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sabato 17 maggio 2014

La generazione del XXI° secolo - esseri con poche idee che vivono fra un incerto futuro e la speranza che dal cielo si materializzi un miracolo...




Di Gilberto Migliorini

Da Machiavelli (il Principe) al Fascismo (il duce), fino all’Italia contemporanea (soprattutto quella dell’ultimo ventennio), esiste una linea di continuità riguardo ai caratteri del capo di governo. Si tratta di un personaggio che suscita consenso mediante non tanto il gesto plateale ed esibizionista (che pure ha una sua certa importanza e un suo status pernicioso), quanto attraverso il carattere indeterminato e polimorfo del suoi atteggiamenti che ne fanno un uomo per tutte le stagioni, un simbolo vieppiù indeterminato e di multiforme espressione (contraddittorio e indecidibile) sul quale la gente può proiettare liberamente fantasie e idiosincrasie. Insomma il capo è l’oggetto del riconoscimento di una propria indole o di una propria idea, una proiezione fantasmatica, l’alter ego nel quale assolvere un proposito di identificazione proiettiva ad assetto variabile, un contenitore da riempire di quello che ha di più caro, l’assenza di un sistema di valori.

Non facciamoci ingannare dalla devozione religiosa, lì in genere si tratta semplicemente di un galateo, una precettistica da onorare per poter accedere a un plus e a un benefit, la vita eterna come contropartita al rispetto formale delle regole (con l’assoluzione nel caso che il credente sia caduto in tentazione). Tale carattere di indeterminatezza - anche quando il personaggio può risultare aggressivo e perfino sgradevole agli occhi di un elettorato più o meno moderato e conservatore - fa passare in secondo piano perfino certi lati spigolosi, considera con ironica accondiscendenza anche gli aspetti oggettivamente sgradevoli. Piace il personaggio che politicamente non risulti troppo impegnativo sul piano della coerenza e della  integrità, attributi troppo impegnativi per un’attitudine al compromesso e al disinvolto opportunismo. L’uomo di governo tutto d’un pezzo, onesto, integerrimo e… sincero fino al dire pane al pane… provoca una avversione a pelle per quella sua mancanza di souplesse, flessibilità così cara a chi ama una certa latitudine interpretativa riguardo ai diritti e soprattutto ai doveri. 

Si preferisce la locuzione ipocrita e perbenista, quel parlare per tropi e traslati, piuttosto che quel dire franco e senza giri di parole. Si invoca la dirittura morale, ma giusto per indicare quel relativismo in ragione dell’occasionalismo, quel parafrasare secondo l’interesse del momento. E poi… non c’è forse il confessionale ad assolvere tutti dal peccato? E se non è un sacramento si tratta pur sempre di quel fine che giustifica i mezzi, e con quello si assolve perfino il criminale incallito. L’ideologia, spesso spacciata per idealità, giustifica altrettanto bene del credo religioso, talvolta perfino meglio. Se poi la fede (religiosa o politica) non bastano a giustificare la trasgressione e il compromesso, c’è pur sempre la solidarietà del clan, il familismo, il cerchio massonico… il supremo interesse della casta.

La stessa distinzione destra sinistra risulta ingannevole se si ritiene di voler indicare due diverse politiche in ordine a un progetto che si delinei a chiare lettere. Quale progetto? Per il momento diciamo solo un progetto di ingegneria politica, per usare una locuzione vaga ma allusiva quanto basta per indicare un ambito indeterminato come può essere quello dei rapporti che mettono capo a un’organizzazione socio-economica, che producono e distribuiscono ricchezza (nome quanto mai evocativo e… decettivo). Si tratta di un progetto trasversale, di un programma per il quale i personaggi (economisti per lo più, ma non solo) sono disseminati trasversalmente in tutte le aree politiche con un comune obiettivo, per quanto non dichiarato, che trapela sempre più chiaramente (per chi si ingegni a vedere) in tutta una serie di prese di posizione e di provvedimenti. Pensare a un programma sotto forma di progetto istituzionale (a livello nazionale e a livello globale) risulta però un po’ ingenuo e riduttivo. Se è vero che esiste una sorta di élite (non la chiamerò in altro modo per non dar luogo a dietrologie) che ha in animo un piano, è anche vero che il progetto non ha e non può avere un respiro lungo e duraturo. 

