Articolo di Gilberto Migliorini
Alla fine il topolino
partorisce la montagna. Forse l’opera strapperà il primato À la recherche du temps perdu in sette volumi di Marcel Proust. Non
tanto per la lunghezza quanto per il tema della rievocazione come oeuvre cathédrale, con quella memoria
spontanea e creativa. Come era del tutto logico prevedere, tutto un sistema di sillogismi
(teoremi) può risultare una corposa esercitazione di verità apodittiche e dimostrazioni
congetturali. Quando ci si avventura sulla strada delle inferenze induttive,
quando si dimenticano i fatti e si introducono interpretazioni senza metterle
al vaglio di altri fatti, quando non si tiene conto che i testimoni sono
suggestionabili dal sistema mediatico e che più ci si allontana nel tempo da un
evento tanto più subentrano fisiologicamente
mille cose a inquinare e deformare la memoria… si finisce per dar credito alle
fantasie, alle illazioni e alle deduzioni senza base empirica, scambiando per
prove quelli che sono solo indizi lacunosi e inconsistenti, ricostruzioni di
fantasia.
Ne nasce un mastodontico zibaldone da leggere come una prolissa inventio di accadimenti, magari anche
avvincente, ma priva di quella che si suole chiamare verosimiglianza. Il caso
ricorda il feuilleton, quel romanzo
d’appendice pubblicato a episodi e rivolto a un pubblico di massa, di bocca
buona. I detrattori direbbero di un sottogenere letterario che anticipa certi
moderni rotocalchi o le novelle di
riviste prevalentemente femminili. Non a caso una delle opere più famose è i Misteri di Parigi (Les Mystères
de Paris), di Eugène Sue, romanzo pubblicato a puntate, fra il 1842 e il 1843
su Le Journal des Débats. Non è da dimenticare che dai Misteri di Parigi trarrà ispirazione Victor Hugo con la prima
versione de I miserabili
(intitolata Les mystères) e Alexandre Dumas (padre), con
il suo Edmond Dantès. Il romanzo
d'appendice inaugura quella letteratura di massa che ai
giorni nostri è andata annacquandosi nel genere dei rotocalchi e soprattutto nei
format televisivi nazional-popolari. L’attuale romanzo d’appendice televisivo
ha perso qualsiasi velleità letteraria per diventare soltanto un sistema di
gossip salottiero con divagazioni psico-sociologiche da accatto, connotate da
una sorta di narcisismo retorico da libro
cuore (Les Mystères de Paris conservava
invece ispirazione e perfino denuncia dei mali sociali, contro la società del
suo tempo, contro un sistema giudiziario ed economico incapace di punire i veri
colpevoli, anticipando le più complesse e approfondite analisi del naturalismo dei
fratelli Goncourt, di Zola e del verismo italiano).
Tutta la storia relativa al
caso di Avetrana è ricca di misteri, cominciando dalle strane confessioni di
Michele, ma nello stesso tempo risulta un caso senza capo né coda, un insieme
di fotogrammi spaiati e senza logica. Nulla che abbia la parvenza di un mosaico
dove le tessere si embricano con naturale verosimiglianza, sembra piuttosto un
collage dove tutto ha l’apparenza di un quadro surreale, quasi un sogno con un
incubo al risveglio. Evidentemente c’è un’altra verità che sfugge alla
comprensione. Solo un’indagine che riparta da zero può riuscire a mettere
insieme le tessere del puzzle senza pregiudizi e senza teoremi, con esiti che
potrebbero risultare del tutto imprevedibili, forse perfino ribaltando ruoli e
status dei personaggi. Di certo e assodato, c’è solo il corpo della povera
ragazza in fondo al pozzo e quelle strane narrazioni di Michele, con un
carattere vagamente onirico, e quei sogni
che fanno da contraltare a una vicenda avvolta in una sorta di fantasia
spettrale.
