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venerdì 28 settembre 2012

In nome del popolo italiano la giustizia ha due facce. Perché Roberto Colombo non è stato trattato come la Misseri, il Parolisi e tanti altri?


Ciò di cui è capace qualche amministratore della giustizia italiana, fa capire in maniera netta come tanti nostri magistrati e giudici non sappiano, o per diversi motivi non vogliano, leggere allo stesso modo le 'tavole' dei codici penali, come tanti di loro si sentano ancora parte attiva di un'altra epoca storica. Fa capire come non siano stati preparati, da chi doveva insegnargli ed aiutarli mentalmente, ad entrare da uomini giusti negli anni tremila, fa capire come siano rimasti ancorati agli albori della giustizia, a quando chi giudicava comminava pene in base alle possibilità economiche ed al ceto sociale. Nella Babilonia di quasi quattromila anni fa, durante il regno di Hammurabi, il povero, a parità di reato, era obbligato alla morte, mentre chi aveva possibilità economiche, per tornare un 'uomo libero' si limitava a pagare un'ammenda. Nel basso Medioevo, nella futura italica terra, si procedeva con un trattamento simile, trattamento che teneva conto non solo dei beni posseduti, ma anche delle amicizie altolocate e del ruolo che il reo ricopriva nella sua comunità. Ad oggi, siamo nel 2012, pare proprio che nulla sia cambiato.

Da anni la nostra 'giustizia' è divisa in tronconi colorati. E sempre più spesso capiamo di avere a che fare con enormi disparità di trattamento. Già nel '71 ci fu chi puntò il dito (Dino Risi) contro quei magistrati, allora idealisti e squattrinati, che abusavano del potere concesso loro dal popolo italiano. Qualcosa è cambiato da allora? Difficile rispondere sì, visto che fra il 'certo colpevole' e chi si dichiara innocente la disparità di trattamento è enorme e tutta in favore del 'certo colpevole', visto che i trattamenti cambiano da procura a procura, da tribunale a tribunale, visto che con alcuni imputati c'è chi usa il guanto di velluto mentre, per reati simili se non identici, da altre parti c'è chi usa il pugno di ferro. Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono rimasti quattro anni in carcere in attesa di un verdetto 'giusto'. Sabrina Misseri fra un mese festeggerà i due anni in cella, sua madre è chiusa in galera da sedici mesi ed il processo non finirà prima di Dicembre. Salvatore Parolisi da quattordici mesi aspetta fra i detenuti che finalmente abbia davvero inizio il suo rito abbreviato. Nessuno di loro si è dichiarato colpevole e tracce che li ponessero sul luogo dell'omicidio non ve n'erano. Della Knox e del Sollecito non ne parlo, ne hanno già parlato i periti a processo e fra poco vedremo se la ragione sta veramente nel verdetto dei giudici di Corte d'Appello. La Misseri è stata arrestata perché non ha ammesso di amare e di essere gelosa del 'Delon di Avetrana', perché non ha ritenuto di aver litigato con la cugina la sera precedente la scomparsa e perché suo padre l'ha tirata per i capelli. Questo è bastato ad impedire si facesse un minimo di indagine che convalidasse i sospetti. Di logica le accuse, siano di estranei o di un 'caro genitore', vanno verificate prima di mandare i carabinieri ad eseguire un ordine di arresto... non si dovrebbe arrestare e sperare di trovar prove successivamente, si dovrebbero trovar prove e poi arrestare. Sua madre ha subìto la stessa sorte: ha seguito la figlia in carcere perché un fiorista l'ha sognata e perché c'è chi ha notato un'ombra grigia sfrecciare per Avetrana. Un sogno ed un'ombra possono giustificare sedici mesi in gattabuia?

