluno, pensando ai mezzi di trasporto e di comunicazione di allora. Mio padre c'era a quel processo, ha testimoniato, rischiando per sé e per la sua famiglia dopo le minacce dei responsabili. Non ne parlava volentieri, anzi non ne parlava quasi mai, e io ero piccola, troppo piccola e troppo isolata per sapere, non saprò mai a quali ritorsioni ha dovuto reagire, li posso solo intuire, era uno che i problemi di lavoro li lasciava lì, non li portava in famiglia. Ci voleva proteggere.

Per quanto ne so, gli atti del processo non sono mai stati resi pubblici. Lo sono solo da questo mese circa e non vedo l'ora di consultarli, se potrò. I tempi sono maturi per leggerli: molti superstiti sono morti a loro volta, la maggioranza della gente in zona è gente come me, che ne parla ma non ha realmente vissuto sulla propria pelle quell'orrore, quindi sarà molto più facile affrontare quanto ci potrà essere scritto. E anche per me il tempo è maturo per scriverne. Il 9 ottobre 1963 io spegnevo la mia prima candelina. Proprio quel giorno. A Belluno, in zona Lambioi che bellamente si affaccia sulla splendida curva del Piave. Crescendo ho visto costruire la diga che oggi fa parte della "Lambioi beach" meta diurna di ragazzi sfaccendati. Ho visto innalzare poco a poco di almeno 10 metri il piano dove andavo a giocare cercando rane e che ora è sede del parcheggio, ho visto interrare i tronchi degli alberi di cui ora si scorge solo la cima, piantare quegli inutili e beffardi cartelli con su scritto "Attenzione, piene improvvise!" che tanto mi spaventavano da piccola.

Quel giorno, dicevo, spegnevo la mia prima candelina. Ma mio padre tardava a tornare a casa per i festeggiamenti. Forse mia madre sapeva dov'era, immagino di sì, o forse non ha voluto preoccuparla: non ho mai potuto chiederglielo. Non so a che ora è tornato, ma certamente prima della partenza dell'onda micidiale, per porsi in salvo. Aveva passato la giornata e anche quelle prima a prodigarsi in tutti i modi affinché tutta la zona attorno alla diga venisse evacuata per quella data e quell'ora. Ma chi aveva l'autorità per farlo non ha ritenuto che ne valesse la pena, ha pensato che esagerava, che se ci fosse stato pericolo per quel giorno e quell'orario sarebbero stati avvisati direttamente da chi quell'evento lo aveva pianificato... Così il sindaco stesso è morto, vittima della propria superficialità più che dell'onda. E con lui, e anche a causa sua, molti altri. E' pertanto un po' fuori luogo che oggi l'attuale sindaco chieda le scuse dell'attuale capo di stato: è come se le chiedesse a se stesso, solo che non lo sa. 

Mio padre era allora notaio proprio in Longarone. Molti non-giovani in provincia di Belluno lo ricordano ancora, era un persona che partecipava, non certo uno che si defilava. Fatto sta che proprio da lui i responsabili SADE erano stati a firmare non so che atto, inerente l'acquisto di proprietà in quella zona, sempre per via della centrale. E in quell'occasione, imprudentemente e spavaldamente, hanno confidato a mio padre il loro piano pazzesco di far finalmente scendere una buona volta quella montagna pericolante, che pendeva come la spada di Damocle sopra tutti, specialmente loro, che per quella spada non avevano ancora potuto vendere all'ENEL l'impianto. Farla scendere proprio quel giorno e a quell'ora, in modo tecnico, programmato e sperimentato (credevano) coi famosi modellini di Nove. Non dunque una fatalità dovuta a distrazione esagerata, come sostanzialmente si legge ovunque, ma pianificazione organizzata con tanto di data e ora predeterminate. Di conseguenza il termine "eccidio" definisce meglio di "disgrazia" quanto accaduto. E d'altronde mettiamoci nei panni di questi avidi delinquenti senza coscienza che hanno deciso a tavolino: ok, facciamolo il 9 ottobre, verso le 9-10 di sera, saranno tutti a seguire la partita in tv e non ci disturberanno, non se ne accorgeranno nemmeno. 

