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mercoledì 14 maggio 2014

Nell'Eden della nuova democrazia italiana si possono indossare t-shirt con su scritto a morte i terroni, i froci, i negri, i politici... ma si vedrà nudo chi si infilerà quella con la scritta Speziale Libero


Spesso mi chiedo se viviamo in un paese democratico in cui ognuno può liberamente esprimere la propria idea, anche se di nicchia e contraria al pensiero generale, o se stiamo assistendo alla nascita di una nuova dittatura che inserisce dictat nella mente altrui e grazie all'emotività sfrutta la maggioranza delle persone per imporre di tacere quando si parla o scrive di argomenti scomodi. Siamo ancora nel 2014 oppure no? Tiriamo una riga e cerchiamo di capirci. Dopo aver letto migliaia di pagine, inserite in atti ufficiali e verbali, personalmente sono convinto che in Italia troppi processi, al netto del dolore che lasciano, potrebbero catalogarsi sotto la scritta "prestidigitazione": i risarcimenti per ingiusta detenzione lo stanno a dimostrare. Alla stessa maniera si possono chiamare gli intrugli magici che ogni anno cambiano nome (pur restando tasse occulte), quelli che i nostri politici, tristi e ridicoli, ci ordinano di bere. Quindi sbagliano gli uni e sbagliano gli altri. Eppure fra le due categorie, politica e giustizia, pare vigere una enorme disparità di trattamento. Ad esempio: mentre tanti "comici nostrani" e tanti giornalisti, schierati su diverse sponde, sui politici spingono a più non posso, sempre ridicolizzandoli e sfottendoli, sul tema giustizia in pochi si avventurano. Accade perché i politici stanno perdendo potere e non riescono più a fermare sul nascere l'onda seguita dai media? O perché qualcuno, sapendoli senza polso, cerca di screditarli, trovando terreno fertile visto che tanti si screditano da soli, per occupare il loro posto? L'argomento è serio. Perché il giudice o il procuratore che sbagliano non vengono ridicolizzati in pubblico? Si ha timore di finire in croce?

Forse che la politica, quella dello schieramento opposto, al contrario della magistratura non è seria e per questo si può bistrattare? In poche parole, se i miliardi di euro pagati in tasse vengono usati impropriamente dalle caste partitiche, ed è un peccato comune a tutti i partiti, si può puntare il dito e parlare di onorevoli puttanieri che devono dimettersi e vergognarsi... mentre se i miliardi di euro vengono sperperati a causa di magistrati e giudici incapaci, nessuno se ne interessa ed è meglio far silenzio perché le indagini e le sentenze derivano, questo dice la nuova legge, dalla discrezionalità del giudice e dal suo legittimo convincimento. E con queste ultime parole, cristallizzate da tempo dall'italica informazione, si concede l'impunità anche a chi per la giustizia lavora in maniera maldestra. Siamo quindi di fronte a una disparità che vuole il politico inetto e ridicolo perdere consenso, i voti e la poltrona parlamentare, mentre i giudici e i procuratori maldestri, che costano allo stato milioni in risarcimenti per ingiuste detenzioni (cui vanno aggiunti i milioni su milioni spesi per tenere in carcere chi non ci dovrebbe stare e la piaga del sovraffollamento), non si possono toccare e a meno di comportamenti abominevoli (ma devono essere davvero abominevoli), nell'attesa di percepire una pensione d'oro incassano centomila e più euro all'anno.

Questo paradosso, che solo all'apparenza pare privo di logica, fa intendere che il potere della magistratura in questi anni non è rimasto entro i suoi confini (in teoria sarebbe il secondo potere dello stato), ma li ha oltrepassati. E il fatto che i giornalisti mettano la testa sotto la sabbia, incapaci di criticare in maniera idonea chi per la giustizia opera in modo incongruo, può solo significare che l'istituzione giudiziaria ha contagiato e portato dalla sua parte una buona fetta del settore informazione. D'altronde dopo il potere politico (il primo di uno stato), che procuratori e giudici hanno iniziato ad occupare da decenni, dopo il potere esecutivo, anche questo dagli anni '90 diretto dal giudice per le indagini preliminari (Gip), per poter entrare nella mente dell'opinione pubblica, e influenzarla, si doveva per forza occupare anche il quarto e il quinto potere (i mass media e la televisione). Questo allargamento spiega perché, invece di lamentarsi per certe decisioni, la politica, la stampa e la tivù, ossequino il potere costituito infervorandosi a comando anche quando un semplice cittadino protesta pubblicamente le proprie idee. E ancora mi chiedo se vivo in una democrazia che mi permette di dire e scrivere ciò che penso, naturalmente senza offendere nessuno. La domanda è lecita, visto che i giudici hanno obbligato Berlusconi a non criticare la magistratura, pena la revoca dei benefici concessi, e che gli ultràs devono star fuori da uno stadio se indossano una stupida maglietta su cui è scritto: Speziale libero. Davvero siamo arrivati a questo punto? E la famosa libertà di pensiero e di espressione, pilastro della democrazia, che fine ha fatto? Prima della finale di Coppa Italia si è consumato un crimine comune, da inquadrare come tentato omicidio, che ci ha portato oltre la soglia del ridicolo solo perché una tivù ha inquadrato, più volte e in primo piano, la maglietta incriminata e chi la indossava. Se il regista si fosse limitato a una inquadratura larga, nessuno avrebbe polemizzato sulla scritta.

