Di Gilberto Migliorini
Nei recenti casi di cronaca
italiani (ragazza fatta letteralmente a pezzi) e americani (ex studente che
ammazza e ferisce a fucilate decine di persone in un tiro al bersaglio) ci si
interroga sul fatto sconvolgente, ci si chiede come possa accadere qualcosa di
così orribile e nefasto. Lo stupore, il disgusto e il raccapriccio sembrano però
far parte di un copione, un film già visto in qualche fiction televisiva, il
classico sceneggiato con qualche serial killer che sa interpretare il
personaggio con un buon realismo. La netiquette del navigante, nel palinsesto
delle notizie dell’ultima ora, richiede che lo stupore sia la notizia sconvolgente
che suscita interesse in quanto atroce, efferata ed oscena, oppure al contrario
lodevolmente edificante con una lacrima di commozione liofilizzata.
Con gli approfondimenti di
routine riguardo ai crimini, nelle disquisizioni degli esperti e dei retori
calligrafici, sorge già nell’utenza lo sbadiglio per le retoriche di
circostanza e le disamine psico-sociali. Ci si pone già in attesa di
qualcos’altro che possa, quello sì, sorprendere per davvero dopo l’immancabile
pubblicità e il commento criminologico. Per quanto atroce la notizia ha il carattere
effimero di un lampo… c’è pur sempre il nuovo gigantesco meteorite che sta per
schiantarsi sul pianeta, la catastrofe ambientale che incombe, l’invenzione del
secolo che ci cambierà la vita… Lo stupore o lo sdegno hanno le ore contate,
talvolta pochi minuti se lo spot pubblicitario sta arrivando e c’è già dell’altro
che fa notizia.
Per dirla senza infingimenti, i
fatti criminali, anche i più efferati, sembrano suscitare gli stessi stupori
dei format dei serial televisivi, notizie che non si sa bene se rappresentano
la cronaca dal vivo o sono inventate ad arte per condizionare l’utente con il dito
che in automatico agisce sul telecomando.
Perfino i morti ammazzati in una scuola potrebbero essere soltanto un
reality, proprio come un’isola dei famosi dove non si sa mai bene cosa preveda
il copione. Nell’utente sorge il dubbio che i ruoli siano già da sempre ben
definiti e che nessuno violi le regole anche quando sembra trattarsi di palese trasgressione
dello script… perfino in un macello con morti e feriti. Lo scandalo in diretta
e lo scoop efferato per quanto ben confezionati… hanno bisogno del gossip e
della maldicenza per dare corpo e sostanza a un copione altrimenti asfittico e
prevedibile. Il ruolo attivo dello spettatore comporta l’adeguamento del format
seguendo gli ascolti e il fiuto della regia. Il colpo di scena, la défaillance
e l’evento tragico potrebbero essere scritti a chiare lettere nella
sceneggiatura senza per questo venir meno il ruolo dello spettatore che influenza
il format con il suo indice di gradimento.
Abituati alle stupefacenti
diavolerie tecnologiche che costellano la società del ventunesimo secolo e alle
fiction che avvolgono il quotidiano mestiere di vivere, anche il più efferato
dei delitti richiede dallo spettatore-fruitore il suo contributo per dar peso
allo share. Si sa… l’osservatore modifica la realtà sperimentale, si decide se
un fatto sia vero quando scatta la molla… Sullo schermo si tratta di pixel che
si accendono, si spengono, cambiano di tonalità e lucentezza. I punti luce che
suscitano emozioni, sdegno e commiserazione, hanno però il carattere effimero
ed evanescente degli stacchi e delle dissolvenze, lo spot pubblicitario riesce
di colpo ad azzerare l’attenzione e diluire le emozioni tra una saponetta e un tampone
vaginale. L’attenzione selettiva dello zapping, prima dello stacco
pubblicitario, richiede di immedesimarsi col personaggio, di provare empatia, commuoversi…
poi ci si dimentica in attesa di qualche nuova notizia che fiorisca tra gli spot…
Il problema emergente sembra
essere il confine incerto tra quella che si usa chiamare realtà virtuale e la realtà
vera, un confine che però nessuno sembra più sapere esattamente dove collocare.
Siamo in attesa del coup de theatre che renda il finale imprevedibile, anche se
ormai risulta difficile sorprendersi. Perfino il più efferato dei delitti
finisce per annoiare, sembra un déjà vu, il plagio di uno sceneggiatore
ripetitivo e inconcludente. Autore, attori, personaggi… e spettatori fanno
tutti parte di uno spettacolo dove gli automatismi narrativi sono sotto diretto
controllo dello share e della pubblicità commerciale. Il deus ex machina non è
più solo metaforico, è direttamente implementato nei processori che selezionano
in automatico le emozione dell’utente sulla base dei meccanismi s/r in cicli
sempre più veloci di retroazioni. I chip si incaricano programmaticamente di
svolgere la funzione attenta e zelante di imbonitori, addestratori e…
affabulatori.