Salvatore Parolisi, dal canto suo, ha mentito agli inquirenti cercando mille scuse per impedire, a loro ed alla famiglia (sua e della moglie), di scoperchiare i suoi 'altarini' e quelli della caserma in cui lavorava, di trovare ciò che i carabinieri avevano già trovato, un'amante che fungesse da spinta omicida. Il mentire quando si è interrogati è l'atteggiamento più sbagliato che si possa usare, un atteggiamento che da sempre inguaia tanti indagati. Ma nonostante l'atteggiamento e le menzogne, per arrestare e dichiarare al mondo di aver a che fare con un assassino, si devono almeno trovar sue tracce sul luogo del delitto, si deve almeno rinvenire anche solo una minima goccia di sangue sui suoi abiti o sul suo sedile, si deve operare in maniera da poter aver risposte certe dall'autopsia. Se tracce non ce ne sono significa che l'indagato non era sul luogo del delitto, altra spiegazione è difficile da trovare e provare se chi giudica si attiene ai fatti e non alle chiacchiere. Se nessuno ha visto l'auto del Parolisi salire verso Ripe di Civitella, se nessuno l'ha vista scendere, e c'era chi la poteva e doveva vedere, significa che non è né salito né sceso. Insomma, per andare in carcere servono anche le prove, questo dice la legge, non basta essere chiamati in correità o accusati perché nella fase iniziale delle indagini si è mentito, perché nessuno ti ha notato in un parco semi-vuoto distante 18 km dal punto in cui è stato commesso l'omicidio.

Non inserirò altre storie di presunti colpevoli, arrestati e carcerati preventivamente e senza prove, basta cercare in internet per trovare migliaia di innocenti risarciti della reclusione ingiusta con soldi statali... e non con quelli privati di chi ha sbagliato a chiudere in carcere, senza avere prove, un incensurato. Rovinare la vita delle persone comuni è fin troppo facile, questo è quanto l'italiano che non ha mai avuto guai con la giustizia deve capire. Non deve credere di essere immune perché onesto, e non deve pensare che a lui ed ai suoi figli non capiterà mai quanto capitato ad altri. Lo sbaglio è sempre dietro l'angolo. Lo sa bene Carlo Pezzo, rimasto trenta mesi in un carcere a mille km dalla sua famiglia prima di essere giudicato e riconosciuto innocente. E quando non si tratta di sbaglio si entra nel campo minato della malafede. Lo sa bene Giuseppe Gullotta, che di anni in galera ne ha fatti ventuno, compresi i preventivi, a causa delle torture riservate a chi lo ha accusato (poi impiccatosi in carcere seppure avesse un solo braccio). Ed anche se un domani il danno verrà scoperto e riparato, non ci sarà mai un risarcimento che possa compensare la psiche, che possa riportare in vita i genitori morti dal dolore, che possa ridare la 'salute' alle mogli che per la vergogna e il dispiacere sono invecchiate anzitempo (sempre siano restate accanto ad un marito che non c'era), che possa far tornare l'infanzia e l'adolescenza nei figli cresciuti senza un padre accanto, cresciuti col marchio dell'infamia che porta il dover parlare di un genitore non presente perché in carcere. Non inserirò altre vergogne italiche, non le inserirò perché anche se narrassi mille e una storia, nulla cambierebbe e nessuno modificherebbe il proprio modo di operare. Per questo servirà tempo e una buona capacità di insegnamento da parte di chi formerà i nuovi giudici ed i nuovi magistrati.

Inserirò invece la storia di una persona cosidetta 'perbene', una persona che aveva ed ha buone conoscenze anche fra magistrati e uomini di partito, una persona di nome Roberto Colombo. Lui non è una ragazza di vent'anni che vive in un paesino della campagna pugliese, non è una contadina di cinquant'anni che si alza alle quattro di mattina ed ha le mani ruvide a forza di andare a lavorare nei campi, e non è neppure un caporalmaggiore dell'esercito che ha partecipato a missioni di pace all'estero ed a cui piacciono le donne... e per nascondere la sua debolezza mente alla moglie ed ai familiari. Roberto Colombo, figlio di una famiglia molto conosciuta a Bergamo, è uno stimato primario d'ospedale, o per meglio dire: fino al 27 giugno era uno stimato primario d'ospedale che aveva tentato anche la scalata politica. L'ultima volta si era candidato alle amministrative con il partito di Di Pietro, l'Italia dei Valori (IDV). Una vita agiata la sua. Una vita che poco dopo la nascita del suo secondo figlio, però, si è improvvisamente smaterializzata arrivando alla conclusione fallimentare più logica. Quando una coppia scoppia si dichiara il fallimento del matrimonio e si passa dalla separazione al divorzio. E così è stato anche per lui e sua moglie, Stefania Cancelliere, che già aveva un bimbo, frutto di una precedente relazione, e che da separata è rimasta a vivere coi figli nell'appartamento coniugale posto nell'attico dell'elegante condominio in cui la famiglia viveva. Il marito si è spostato di poco. Gli è bastato fare qualche scalino per andare ad abitare nell'appartamento del piano terra, nello stesso condominio, anche questo di sua proprietà.