C’è chi vede un gruppo con un progetto di ingegneria politica, un programma di controllo e di manipolazione, vuoi a livello locale e vuoi a livello planetario. Troppa grazia… Politici e scienziati che abbiano un progetto di controllo globale sono solo nella fantasia di chi crede che il sistema economico e politico mondiale si muova secondo una logica che non sia quella degli automatismi economico-produttivi, un sistema di relazioni schematiche e iterative. Programmi di intrattenimento, divulgativi, evasivi… econometrici… che mostrano tutta la complessità dei metodi quantitativi (applicati alle varie branche della scienza sperimentale) danno l’idea di un mondo sotto attento controllo, monitorato e sorvegliato con i più sofisticati strumenti tecnologici, un mondo dove gli apparati scientifici sono in grado di compiere previsioni e anticipare, mediante formule matematiche e sistemi vettoriali i processi di sviluppo, in prospettiva. Gli oppositori si ingegnano a disquisire di complotto globalmente definito, un programma a scadenza. L’utente si fa l’idea di un sistema mondo sempre più complanare e integrato… 

La realtà? Al di là delle suggestioni mediatiche è che mai come oggi nessuno controlla niente, il sistema mondo (economico-produttivo e finanziario) è in preda a ciechi automatismi di cui gli scienziati sono solo ingranaggi inconsapevoli che controllano il loro orticello (un orticello che è tale anche quando viene enfaticamente riferito a qualche programma olistico, a un progetto dalle infinite variabili, complesso come  tutto lo scibile e assegnato alla potenza di calcolo di un super computer, meglio se quantistico…). L’uomo del XXI secolo più che sotto l’egida di una razionalità computazionale sembra più che altro preda di meccanismi istintuali che non sa più controllare. La stessa logica matematica (i metodi quantitativi) è al servizio di un’astuzia degli istinti distruttivi (che il Freud del Disagio della Civiltà avesse ragione?). Il sistema complessivo socio-economico sembra una grande macchina dove anche chi crede di esserne interprete (e addirittura critico) ne è in realtà un ingranaggio dedito al suo perfetto funzionamento (inconsapevolmente orientato alla distruzione). 

Si tratta di personaggi che per quanto dispongano di un immenso potere, non hanno e non possono avere altro progetto se non la forma miope e ottusa di quegli automatismi economici attraverso i quali si sta trasformando il pianeta in una macchina che si muove in modo cieco e irrazionale fino all’esito finale del collasso che già si intravede e che nonostante gli avvertimenti delle Cassandre (chiamate così nella speranza che siano soltanto indovini perdenti) sembra quasi inevitabile.

Animali torturati nei laboratori in nome del progresso, persone vive espiantate dei loro organi in nome di un paradigma scientifico. La scienza, sistema di convenzioni, il nietzschiano sistema coerente di errori, trasformata in ontologia. L’uomo ridotto a un sistema computazionale, a un corpo assemblato, a un sistema cellulare, a un codice genetico senz’anima e senza essenza se non quella delle sinapsi e dei neuroni... la macchina biologica da decodificare come elaboratore computazionale. L’apprendista stregone che crede di aver sciolto l’enigma del mondo e ne costruisce il surrogato…

Per comprendere il mondo occorre ben altro di qualche rudimento di economia, quell’economia della quale i personaggi in questione sembrano conoscere tutto a menadito. Bravi quando si tratta di vedere a un palmo di naso, perfettamente in sintonia se occorre illustrare le bisogna per la spesa al supermercato per il pranzo o la cena. L’Italia è in qualche modo emblematica, un proiezione davvero rappresentativa (nel bene e nel male) di quanto accade a livello dell’orbe terracqueo. Niente di nuovo sul fronte occidentale… La solita rassicurante operina con i soliti attori a recitare il copione obsoleto come si trattasse di un nuovo progetto, e invece è lo stesso da tempo immemorabile… Un respiro sempre più corto, un’etica della situazione che più parla del futuro e più rappresenta la miopia di quel che resta del giorno: corruzione, malversazione, cattivo governo... un paese sempre più malridotto. Una classe politica che si bea in uno sguardo ottuso, che si pasce nella lungimirante prospettiva del post meridiem, che disquisisce appassionatamente di un futuro opaco ed incerto: la proiezione di un presente incancrenito. 

