Silvia Pedroni ha trentotto anni. Oggi non è come la vedete nella foto soltanto perché il suo volto da qualche tempo è triste. Silvia è una bella ragazza che forse non crede di esserlo, una ragazza che forse ha sofferto la mancanza di una presenza forte accanto a sé, o semplicemente una ragazza che vive un lungo momento di tristezza. E' scomparsa la domenica di Pasqua in una Forlì quasi vuota di persone, una Forlì che spoglia della sua gente si ritrova triste come era triste Silvia da qualche mese. Uscita di casa con una felpa rossa, un paio di pantaloni neri e delle Nike bianche, aveva con sé uno zainetto. Alla madre poco dopo mezzogiorno ha detto che andava a far jogging, una corsetta di un'ora o poco più, ma verso sera è stato fin troppo facile per lei intuire che non avrebbe fatto ritorno. La depressione è una brutta bestia, un animale che ti guarda col suo ghigno peggiore e ti incute il timore e la sicurezza di essere nel corpo sbagliato, nella mente sbagliata, nel mondo sbagliato. E' una bestia orribile che non nasce all'improvviso, una bestia che ammalia nel tempo convincendo chi l'ha creata e la alleva che l'esterno è da evitare, che la solitudine ed il silenzio sono da prediligere. Ma può capitare che chi non si è mai creduto forte un giorno decida di combattere. Ed usare la forza di volontà ed il cambiamento è un modo buono per sconfiggere ed eliminare la bestia.
Ora a Silvia, che ha una laurea in giurisprudenza acquisita all'Università di Bologna, dove fino ad un anno fa lavorava, si chiede di tornare a casa. Lo chiedono i parenti, in primis la madre, e lo chiedono le amiche, che si sentono in colpa senza motivo, in una lettera aperta a lei indirizzata, questa:
Cara Silvia,
mi rivolgo a te con la certezza che leggerai questa mia lettera. Qualcosa improvvisamente ti ha fatto prendere la decisione di uscire di casa per una breve pausa che rispettiamo ma che ora di fronte al prolungarsi di questa tua assenza ci fa sentire in colpa per non avere doverosamente capito i tuoi problemi. Ti prego, ti chiediamo solo di darci ancora un’altra possibilità, anche a me personalmente perchè due mesi fa quando ti ho incontrato in Corso della Repubblica con tua madre non mi sono fermata a salutarti, perdonami andavo di fretta, come al solito purtroppo... e anche a tutte le tue amiche e amici che desiderano veramente abbracciarti. Non puoi davvero immaginare quanto manchi a tutti, la tua dolcezza di carattere e il profondo rispetto che hai sempre avuto verso gli altri... forse troppo, ma questo lo aggiungo io. Ti trascrivo nuovamente il mio numero di cellulare 338 6480397 e quello di Deborah 333 3013957 e/o 393 8911364. Sono sempre accesi. Se non te la senti per il momento di rientrare a casa tua, la mia casa e quella di Deborah sono e saranno per te, sempre aperte. Nessuno ti farà domande alle quali oggi non vuoi rispondere perché rispettiamo la tua volontà, ma ti prego sollevaci da questa angoscia. Mi passano davanti agli occhi i pomeriggi che passavi con Deborah (con l’intenzione di studiare...?!!) mentre invece vi sentivo ridere per chissà quale nascosto motivo. E con Pallina lì a tenervi compagnia. Ti abbraccio e aspetto la tua telefonata.
Io non mi unisco alla loro preghiera, anche se una telefonata tranquillizzante la auspico (almeno alla madre), perché credo che Silvia abbia il diritto di essere considerata prima di ogni altra cosa una donna, coi suoi problemi come li hanno tutti gli esseri umani, ma una donna che seppure in crisi si crede in grado di decidere della propria vita. La depressione può togliere valore all'esistenza, è indubbio, ma se si spera di curarla solo assumendo pasticche significa che poco si è capito e si è destinati a consumar farmaci a vita (ma quale vita?). Quindi se Silvia ha deciso di modificare la sua cura, di ampliarla o riempirla con qualcosa di diverso, se ha deciso di modificare una vita che non le piaceva per provare a costruirne una nuova, ha tutto il mio affetto, tutta la mia comprensione ed ammirazione. Fermo restando, nel mio piccolo un consiglio provo a darlo, il cercar di farle capire che la base di partenza giusta è comunque il tranquilizzare chiunque possa soffrire per l'allontanamento di un familiare caro.
Quindi, se a Silvia non è accaduto nulla di violento, se il giorno di Pasqua non l'ha distrutta moralmente tanto da convincerla a farsi del male, credo sia giusto lasciarla ai suoi pensieri fino a quando vorrà. Credo sia giusto non forzare una donna di trentotto anni per farle fare quanto pare al momento non voglia fare. Al limite chi la incontra può cercare di aiutarla prestandole il telefono per quella telefonata che tranquillizerebbe tutte le persone che le vogliono bene. La speranza è che un giorno, presto o tardi non sta a noi decidere, torni a Forlì con il dolce sorriso che rende bellissima lei e la sua foto... arrivederci Silvia, facci solo sapere come stai.
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