Ma la vicinanza fra i due, come prevedibile, ha ingigantito i problemi acuendoli oltremisura. Non è facile per un uomo abituato ad essere un 'vincente' accettare la fine di un rapporto coniugale, specialmente se ha generato due figli e, questa la pista privilegiata dagli inquirenti, se il divorzio gli verrà a costare tanto in termini economici. Così la trafila è stata la stessa di altri casi simili, ed ai fiori di fronte alla porta, per cercare una riunione coniugale, si sono intercalate la violenza e le minacce. Quindi la moglie che denuncia il marito perché la perseguita, che dice alla famiglia di temere per la sua vita, e la polizia che interviene in modo poco invasivo, anche se per prevenzione è stata sequestrata la collezione di armi che il primario teneva in casa, ed invece di obbligarlo ad una 'terapia disintossicante' spera, visto lo 'spessore' della persona, siano il buonsenso e la ragione a prevalere in lui. Ma il buonsenso e la ragione, se non iniettati da chi ne è capace, non sempre fanno capolino nella mente che si sta bacando. Ed il 27 giugno scorso, quanto si prevedeva accadesse è accaduto. La ex moglie ed il figlio maggiore, di sette anni, avuto dalla relazione precedente, escono dall'appartamento lasciando gli altri due bimbi con la baby sitter. Lei prende l'ascensore mentre il piccolo 'vuole arrivare prima', passando dalle scale. Ma l'ascensore è veloce e Stefania è al piano terra quando al bimbo mancano ancora diversi scalini. Lei nota subito il marito con un matterello da 80 centimetri in mano. Cerca di arrivare all'uscita, ma i primi colpi alla testa le impediscono di andarsene. Arriva il piccolo, vede l'ex patrigno accanirsi su sua madre e corre scioccato su per le scale alla ricerca di aiuto.

Una ragazza del primo piano chiama la Polizia, e prima di rifugiarsi in casa, per cercare di fermarne la furia omicida, lo urla all'uomo. Altre persone cercano di sfondare la porta dall'esterno, fanno rumore e gridano per bloccarlo. Ma la furia non si placa e continuerà per cinque interminabili minuti. Cinque minuti in cui sulla testa e sul corpo di Stefania si abbatteranno ottanta colpi sferrati con inaudita violenza. Arrivano i soccorsi, la donna viene intubata e portata in ospedale.... a breve morirà. Il marito viene arrestato e pochi giorni dopo un Gip cercherà di interrogarlo, ma la linea difensiva prevede la 'scena muta'. Finisce in carcere e come logica vuole, non essendo abituato a vivere nel lercio di pochi metri quadrati, non si trova a suo agio e deperisce. Ed ecco che un medico di parte stila un referto altrettanto di parte. Roberto Colombo necessita di cure mediche da somministrarsi all'esterno del carcere, luogo in cui potrebbe morire. E' passato poco più di un mese dall'omicidio, quando il Gip decide che non vi sono esigenze cautelari per l'assassino, che una clinica è per lui il luogo giusto in cui curarsi e trascorrere il tempo che passerà dall'istruttoria al processo. Una decisione presa 'in fiducia', senza neppure mandare un 'suo dottore' a verificare quanto fossero drastiche le condizioni dell'uomo, senza neppure pensare alla possibilità di una cura in carcere.