Alzando l’asticella, anche rendendo
il palcoscenico pieno di morti e feriti, c’è bisogno di qualcosa di più
sconvolgente per farci credere che sia tutto vero. I normali morti ammazzati in
modalità standard, quelli uniformati secondo il galateo del delitto si capisce
subito che sono le classiche fiction senza mordente e credibilità. Per farci
credere di poter uscir fuori dalla caverna-cinema occorre che il regista superi
i cliché, che ci metta abbastanza impegno per riuscire a sorprendere uno
spettatore assuefatto alle crime story
e alle guerre in giro per il mondo con carneficine che sugli schermi non
sembrano poi così diverse dalle fiction e dagli sceneggiati televisivi.
L’indeterminazione quantistica
sembra ormai riguardare la nostra percezione del vero e del verosimile. Lo
spettatore-osservatore ormai fa parte integrante dello spettacolo, in tempo
reale, sia pure statisticamente, nel processo dove l’indice di gradimento fa da
feedback e modifica il concetto di realtà. L’azione di ritorno è ormai
immediata, gli automatismi computazionali selezionano istantaneamente le nostre
scelte e ridefiniscono standard e opzioni di consumo. Lo schiavo liberato del
mito della caverna platonica più che uscir fuori a rivedere il sole è un Truman
che si illude di varcare le colonne d’Ercole del suo mondo contraffatto. Famelici
telespettatori lo osservano vagare in un
supermercato con telecamere e carta fidaty o sulla spiaggia di un’isola tropicale,
forse ricreata in uno studio televisivo con onde artificiali e una comparsa truccata
da Venerdì. Alla cassa l’utente accumula il credito e se esce fuori dalla
caverna è solo per una boccata d’aria o la pausa pranzo, comunque sorvegliato
da qualche telecamera di sicurezza.
Ma siamo ancora al margine di
un processo del quale si intravedono le premesse e i futuri sviluppi. L’orrore
riguarda la normatività degli eventi catastrofici così apprezzati e quel range criminologico cha va dal dottor
Jekyll a mister Hyde . La strage operata da un ragazzo timido e isolato ci riporta
alle problematiche delle devianze, delle
patologie, del crimine… I metodi quantitativi trasformano anche gli eventi più
drammatici in numeri e tabelle su un foglio elettronico. Nella fiction è tutto intercambiabile,
siamo dentro al film anche quando apparentemente sembriamo svolgere il ruolo
passivo di spettatori. Scopriamo sgomenti che siamo proprio noi quello che
sullo schermo sta sparando contro persone inermi o sta facendo a pezzi una
vittima designata. L’identificazione proiettiva trasforma lo spettatore in
interprete.
Negli ultimi decenni
l’accelerazione tecnologica ha reso sempre più incerto il confine tra l’uomo e
la macchina, non solo costruendo simulacri umanoidi (l’androide), simulando il
pensiero, ma perfino riproducendo le emozioni umane nei processi computazionali.
Mentre il robot assume sempre più le fattezze di persona, il soggetto umano diventa
macchina desiderante secondo la logica asservita alla società dei consumi e ai
valori del sistema mediatico.
Si intravede un futuro
prossimo venturo nel quale sarà sempre più difficile operare distinzioni tra il
mondo della caverna là dentro e la
realtà vera là fuori. Il dubbio si
insinua nelle coscienze col venir meno di qualsiasi certezza se esiste davvero
una realtà che sia al di là dello schermo… se esiste un altro mondo all’uscita
del cinema... Lo schiavo liberato diventa una figura di transito da una realtà
virtuale ad un’altra realtà virtuale, magari più complessa, ingegnosa e appetibile…
ma nel chiuso di una simulazione.
Cosa ci riserva il futuro
dell’automazione computazionale? La fantascienza ormai classica ci ha
raccontato di androidi che acquistano la coscienza del dolore (Blade Runner) di
computer onnipotenti dotati di A.I. che prendono il sopravvento (2001 odissea nello
spazio) di creature aliene votate alla sopravvivenza a discapito di altre
(Alien). Sembrano scenari ancora nel solco di una realtà virtuale che si può
tenere sotto controllo, dove i protagonisti umani conservano la capacità di
combattere per il bene, mantengono la possibilità di fronteggiare l’antagonista. Gli interpreti sanno riconoscere che l’alieno
sullo schermo è una parte di noi, che è anche dentro di noi, il nemico da
sconfiggere. Il richiamo è all’utente spettatore per renderlo consapevole dei
rischi e delle incognite di una realtà problematica. In un film famoso degli
anni 50, Il pianeta proibito, i
mostri dell’id (in termini freudiani l’inconscio)
riemergono a dimostrare tutti i risvolti della creatività umana, nel bene e nel
male, e nell’impossibilità di automatizzare la libertà… senza il rischio di
perderne il controllo.