Tanti operatori del settore criminologico
(omicidi irrisolti) che affollano gli studi televisivi dimostrano notevoli
capacità dialettiche quando discettano di cold
case. Un florilegio di analisi e di affermazioni fondate su fantasticherie,
dicerie, astruserie, pressapochezze…
i classici ragionamenti per assurdo, sillogismi formulati senza il ben che
minimo riscontro, tutto sulle spalle di poveri
cristi messi alla berlina e senza che nessun settore del parlamento
italiano abbia niente da ridire, rappresentanti politici solitamente così
pronti ad attivarsi quando si invocano i diritti inalienabili della difesa per
uno di loro fino al completamento di tutto l’iter giudiziario. Due imputate sono
tenute in galera con motivazioni a dir poco sorprendenti in attesa dei
successivi gradi di giudizio. Ovvio che due donne di estrazione contadina - che tutto un sistema massmediatico ha provveduto a rappresentare come
diaboliche e perverse assassine - sono in grado con la loro rete di connivenze
e di conoscenze non solo di inquinare le prove servendosi del loro mostruoso
sistema di supporto e di protezione, ma, fidando su relazioni internazionali
distribuite in vari paesi, possono proditoriamente sottrarsi con la fuga in
qualche paradiso fiscale dove hanno accumulato cospicue risorse finanziarie
grazie alla loro attività come bracciante agricola e estetista a tempo perso.
Un sistema di linciaggio morale
nei confronti di altri presunti colpevoli di omicidio (fino a sentenza
definitiva), o semplicemente di persone entrate per caso in qualche cold case, va avanti ormai da anni
(salvo qualche meritoria eccezione di opinionisti garantisti) in trasmissioni televisive
che fanno illazioni e ricavano teoremi non già attraverso inchieste basate su
dei fatti - mediante una meticolosa e obiettiva ricerca di riscontri, magari
sul modello della controinchiesta tesa a sottolineare i dubbi e le incongruenze
a favore del più debole o del meno ‘simpatico e fotogenico’ - ma su delle
interpretazioni capziose con l’unico fine
di creare audience indipendentemente da criteri di verità, obiettività e
trasparenza. A questo si aggiungono sedicenti esperti che forniscono
interpretazioni scientifiche senza
indicare alcun criterio epistemologico, ma solo sulla base di considerazioni
empiriche o semplicemente di impressioni soggettive. Semplificazioni che
farebbero inorridire qualunque investigatore serio abituato a esercitare il
dubbio e a relativizzare le conclusioni in ragione della complessità della
realtà investigativa (con tutte le sue implicazioni giuridiche e metodologiche).
Si tratta dei limiti di qualsiasi stereotipo di indagine applicato a situazioni
che non sono mai quelle di laboratorio in cui si possono individuare con
assoluta certezza le variabili (dipendenti e indipendenti) in una situazione
controllata.
Programmi con opinionisti che parlano spesso senza cognizione di
causa, senza veri strumenti interpretativi, senza esperienza sul campo… ma
influenzando e orientando un’opinione pubblica educata alla superficialità. Un
processo di retroazione che finisce per determinare una sorta di profezia che
si autoadempie attraverso l’individuazione di colpevoli sulla base
esclusivamente di una influenza mediatica che nei casi più estremi diventa
psicosi collettiva e ricerca di un capro espiatorio. Tutto questo avviene soprattutto
in periodi di crisi, quando le difficoltà socio-economiche delle famiglie e la
ricerca di compensazioni alle frustrazioni e all’angoscia del futuro
determinano situazioni di stress e il bisogno di scaricare tensioni e
difficoltà emozionali attraverso identificazioni proiettive e protagonismi per
interposta persona. Da anni si effettua una sorta di teatro dell’assurdo con
giudizi sommari attraverso format ammantati di approfondimento informativo con
un circo di opinionisti dall’aria da Sherlock Holmes, armati vuoi di un armamentario
da detective improvvisato e vuoi con teorie vagamente neo-lombrosiane, frenologiche, o vuoi semplicemente con il supporto dell’autorevolezza
presenzialista di volti da sempre incorniciati nel rettangolo del televisore.