Le reti televisive durante un incontro di calcio hanno regole da rispettare e sono chiare: chi riprende la partita non può inquadrare quanto esposto sugli spalti se lede la dignità e l'onore di qualcuno. Vista l'inquadratura della maglietta, quindi, chi ha ripreso non si è sentito offeso e non ha ravvisato illeciti in quella scritta, che in fondo non riportava né epitaffi lesivi né minacce. Mica vi era scritto: se non liberate Speziale vi facciamo saltare per aria. Non c'erano minacce. Quindi Speziale libero stava semplicemente a significare che non tutti credono alla colpevolezza di Antonio Speziale. E' un delitto manifestare una propria opinione? Pare di sì, visto il clamore suscitato e le tante giornate dedicate a Genny 'a carogna e ai tifosi del Napoli. Ma se manifestare una propria opinione è un delitto, visto che chi mostra la scritta becca il "daspo" (la parola è un acronimo e significa: Divieto di Accedere a manifestazioni SPOrtive), bisogna allargare il campo e creare un nuovo acronimo così da affibbiare sanzioni anche agli avvocati e ai giudici. Il nome giusto potrebbe essere "diporia" (Divieto di Portare Ricostruzioni Alternative) e andrebbe subito messo in pratica, perché lo stesso reato di Gennaro de Tommaso lo hanno commesso anche l'avvocato Giuseppe Lipera e il giudice di Cassazione che il 6 febbraio scorso ha dichiarato revisionabile il processo ad Antonio Speziale e chiesto alla corte d'appello di Messina di riesaminare il procedimento giudiziario. Questo perché la morte dell'ispettore Raciti, che prima di essere considerato un militare è un uomo (la sua memoria lo rende vivo) che merita rispetto e onore, come lo merita la sua famiglia, presenta numerosi lati oscuri. Ma proprio perché lui e la sua famiglia meritano rispetto c'è da chiedersi se davvero la giustizia abbia trionfato, dato che la sentenza non è scaturita da prove certe e in assenza di queste si è basata su una convinzione giudiziaria non avallata neppure dalla perizia del Ris.

Secondo il reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri, infatti, il sottolavello che avrebbe lanciato il diciassettenne Speziale, che ha colpito Raciti al torace, non poteva cagionare danni irreversibili. E secondo la difesa, che ha in mano perizie in cui si afferma che solo negli incidenti stradali si riscontrano lesioni interne come quelle presenti nel corpo dell'ispettore, a colpire Raciti sarebbe stato un blindato della Polizia in retromarcia. Fuoco amico, quindi, dovuto alla concitazione degli eventi. Non è raro che capiti a quei poliziotti e carabinieri costretti, loro malgrado, a sedare l'ira di delinquenti che utilizzando varie scuse, anche quella sportiva, cercano il corpo a corpo di massa e la distruzione di ciò che incontrano sulla loro strada. In ogni caso, che Speziale sia colpevole o innocente la vergogna non alberga nelle magliette degli ultràs, pregiudicati o no, ma in chi nonostante i decenni trascorsi non è riuscito trovare un valido rimedio per trasformare in pazzia positiva la follia negativa di alcuni gruppi organizzati. La vergogna dovrebbe toccare a chi se ne frega, a chi se ne lava le mani e lascia che siano le dirigenze calcistiche a occuparsi in proprio dei tifosi, a chi non ha mai fatto nulla per istillare un fluido davvero democratico in quelle persone che seguono la loro squadra per pura passione. Loro per prime potrebbero isolare e denunciare le frange violente, quelle che pongono condizioni insostenibili alle società sportive e che esisteranno fin quando la Federcalcio lascerà il manico del coltello nelle mani dei tifosi violenti. I dirigenti di una squadra professionista hanno il dovere di sostenere chi incita i propri giocatori, di contribuire economicamente ai costi delle coreografie e delle trasferte, ma hanno anche il diritto di farlo in autonomia, di rifiutare i ricatti e porre delle condizioni in cambio dell'aiuto economico: ad esempio, possono chiedere agli ultràs di non provocare disordini. Però la Federcalcio questo diritto glielo nega, visto che da troppi anni ai tifosi basta urlare insulti razziali, gettare fumogeni o una banana in campo per creare un danno da 40.000 euro alla propria società (l'ultima sanzione comminata all'Atalanta).