Eh già, si andava di fretta. 'Un imputato potrebbe morire', aveva scritto un dottore. Un dottore come lo era il primario omicida. E la fretta ha accellerato l'iter della pratica, tanto che un giudice non ha trovato ostacoli ed ha deciso di tutelare l'imputato. Ed il Pm? Cosa ha detto e fatto il magistrato che sta istruendo il processo? E' stato d'accordo col giudice? Insomma, questa 'liberazione' fa nascere interrogativi, c'è da chiedersi se davvero non vi siano state piccole spinte provenienti dal partito per il quale il Colombo era candidato alle amministrative. Il dubbio è umano, ed anche non ci fossero state non si fa peccato a pensarlo, dato che l'Italia dei Valori ha al suo interno diversi magistrati. Se così non fosse, quindi, si dovrebbe dire che un 'assassino' è stato tutelato in maniera esponenziale dalle istituzioni preposte dallo Stato italiano... lo stesso Stato che non ha tutelato affatto Stefania Cancelliere, la vittima. Lo stalking è un reato che spesso sfocia in omicidio. Ed allora perché nessun giudice ha preso il dottore per le orecchie quando è stato denunciato? Perché, oltre che a sequestrare le armi e prima che diventasse un vero criminale, non lo ha mandato obbligatoriamente in una clinica, magari la stessa in cui si trova ora, per una terapia psichiatrica obbligata? La TSO (terapia sanitaria obbligatoria) la si richiede spesso, anche solo per l'uomo o la donna che danno in escandescenze alla vista di chi non sopportano.

Mi viene alla mente Luigi Salvi, un pensionato di 66 anni che nel 2005 contestò vivacemente Romano Prodi. Lo fece prima che iniziasse il comizio elettorale, l'onorevole non era ancora arrivato, e per questo fu fermato dai carabinieri e la sera stessa mandato in terapia obbligatoria. A decidere che necessitava di cure, sette giorni lontano dalla sua famiglia (che non poteva neppure andarlo a visitare), fu l'assessore del Comune di Bergamo, eletta nella lista del PD (guarda caso il partito di Prodi), Elena Carnevali, legittimata da una delega del sindaco della città orobica, Roberto Bruni (da quest'anno anche lui nuovo acquisto del PD). Certo, tutto fu fatto in regola e come prevede la legge. Senza nessuna visita psichiatrica approfondita un dottore chiese per il contestatore la terapia e fu avvallato da un altro dottore appartenente ad una struttura pubblica. Luigi Salvi aveva una moglie e non era un pregiudicato, nessun carabiniere fu ferito dalla sua 'furia' calmabile solo con una terapia, ma fu spedito in una clinica a causa delle sue idee, contrarie a quelle di Prodi. Ed in quella clinica, a 24 ore dal ricovero, Luigi Salvi ci morì. Ma per i più svariati motivi non si son trovati colpevoli. Il Pm poco alla volta ha archiviato le pratiche sui politici che decisero dovesse andare in terapia, tutto in regola e niente da contestare, ed un giudice pochi giorni fa ha assolto i medici che lo avevano fatto legare al letto e messo sotto sedativi. Nessun colpevole, quasi come a dire che il Salvi aveva il 'destino segnato', che anche senza la terapia obbligatoria decisa dagli amici di Prodi, senza i legacci ed i sedativi, ventiquattro ore dopo il comizio sarebbe comunque morto.

Può essere che il 'fato' avesse deciso di chiudergli la fonte di vita. Come no? D'altronde è facile morire senza motivo, specialmente se non si è tutelati per come vuole la legge. Come è facile che un giudice ti mandi in carcere senza che il Pm gli abbia portato vere prove. Ma se non sei una persona qualunque del popolo, se sei dall'altra parte della staccionata, quella rinomata e più stimata, ed hai conoscenze nei luoghi giusti, è anche facile ottenere dai magistrati quelle agevolazioni negate 'al livello inferiore' della scala sociale. Quindi, paragonando il modo di fare giustizia, possiamo dire di essere ancora nel basso Medioevo o nella Babilonia di quattromila anni fa. Roberto Colombo ha ottenuto, dopo aver sicuramente ucciso in modo barbaro e di fronte a più persone (anche al figlio della vittima di soli sette anni), di non restare in carcere perché in cella avrebbe corso il rischio di morire. Ed è innegabile che nelle carceri si muoia. Lo dimostrano le centinaia di morti, più i suicidi spesso volontari, che ogni anno avvengono, anche fra le guardie carcerarie, fra il silenzio quasi generale dei media (se ne parla solo quando il Presidente della Repubblica ne parla). Ma ancor più muore chi in carcere vi entra senza una ragione solida: l'indagato incensurato che si proclama innocente ed entra in galera senza ci siano contro di lui vere prove (tanto che il processo in questi casi viene chiamato 'indiziario'). L'esperienza che lo attenderà inciderà in maniera drastica sulla sua psiche, che potrà resistere o subire un tracollo verticale. Se sarà forte manderà il cervello in 'stand by' ed aspetterà fiducioso il verdetto di un buon giudice, se sarà debole partirà accellerato e finirà dentro la galleria che i Pm gli hanno costruito attorno... perdendo la speranza di rivedere la luce e la voglia di vivere. In ogni caso, dovesse anche resistere ed uscirne da innocente, non sarà mai più la persona che i familiari e gli amici conoscevano. Il suo modo di intendere il rapporto con gli altri cambierà radicalmente e perderà la fiducia nella giustizia credendo di vivere in uno Stato 'straniero' incapace di tutelarlo.