Autori come Orwell, Huxley,
Zamjatin… hanno affrontato il tema più sul versante psico-sociale mettendo
l’accento sui risvolti esistenziali e sugli stereotipi antropologici. Perfino
nella civiltà medioevale il tema del peccato è stato affrontato con sorprendente
modernità in un’ottica che rifiuta il determinismo (vedi L'etica o scito te ipsum di Pietro Abelardo). Il peccato non è la mala voluntas, l’inclinazione al male,
ma l'intentio o consensus animi ,
cioè la libertà di sceglierlo. La vita come illusione e come realtà virtuale è
un tema dei poeti (la vita è sogno di
Calderón de la Barca e il mondo è un
grande teatro di Shakespeare).
L’indifferenza per il male
viene derubricata in ambito psichiatrico, spiegata scientificamente come forma
maniacale, interpretata mediante alterazioni ormonali in un contesto dove
emergono gli automatismi della macchina-uomo risultato della biochimica di un
cervello immerso nel suo ambiente con tutte le possibili deviazioni e
manipolazioni, interpolazioni e condizionamenti. La propensione al bene trova consonanza come plus
e benefit in un sistema di pesi e contrappesi, il supermercato dove tutto ha un
prezzo, dove le varie forme di beneficio hanno un valore di mercato e sono
spendibili con carta di credito. Se qualcuno si mette a sparare sulla folla
perde punti, la carta viene azzerata… In prospettiva c’è però la possibilità
che il caso nel tempo possa trovare nuove risorse per riportare un credito... magari
una bella sceneggiatura problematizzante e interattiva…
Il frutto proibito cresce nei
grandi magazzini e può essere colto senza conseguenze solo se si possiedono le
prerogative di consumo, un’adeguata credit card con la quale si può comprare
una deroga alla trasgressione... Il peccato con i dovuti accorgimenti e
vantaggi sociali non comporta sanzioni e diviene una modalità garantita là dove
esiste la necessaria autorizzazione. L’imprimatur della scienza consente di
espiantare organi a cuore battente utilizzando il concetto di morte cerebrale o
di bombardare popolazioni se il protocollo non viola i trattati internazionali
e la guerra viene autorizzata da qualche consiglio di sicurezza. La guerra
regolata da accordi giuridici consente di fare a pezzi e uccidere in ragione della
sicurezza e del diritto internazionale. L’orrore scatta solo quando sullo
schermo compaia l’avvertimento che le
immagini che seguono potrebbero turbare la vostra sensibilità.
Quale lo scenario prossimo venturo di una
società con cambiamenti sempre più rapidi in rapporto a due variabili emblematiche
la sicurezza e l’automazione? Le regole sempre più fitte e invasive, con le connesse
sanzioni, sono come un campo minato. Il rifugio in ambiti artificiali diventa
sempre più una modalità di fuga da una macchina di tortura normativa che
ricorda il racconto di Kafka Nella
colonia penale. Quella della sicurezza è una macchina implacabile. Una
società sempre più blindata in normative e regolata da leggi in ogni aspetto
della vita diventa un luogo di tortura. Le moderne società con tutti i connessi
processi di consumo sono sempre più complesse, e regolate da protocolli. A
confronto di certe realtà semplici e immediate del recente passato i rapporti
sociali diventato labirinti d’angoscia e interrelazioni di solitudini connesse
in rete. I rapporti umani un tempo regolati da forme di empatia e immediatezza
intuitiva si trasformano in relazioni formali, costantemente monitorate,
controllate e registrate. L’automazione, nel farraginoso e complesso labirinto
di regole, di opzioni e di apparati sembra in grado di promuovere gli algoritmi
che sostituiscano l’utente in tutti i tipi di relazione, anche in quelle
affettive.
Gli algoritmi di automazione sono ormai in grado di replicarsi, di produrre
altri algoritmi. La macchina non è più soltanto la mera esecutrice del programma
implementato nelle righe di istruzione. Il desiderio di onnipotenza e di potere
può alla fine trovare dimora direttamente nell’alter ego robotizzato. Nel Pianeta Proibito del lontano 1956 se
Robby, il robot scenico, sembra un prop
antidiluviano, il film è forse il più visionario di tutta la fantascienza. Nelle
macchine sono implementati i nostri sogni ma anche i nostri incubi e le nostre
fantasie di onnipotenza. Lo strumento in grado di proiettare materia con il
solo pensiero materializza anche i desideri dell’inconscio.
Gli automatismi rappresentato l’estremo
tentativo di sottrarsi alla scelta, attribuendo ad una macchina la
responsabilità delle nostre azioni. Il male sembra insinuarsi perfino nei
circuiti elettronici e trovare tana nei chip di ultima generazione…
1 commento:
per colpa del poco tempo non ho letto tutto il post ,.tuttavia ormai siam abituati da: di tutto .
una volta sentivo dire spesso : si, la va da cosi', a peggio di cosi'.non mi inoltro di piu' per ora .
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