Sono queste sanzioni, che sommate formerebbero cifre da capogiro (le partite in serie A sono 38), a convincere alla resa i presidenti che sono costretti, per spendere meno, a subire il potere degli ultras. Chi decide le sanzioni? Guarda caso un giudice sportivo. E badate bene, non è un termine scelto a caso visto che tutti i giudici sportivi prima di accettare i denari della federazione erano magistrati. Gianpaolo Tosel, chi commina sanzioni alle squadre di serie A, è stato in magistratura per 35 anni (fino al 2008) ricoprendo, fra gli altri, il ruolo di pubblico ministero, sostituto procuratore e procuratore capo. Che ci sia qualcosa che non va è chiaro. Infatti tutti si lamentano (i presidenti delle squadre) ma nessuno ai piani alti fa nulla per migliorare la situazione, preferendo lasciare a un giudice il compito di usare il pugno chiuso per multare anche a causa di una scritta che nulla ha di offensivo, come quella vista all'olimpico di Roma. Una scritta che va presa per quanto è: solo una delle tante proteste pacifiche che da anni portano avanti gli ultras di tutte le squadre, da accomunare a quella sulla tessera del tifoso, sulle trasferte libere e sulle partite da giocare non il sabato ma la domenica (l'ultima riguarda le squadre di serie B). E multare o infliggere il daspo a caso non significa fare giustizia, perché fuori dagli stadi si son viste scritte ben peggiori che hanno lasciato strascichi molto minori. Ad esempio: perché la magistratura non fa nulla (e i media non alzano polveroni) quando una maglietta con su scritto: "meglio morto che pentito" viene esposta in un negozio del sud Italia? Quando una signora distinta, fotografata accanto al politico di sinistra Diliberto, mette in bella vista la scritta: "la Fornero al cimitero"? Perché si permette ai leghisti di indossare le magliette padane, spesso offensive, e a tanti altri di indossarne di antipadane, altrettanto offensive? Perché il presidente di una società di calcio deve pagare multe esagerate a causa dei propri tifosi, mentre nulla si fa pagare al sindaco di una città quando i suoi concittadini imbrattano muri con offese e minacce di morte?

Il baratro è vicino e se non si inizia subito a prevenire non ci sarà cura che tenga. Serve il coraggio di isolare, di non mostrare, per non invogliare all'emulazione, e di non acculturare i cittadini alla volgarità mediatica. Perché quando non sono le scritte, ad essere volgari sono i tanti personaggi pubblici che per tornaconto, o perché non si sopportano, sugli schermi e sui quotidiani si offendono in maniera pesante. Il Bossi nordista ha tracciato il solco col suo "celodurismo padano", seguito a ruota da tanti opinionisti con e senza laurea. Uno dei primi è stato Vittorio Sgarbi che ora, per non essere nuovamente querelato, non dà più del finocchio o del coglione, ma a chi lo contrasta ripete all'infinito la parola "capra". Stiamo vivendo nell'Italia del vaffa day - positivo quando svolge un ruolo di denuncia, ma negativo quando incita all'offesa continua e prolungata - dei politici sboccati cui non difetta lo sproloquio neppure in Parlamento, dei patteggiamenti per diffamazione che non alzano polveroni e si scordano (chi ricorda che Beppe Grillo patteggiò una condanna per aver dato della "vecchia puttana" al premio nobel Rita Levi Montalcini?). Visto anche questo, cosa si pretende dal popolo che segue la propria "corrente" e metabolizzando il pensiero altrui impara a minacciare, a offendere o ad alzare le mani contro chi la pensa diversamente? La politica ha il compito di ideare leggi giuste, il potere esecutivo di farle rispettare, la magistratura di metterle in pratica, senza lasciare a un giudice (che come tutti gli uomini ha proprie idee politiche e pregiudizi) il potere della discrezionalità, e i mass media devono smetterla di seguire le correnti e di usare l'emotività dell'opinione pubblica per incassare più denari. L'automobile funziona solo se tutti gli ingranaggi sono sani e al posto giusto.

Se si vuole che i nostri figli vivano in democrazia è questa la strada da seguire, perché i cittadini democratici si trovano solo nei Paesi che si dimostrano democratici.

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1 commento:

  1. post molto interessante in linea con gli ultimi fatti ..

    buongiorno a tutti .
    anche un politico di primo piano come il presidente del consiglio , l'ho sentito dire che bisogna avere piena fiducia nella magistratura., come affermare che i giudici sono infallibili: molte persone la pensano cosi' .
    sono d'accordo con l'autore del post sui giornalisti di parte.. perchè li abbiamo quasi sempre sotto gli occhi da quando abbiamo cominciato a commentare i casi di cronaca nera . eppure non sono stupidi., avranno studiato per fare il giornalismo ?anche un profano si accorge quando scrivono o dicono falsita'e sono di parte. ormai alcuni li conosciamo bene..
    saluti .

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