La locuzione in dubbio pro reo assume un valore puramente
teorico se non entra a far parte dei processi di inferenza logica già nella fase
preliminare delle indagini, come forma mentis, in caso contrario, una volta
presa una strada è come viaggiare sui binari della ferrovia andando in capo al
mondo (un mondo per lo più inventato attraverso teoremi fantasiosi e prove(tte)
abborracciate con molta fantasia e zero riscontri. Il dubbio investigativo dovrebbe
costituire l’abito mentale di qualsiasi ricerca in qualsiasi ambito. Quel
dubbio metodico che consente di tornare continuamente sui propri passi per
verificare che qualche perverso particolare possa aver messo l’indagine su una
strada sbagliata. Con l’avvento delle prove scientifiche, armi notoriamente a
doppio taglio se usate come verifica, e non come falsificatori potenziali, si
possono davvero fare danni notevoli. Alcuni sanno lavorare con metodo e consapevolezza,
ma altri scambiano un indizio per un
passepartout che in quattro e quattr’otto risolve un caso miracolosamente. Siamo
tutti in pericolo di errore giudiziario, e senza voler fare di ogni erba un
fascio, perché il lavoro dell’inquirente e del giudice è duro, difficile e
oneroso (e in qualche caso molto pericoloso quando si ha a che fare con la
delinquenza organizzata come la storia del nostro paese dimostra con veri eroi
che hanno pagato con la vita l’abnegazione e il servizio alla collettività). Occorre
però dire che spesso si ha l’impressione che la categoria si chiuda a riccio in
una autodifesa, a prescindere, quando qualcuno dei suoi rappresentanti non si
dimostra all’altezza...
Il caso di Michele Misseri è
poi emblematico. Si tratta di un contadino che in più di un’occasione ha
dimostrato di trovarsi in un grave stato confusionale, che ha accumulato una
serie di confessioni (narrazioni) diverse, contraddittorie e inattendibili, un
teste che porta indizi senza prove, che dichiara cose senza riscontri (nessun
elemento che attesti che nella casa di via Deledda sia avvenuto un delitto,
nessun elemento che dimostri che la sua auto abbia trasportato un cadavere, nessun
elemento che provi che lui abbia infilato il cadavere nel pozzo, nessuna prova
che la povera Sarah abbia raggiunto la casa di via Deledda. L’uomo, in palese
stato di sofferenza psichica, non viene sottoposto a perizia psichiatrica per
capire qualcosa di più della sua personalità, se per caso non sia stato invece
semplice testimone di qualcosa che lo ha sconvolto emotivamente.
Tornando ai mass media e alla
loro utilizzazione, occorre dire che l’influenza sull’opinione pubblica è tale
da determinarne l’orientamento e da influenzarne l’interesse puntando sulla
spettacolarizzazione e facendo leva sulla curiosità morbosa e sul giudizio di
pancia, abituando il target a dare valutazioni basate sull’emotività e sul
disimpegno. Tale atteggiamento è tanto più diseducativo quanto più trasforma
l’audience in un modello di elettore sempre meno informato e che offre risposte
pavloviane. Non a caso i cold case, in quanto casi irrisolti e
problematici, rappresentano un test di influenza e un banco di prova su un
target sprovvisto di autonomi e adeguati strumenti interpretativi, sempre più
influenzabile attraverso l’uso di format
che ne orientano le scelte e le modalità di reazione, con input emozionali
programmati secondo il vecchio e inossidabile modello SR. Il caso in parola
risulta emblematico, dal punto di vista mediatico, della facilità con la quale
l’opinione pubblica può essere influenzata utilizzando una comunicazione basata
su formule retoriche elementari e ripetitive e senza mai mettere in dubbio i contenuti
espressi dall’autorevolezza del mezzo televisivo…
Clicca qui per leggere la sceneggiatura del "corto" - Capodanno- di Gilberto Migliorini pubblicata sul sito Hommelete - Ricerca Produzione Film (volume 05)
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