Io sono italiano, mio padre era italiano, mio nonno era italiano ed il mio bisnonno era uno dei tanti diventato italiano nel 1861. Si chiamava Edoardo ed in quell'anno era un bimbo di una decina d'anni. Nonostante questo quando nel 1885 nacque l'ultimo dei suoi quattro figli, mio nonno Paolo, il più atteso perché l'unico maschio dopo tre femminucce, gli trasmise quel sentimento nazional patriotico che l'avrebbe accompagnato per il resto della sua vita. Finalmente avevano una Patria, una vera Patria che avrebbe impedito al Napoleone di turno di saccheggiare le loro dispense e di portarsi via i loro animali. I miei antenati erano contadini, persone semplici che ubbidivano ai potenti senza avere parola in merito, neppure su ciò che possedevano. La campagna romagnola a quei tempi era in parte boschiva, i terreni agricoli venivano lavorati con la forza delle braccia e ciò che producevano bastava a malapena per sfamare le numerose famiglie rurali che abitavano nelle grandi case coloniche. I raccolti infatti andavano per lo più al padrone delle terre, quasi tutte vaticane, che erano amministrate da filo ecclesiasti di poca fede religiosa e di molta fame economica. Ma questo non impediva a quella umile gente di divertirsi con balli e feste settimanali organizzate da chi era riuscito ad acquistare un grammofono usato e qualche disco a 78 giri.
Ballavano scalzi ovviamente, perché le scarpe non si potevano rovinare, perché dovevano durare a lungo dato il costo elevato. Mio nonno Paolo è morto nel 1965 dopo una malattia che lo costrinse a vivere gli ultimi due anni di vita allettato. Io ero piccolo ma, dato che gli facevo da paggetto andando avanti e indietro per la casa (onde esaudire i suoi desideri), mi sono beato dei suoi racconti che altro non erano se non il pagamento per i miei servigi. Credo di averci guadagnato perché le sue parole a volte mi tornano alla mente mentre le fatiche di quelle giornate non le ricordo. E mio nonno ne aveva di racconti da fare. Aveva partecipato a tutte le guerre lui, compresa quella ordinata da Mussolini, lo malediva ogni quattro parole, che per colonizzare lo aveva mandato in Africa a combattere. E ad 80 anni ancora non si capacitava delle atrocità che aveva, suo malgrado, dovuto vedere in vita. In cantina era stato sistemato un baule pieno delle armi dei suoi nemici, compresa una scimitarra ed alcune bombe a mano senza carica, che mia madre teneva chiuso a chiave.
Ma ogni tanto il nonno mi diceva dov'era la chiave e mi mandava a prendere qualche oggetto particolare che gli ricordasse ciò che mi voleva raccontare. Di favole non ne aveva mai conosciute. Quando è morto l'ho cercato in mio padre. Lui non amava parlare. Era un uomo sempre troppo impegnato col lavoro, lavoro da cui aveva ricevuto, grazie a soci senza scrupoli ed ingrati, solenni fregature. Quella era l'Italia di allora. C'era il boom ed occorreva approffittarne perché ancora qualche decennio e tutto sarebbe tornato alla recessione. E certa gentaglia, che ora è morta lasciando enormi capitali a figli incapaci e nullafacenti, non provava il senso umanitario collettivo dell'amicizia, quello che al contrario aveva intrinseco Mario, mio padre. Ciò che so di lui l'ho letto sui giornali della zona o mi è stato raccontato dai suoi amici, e ne aveva davvero tanti, e da mia madre. So, ad esempio, che nel paese dove viveva da ragazzo era molto famoso perché miracolosamente scampato alle mitragliatrici dei fascisti che lo rincorrevano col sidecar. A quel tempo l'Italia era nuovamente in guerra e lui faceva propaganda portando al popolo i volantini che inneggiavano ai partigiani. Grazie alle mitraglie quel giorno qualcuno parlò e disse dove avrebbero potuto trovarlo. Ed infatti lo trovarono. Se non lo portarono via, verso l'ignoto di quei giorni, fù grazie al buon cuore di uno del fascio che era amico col fratello di mia nonna in quanto entrambi abitanti nella città di Fiume. Ciò che so è che nel frattempo i partigiani erano scesi dalle colline, per impedirne l'arresto, e che i due fascisti furono uccisi mentre tornavano in città.