Ma non c'è da stupirsi, in fondo la nostra giustizia rispecchia la maggioranza del popolo italiano... quella maggioranza che succhia la notizia senza accorgersi che il gusto lascia l'amaro in bocca...


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13 commenti:

  1. post molto importante . fra giorni il caso tortora tornera' alla ribalta per farci riflettere di come funziona a volte la giustizia . qua si discute di quella italiana .
    mi chiedo a volte ma .. quelli che rovinano le vite ,, che fanno morire le persone con leggerezza .. non vengono mai giudicati? perchè anche se dovessero essere giudicati se la caverebbero con un buongiorno o buonasera : daltronede sono persone rispettabili ..
    abbiamo appena letto in questo post di un caso di omicidio premeditato con testimoni .. ma è un omicida di ceto superiore., ai semplici contadini di un paesino del sud .. loro si che si meritano la gogna un tv e nei giornali ..
    è inutile contraddire una mia considerazione ,,
    ci sono indizi verificabili? anzi ci sono indizi che scagionano .. .

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  2. Caro Massimo da poco discutevo con L'esimio Prof Tummolo di come funziona la giustizia nei tribunali Italiani e le porcherie dei giudici ,con la complicità dei signori P.M.,e come se ti fossi seduto accanto a un pianoforte toccando i tasti giusti e facendoci sentire la giusta sinfonia di come funziona la giustizia in Italia.Se prima di dubbi non ne avevo ,ora le certezze si sono rafforzate di come tu possa vedere le cose e raccontarle nel modo più giusto.Grazie caro amico Massimo un abbraccio a te e ai tuoi cari.

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  3. Massimo ormai è acclarato che la giustizia italiota è il cancro e la rovina di questo paese. Se poi aggiungi che l'omicida era anche esponente dell' IDV il quadro è ancora più inquietante.

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  4. Concordo con tutti, e non serve dilungarmi, tanto già sapete la mia valutazione dell'amministrazione giudiziaria e della formazione universitaria dei giuristi (verificata di persona, non letta sui giornali). In una sola cosa non concordo: queste distorsioni di princìpi e di metodi non sono solo italiane, ma universali. Dell'Italia ce ne accorgiamo di più solo perché ci viviamo. Ma in realtà, le disfunzioni giudiziarie sono tipiche di ogni Paese, anche quelli apparentemente più avanzati. Ad esempio, la libertà su cauzione per uno stesso reato (roba americana) consente al ricco di uscire dalla galera, al povero lo obbliga a restarci. Non occorre arrivare ad Hammurabi e al Basso Medioevo, è una cosa dominante negli Stati del "common law" e del Bill of Rights.

    Il problema è nelle origini, nei fondamenti del Diritto che si qualifica come fondato sulla forza. Anche recentemente per radio ho sentito parlare di "monopolio della forza" come fondamento di uno Stato; eh, no: la forza è uno strumento talvolta necessario, ma assolutamente non sufficiente. E il fondamento dello Stato non è un presunto "monopolio della forza" (che non sussiste quasi mai), ma il consenso di una larga maggioranza che lo sostiene. E' questo ciò che consente, quando non basta la persuasione, l'uso della forza proporzionata alla violenza che si sta perpetrando contro la legge e contro il consenso maggioritario, altrimenti tale forza si dissolverebbe abbastanza rapidamente, come avviene con le rivoluzioni vittoriose.
    Ora è chiaro che, dove la forza sia l'elemento determinante o unico, chi è più forte vince, chi è più debole perde. Legge della giungla ? Sì, ma con notevole differenza: occorrono bolli, magistrati, cancellieri, poliziotti, avvocati, talvolta boia, spese legali, e avanti, mentre nella giungla tutto ciò non serve, si vivono le cose in modo più semplice e diretto.