Ci si può perfino illudere che al copione sia stato aggiunta qualche variante creativa, qualche nuovo elemento a rendere appassionante e imprevedibile l’intreccio. Perfino le controfigure sono le stesse, cambia la regia, ma soltanto perché ormai gli automatismi della sceneggiatura sono stati assimilati a dovere.


Dove sta andando il paese? E dove stanno volgendo le sorti del pianeta? Ai pessimisti dirò che il Bel Paese non è poi così difforme se rapportato al destino complessivo, forse, purtroppo, più autenticamente rappresentativo del tutto. Ma agli ottimisti bisogna far sapere che il destino globale, salvo qualche escamotage dell’ultima ora per procrastinare l’agonia, è davvero in dirittura d’arrivo. La grande macchina governata da un’intelligenza digitale al servizio di istinti autodistruttivi sta procedendo con piglio solerte e con ottusa determinazione. Qualcuno azzarda scenari catastrofici attorno alla metà di questo secolo: i cambiamenti climatici come nemesi di uno sviluppo (lo chiamano così) fuori controllo. La grande macchina, il computer globale che abbiamo costruito con un software governato dai più brutali istinti egoistici, ha trasformato l’ambiente in una gigantesca discarica, gli animali in cose e gli umani in automi. Il sistema può reggere solo fin quando la rete si rompe. La rete è davvero l’immagine di quelle relazioni a supporto, non solo un sistema di nodi e di link, ma quel proverbiale intreccio di interessi occulti, quella tela di ragno sospesa sul vuoto di una macchina produttiva senza ratio… 

Si sentono sinistri scricchiolii, ma nessuno ancora ci fa troppo caso. Che i supporti non reggano? Si spera che all’ultimo istante salterà fuori magari un coniglio dal cappello, o chissà… l’uomo della provvidenza, o un miracolo dal cielo. L’Italia è forse l’emblema, nel bene e nel male, di una follia planetaria, proiezione rappresentativa del nostro futuro globale. Qualcuno spera nella grande invenzione, nel salto tecnologico, nell’impresa scientifica come soluzione ai mali dell’umanità. Si tratta di fata morgana, della corposa illusione in un’epoca di invenzioni strabilianti. Se c’è ancora una speranza (sempre l’ultima a morire) quella ci è offerta dalle idee e non già dall’innovazione tecnologica e neppure da una scienza marcia. Le idee sono quelle che ci consentono di guardare al mondo con occhi nuovi, di vedere quello che non avevamo mai notato, di riguardare le stesse cose da una diversa prospettiva. E chissà che proprio dal Bel Paese patria del Rinascimento, luogo mai come oggi caduto in basso, non scaturisca una nuova idea, un nuovo sguardo, circa il nostro futuro. 

Forse c’è una soluzione molto più semplice di quanto la complessità del sistema mondo lasci intuire. Gli umanisti-rinascimentali guardavano alla saggezza degli antichi rappresentandosi come nani sulle spalle dei giganti (anche se in realtà la metafora è probabilmente del medioevale Bernardo di Chartres). Forse abbiamo davvero bisogno di tornare ai principi (secondo l’immagine rinascimentale che significava il ritorno ai classici del pensiero greco e latino), ma nel senso di un ritorno all’esortazione delfica Conosci te stesso, da Socrate a Platone a Porfirio… fino all’Abelardo dello Scito te Ipsum e a Pico della Mirandola. Forse la verità del mondo non è in quell’universo sconfinato che esploriamo fuori di noi (solo un’illusione?) ma va cercata proprio dentro di noi (l’agostiniano in interiore homine habitat veritas), non in quel cervello materiale del quale si proclama il secolo… ma in quell’anima immateriale della quale, secondo Eraclito, non potremo mai trovare i confini.

Clicca qui per leggere la sceneggiatura del "corto" - Capodanno- di Gilberto Migliorini pubblicata sul sito Hommelete - Ricerca Produzione Film (volume 05)

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