Avvisare la popolazione? Per carità! Col polverone sollevato da quella Merlin e i vari comitati rischiamo che non ce lo lasciano fare! Far evacuare la zona? Ma scherzi? Perché creare allarmismi, tanto se ci va bene non ci sarà stato nulla per cui far evacuare, e se ci va male possiamo sempre dire che ci siamo distratti un attimo, che è caduta da sola. Si è tragicamente avverata la seconda ipotesi, compresa la spiegazione della "distrazione". Un'onda alta una trentina di metri, che sarà mai? (invece fu di 300 metri) Abbiamo fatto le prove a Nove, non accadrà niente di che, e comunque "per quei quattro montanari in giro per i boschi non è il caso di preoccuparsi troppo" (parole testuali riferitemi da mio padre nel corso degli anni), cosa vuole che sia notaio, se ne stia fuori, che non la riguarda e ha il segreto professionale da rispettare, altrimenti se ne pentirà. Ma io me ne frego del segreto professionale davanti ad un pericolo così grave! Non potete fidarvi di quelle prove a Nove, state buttando giù una montagna enorme, dovete almeno far evacuare la zona.

Ma mettiamoci nei loro panni: se avessero chiesto di evacuare la zona, tutti avrebbero saputo il motivo e sarebbe stato certamente loro impedito di autorizzare quell'invaso che tanto scientificamente quanto volutamente ha imbevuto d'acqua i piedi del gigante per farlo scivolare. Costava meno che sminarlo un po' per volta. Qualcuno ha dato ascolto a mio padre, quel giorno, ma non abbastanza e si sono spostati troppo poco... per questo non sono qui a raccontarlo. Uomini di un cantiere vicino che lui era riuscito a convincere di non stare dov'erano, si sono spostati di vari chilometri pensandosi in zona prudente e sicura. Chissà se è sopravvissuto qualcuno avvisato da mio padre, chissà se qualcuno lo ha ascoltato e si è salvato da quel "sasso nel catino": poche formiche nella distruzione di un formicaio gigante. Io spero di sì. Siamo formiche, ma alcuni si ostinano a credersi Déi che possono tutto, anche gettare un sasso in un catino, una montagna nel laghetto artificiale di una valle stretta e abitata. Il giudice ha sentenziato "Fatto dell'uomo non imprevedibile", così almeno mi ha sempre riferito mio padre e aspetto di leggere per intero gli atti, se mi sarà concesso. Stando così la frase, a me suona decisamente riduttiva e mi si affacciano alla mente ipotesi inconfessabili... 

Volendo tirare la morale finale, un insegnamento utile che dia un senso a quei duemila morti per lo più innocenti, mi sento di dire che la responsabilità in entrambi i sensi fu di tanta più gente di quella che sembra, che è sempre responsabilità personale di ciascuno di noi che abbia una parte, ciascuno nel proprio posto, con la possibilità, può scegliere... per esempio: Faccio evacuare la zona... oppure mi metto in salvo solo io? 
Francesca Chiarelli


3 commenti:

Chiara ha detto...

....caspita....

Chiara ha detto...

La Procura di Belluno indagherà:

http://www.ilgazzettino.it/vajont/vajont_fu_una_frana_pilotata_la_procura_apre_uninchiesta/notizie/333114.shtml

Luca Cheli ha detto...

Il mio dubbio è che davvero si potesse prevedere non dico l'ora ma anche solo il giorno in cui la frana sarebbe avvenuta.
La sera del 9 ottobre 1963 il bacino era in svuotamento, ufficialmente per portarlo ad un livello più sicuro ed evitare sfioramenti in caso di frana.
Mi piacerebbe sapere se persino oggi sia possibile fare una previsione su di un evento del genere con un margine di errore di una o due ore.
Che più in generale si fosse messa in conto la possibilità o addirittura la probabilità di una frana è provato dalla costruzione della cosiddetta galleria di sorpasso già nel 1961.