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  5. Un altro punto da sottolineare è che, se si continua credere e sostenere che certi problemi "esistano solo in Italia", si crea l'alibi per non tentare neppure un miglioramento delle condizioni dell'Ordinamento Giudiziario. E' essenziale, invece, fare in modo che in tutto il mondo ci si renda conto che siano finiti i tempi nei quali un magistrato che abbia questioni con un normale cittadino, un magistrato che abbia commesso dei reati, sia nel proprio lavoro, sia in altre occasioni, non debba essere esaminato dai suoi colleghi, per il principio della "terzietà ed imparzialità" dei giudici Né sarebbe ammissibile che un cittadino, avendo problemi con un docente, con un farmacista o con un giornalista, debba essere giudicato dai colleghi della sua controparte. Appare dunque necessario ed urgente che si crei, possibilmente in forma elettiva, un Organo di indagine e di giudizio sui magistrati per ogni contrasto con altri cittadini o per veri e propri reati. E' necessario creare un Organo indipendente, e a durata limitata, di persone comunque esperte di Diritto, in cui il giudice possa essere veramente terzo ed imparziale anche rispetto al magistrato, in modo da non avere commistione tra giudizio disciplinare e giudizio civile, amministrativo e penale.

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  6. Errata Corrige; circa a metà. Dove è scritto: "ci si renda conto che sono finiti i tempi nei quali un magistrato... non debba essere giudicato...", va sostituita dalla frase, "ci si renda conto che sono finiti i tempi in cui un magistrato... debba essere giudicato dai suoi colleghi...". La mia abitudine agli incisi, talvolta mi tradisce.

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  7. avete saputo caso di lignano,chissà perchè me l'aspettavo.....ora lui dichiara la sua innocenza ed è certo che sua sorella abbia confessato ,perchè sotto minaccia....e quel che è peggio che pare in cuba siano state trattenuti alcuni giornalisti,uno di questo è ilaria cavo e quanto pare si debba mobilitare l'italia per liberarli,sinceramente mi dispiace per Ilaria cavo....speriamo bene....
    a parte questo ,ora non ho ben chiaro il caso.....a questo punto mi domando se sua sorella è stata arrestata solo perchè abbia confessato,probabilmente estorta,oppure avevano qualche prova in mano?......
    perchè se è stata arrestata solo per la confessione,allora la dice tutta!.....insomma dal male in peggio.....saluti
    ps se non erro mi pare di aver sentito del mozzicone di sigaretta,come prova,anche se fosse ,vuol dire tutto come niente,dipende se ci stava qualche traccia della vittima.....

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  8. carla se ha confessato è logico che l'abbiamo arrestata ..
    nei mozziconi di sigarette hanno trovato il D.N,A.
    il fratello si trova cuba .. se dice di essere innocente non lo estradano . xchè gli inqiurentu di cuba non hanno l prove sottomano ..
    sotto minaccia la ragazza ha confessato tutto? non averebbe confessato se fosse stata innocente , .

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  9. Vanin nella sua perizia dice che il giorno 18 il sole e' tramontato verosimilmente alle ore 17,00

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  10. La questione di Lignano è piuttosto complessa; oltre al DNA e alla confessione, risulterebbe che la donna, si è assunta ogni colpa difendendo il fratello dallì'omicido (ma è pur strano che una donna faccia la tagliatrice di gole, e l'uomo stia a guardare). Stranamente, come Guedé, ambedue i fratellni cubani se la sono svignata. Ovviamente lei, restando però in Italia, è stata individuata appunto dal DNA sulla sigaretta. Che un colpevole asserisca di essere innocente è abbastanza ovvio.

    Come al solito, aspettiamoci tutti gli sviluppi possibili.

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