Ora le cose son cambiate e queste vecchie storie non si ascoltano più o si ascoltano molto poco. Il progresso ha reso le persone schiave della comodità, dei vizi, della solitudine, ma non per questo le ha rese meno italiane. Io continuerò a raccontare ai miei figli i racconti dei miei nonni. Goccia dopo goccia cercherò di far loro capire quanto sudore è stato speso dai nostri antenati per riuscire a costruire e mantenere unito questo paese da tanti oggi bistrattato. Perché l'Italia non è solo una storia a sé stante ma è un'insieme di milioni di storie. Ogni nucleo familiare ne ha una che merita di non essere persa. A volte sono simili, a volte completamente diverse, ma sono capitate di certo a tutte quelle famiglie che oggi formano un insieme, forse caotico ma comunque stabile, che si riunisce sotto una stessa bandiera e si chiama Italia. Poco importa che i pensieri siano diversi, che i ragionamenti a volte non collimino, l'importante è che, pur nella loro diversità, questi ragionamenti, questi pensieri, possano venire esternati perché il significato della parola Italia ne viene amplificato e portato ad essere sinonimo di Democrazia.
L'Italia ha una enorme esperienza storica e culturale. I 150 anni di vita le sono serviti per capire quale forma costituzionale scegliere. Nulla s'è fatta mancare ed ha provato la Monarchia la Dittatura e la Repubblica. Se l'acqua di questo sapere si disperdesse in mille piccoli rivoli, destinati alla lunga a prosciugarsi, perderemmo la nostra indentità, quell'identità che hanno pensato e voluto per noi i nostri progenitori. Quella identità che affonda le sue radici nelle epoche precedenti al 1861 e si rispecchia in ogni popolo vissuto nei millenni sul nostro suolo. Quella identità che deve rispecchiarsi anche in noi che ad oggi lo occupiamo.
Io sono italiano, mio padre era italiano, mio nonno era italiano ed il mio bisnonno è uno dei tanti diventato italiano nel 1861, quando ancora il popolo era diviso in minime realtà e cambiava bandiera ad ogni piccola guerra. Io sono italiano, mi sento italiano e non vorrei essere niente altro che italiano.
BELLO!!!
RispondiEliminaCaro Massimo, ho letto questo articolo e anche quasi tutte le tue poesie, oltre che diverse altre cose da te scritte, e a cui partecipo. Ti considero una persona con doti speciali, hai notevole scioltezza nello scrivere e sei enormemente ricco di profondi sentimenti. Ti stimo molto.
RispondiEliminaIo sono nata nella città “divisa in due dal ferro spinato” e ora vivo nella altra città dell'estremo Nord-Est, città della bora, che è diventata caparbiamente italiana due volte, tanto che da queste parti si dice che l'Italia con queste terre è stata più matrigna che madre ... Il mio cognome è austriaco e mio padre nacque sotto Francesco Giuseppe, da madre istriana. L’esperienza di queste zone è alquanto diversa rispetto alla tua terra, la tragedia delle nefandezze compiute dai Titini (a cui qui si pensa quando si parla di “partigiani”) è ancora viva … mio padre stesso ne è stato prigioniero per tutti i 40 giorni dell’occupazione e ha rischiato l’infoibamento, e il padre di mio marito, sottoufficiale della Guardia di Finanza, ha perso la vita nella deportazione, ma non voglio toccare questioni che i nostri figli hanno superato vuoi per la Storia (non) insegnata a scuola vuoi perché le storie personali dei nonni sembrano lontane anni luce … anche perché il loro presente è in Europa ... il futuro chissà … Fai bene a ricordare ai tuoi figli il sacrificio degli Italiani nel fare l’Italia, e ad amare la Bandiera … Ho fatto un discorsetto proprio ieri sulla Bandiera a mia figlia laureanda in antropologia culturale (che vola troppo alto con le sue “ideologie”). Da queste parti è stato sparso tanto sangue meridionale e di tanta gente della Penisola che ha creduto ad un’Unità Nazionale e alla difesa dei suoi confini naturali … pur perdendone un pezzo. Anch’io sono orgogliosa di essere italiana, non vorrei appartenere a nessun altra nazione, e ringrazio, sempre commossa, tutti quegli uomini eroici che si sono sacrificati nel nome del Tricolore per consentirci di vivere “al di qua”. Buon Anniversario a te, alle persone come te e all’Italia tutta!
Mimosa (un giorno ti dirò chi sono)
I complimenti non sono tutti uguali. Si apprezzano tutti in egual maiera ma alcuni inorgogliscono più di altri e ti spronano a continuare, a migliorare.
RispondiEliminaGrazie Mimosa, auguri anche a te e a chi ti vive accanto.
Ciao Massimo, ti ho conosciuto per caso, digitando sulla barra di internet il nome di Sarah, e da allora sei una delle mie tappe giornaliere, quando faccio un giro su questo immenso mondo che è internet.
RispondiEliminaTi leggo perchè sei diretto,obiettivo e leale. con uno spiccato senso della giustizia, oltre che con capacità letterali indiscutibili.
Mi faceva piacere fartelo sapere, mi piaci meno quando raccogli provocazioni da troll, l'indifferenza è l'arma più tagliente e tu puoi usarla.
Ti lascio l'indirizzo del mio sito casareccio google, dove ci sono un pò di poesie e altre cosette che se e quando vorrai potrai leggere.
E un pò un conoscersied aprirsi con persone che sentiamo vicine pur non conoscendole.
Un caro saluto Sira
Scusa ecco l'indirizzo
RispondiEliminahttps://sites.google.com/site/sirafonzi/poesie
ciao sira
Ohoh, guarda caso... Siria e Massimo, ebbene confesso, anch'io sono poetessa ... come poteva essere diversamente? gli animi nobili si riconoscono sempre tra di loro ...!
RispondiEliminaMimosa
pur apprezzando questo articolo, non riesco a essere totalmente d'accordo...
RispondiEliminaRispetto le vostre opinioni, non sto cercando la polemica; ma io dall'italia me ne sono andata, arrabbiata e delusa proprio dai miei compatrioti.
Me ne sono andata di corsa, da un giorno all'altro, con una grande urgenza: quella di non far crescere mia figlia in un paese come l'italia (da anni non riesco più a scriverlo maiuscolo).
"da dentro" tante cose non si vedono... quando ti allontani e vedi l'insieme, vengono i brividi.
E' passato quasi un anno e non ho avuto un solo giorno, un solo minuto di nostalgia.
Quando i miei figli saranno grandi, potranno scegliere se vivere in germania, italia o qualsiasi altro Paese del mondo: io però nell'italietta non ci torno neanche da morta! le mie ceneri nella Spree.
Sara
Scusa Sara, però, se ti è venuta voglia di leggere questo articolo, se hai postato il tuo commento, qualche vocina dentro di te ti ha pur spinto... Nessun Paese è perfetto ... neanche la Germania o l'America... deve essere la ragione del sangue che guida l'animo degli individui. Perchè sei "te ne sei andata di corsa"? Quando? E cosa vuoi testimoniare? Festeggi con orgoglio la ricorrenza della Repubblica in cui ti trovi così bene? La senti PATRIA tua? Onori la sua Bandiera? Se rispondi di sì, ebbene, quella è ormai la Nazione a cui appartieni, e lascia che noi sentiamo di appartenere a questa...!
RispondiEliminaCordialmente,Mimosa
Grazie Sira. Il giro lo farò più che volentieri ed anzi metterò il tuo link nel mio blog di poesie così che chi voglia entrare nel tuo lo possa fare. Ciao, Massimo
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