Saggio di Gilberto Migliorini
Un tempo c’era il commissario Maigret di Simenon con la
sua pipa e la flemma compassata del vero detective che faceva lavorare la sua materia
grigia. Oppure Agatha Christie con
atmosfere intriganti, descrizioni accurate e soprattutto il senso della suspense. L’antesignano? Edgar Allan Poe con il racconto The Murders in the Rue Morgue con
quell’Auguste Dupin che con acume
straordinario scopre che l’autore del duplice omicidio è un animale, un enorme orango
del Borneo fuggito a un marinaio di una nave maltese. La scimmia ominide aveva
cercato di imitare il padrone con il suo rasoio da barba facendo pratica sul
collo di Madame L'Espanaye... Chissà in quanti delitti c’è di mezzo uno di
quelli che le indagini e le simulazioni le fanno coi piedi proprio come un
quadrumane.
Oggi? Oggi c'è il
camice bianco, l’agitatore molecolare e naturalmente il test, quello del film Blade Runner dove l’androide fa fuori chi lo vorrebbe
smascherare... nel nostro caso per scoprire se il criminologo pensa davvero o è solo una
sofisticata macchina con uno chassis umano in gommapiuma e pelle sintetica. Se il
computer che gioca a scacchi è ormai in grado di battere qualsiasi Fischer,
perché un sistema esperto criminologico non potrebbe mettere nel sacco Jack lo squartatore - in versione
aggiornata - o un diabolico serial killer con tanto di pedigree? Si tratta del
moderno detective con tutto l’armamentario up
tu date: un po’ di Cesare Beccaria, frenologia e fisiognomica di Gall e
Lavater, antropologia criminale lombrosiana e finalmente le scienze biologiche
e i reattivi psicodiagnostici. Tutto in un computer con codice penale
incorporato. Eclettismo metodologico condito anche con le scienze normative e
naturalmente il software miracoloso che sforna sentenze da una macchina
inferenziale introducendo una moneta e premendo un pulsante. Vien fuori insieme
al suo DNA il nome del colpevole. Elementare Watson.
Epistemologia?
Chissà quanti criminologi e detective nostrani hanno letto un testo di epistemologia. In realtà, anche chi non l'ha mai frequentata può usarla egregiamente con il fiuto
dell’investigatore che si muove senza pregiudizi e con l’esperienza sul campo,
sapendo che il mondo è sempre più complesso di quanto crediamo. Come ebbe a
dire il poeta: “Ci sono più cose in cielo
e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.” A scanso di equivoci qui per filosofia si può intendere anche la hybris di tanto scientismo nostrano.
Shakespeare era uomo di mondo
dismagato al punto da conoscere gli inganni e le disillusioni che ci riservano
le nostre certezze. Qualcun altro ha tradotto la
formula shakespeariana nel linguaggio dell’episteme. Farò un passo indietro a Mach (Ernst Mach 1838-1916), quello del
numero della velocità del suono. Lo scienziato era approdato a un’idea della
ricerca come processo di adattamento
liberando l’osservazione da tutte quelle nozioni che accettiamo come assolute,
evidenti e immodificabili. Quanti scientisti oggi ripercorrono invece quella religione
tecnologica che è stata instillata da tanta divulgazione di bassa lega che ha
convinto una platea un po’ sprovveduta che la scienza ci offra certezze, soprattutto
quando si confonde la realtà concreta, in tutte le sue indeterminazioni, con le situazioni controllate del laboratorio. Per
non parlare poi della matematica che con i suoi procedimenti sotto l’egida
quantitativa presume di produrre sempre oggetti realmente esistenti.
Nel mondo
reale, dove il delitto è anche quello del quotidiano mestiere di vivere, occorre
anche il fiuto del detective: come un Hercule
Poirot con il suo olfatto
straordinario unito a ordine, metodo e perspicacia. Oggi con la biologia
molecolare, l’apprendista stregone - che gioca a fare Dio e assemblare il
meccano biologico - pensa davvero di avere tutto sotto controllo e che presto, come
Faust, conosceremo tutti i segreti del mondo e potremo modificare un po’ qua e
un po’ là la nostra natura ubiqua e imperfetta. Otterremo il nuovo Prometeo
direttamente in scatola di montaggio con le istruzioni per l’uso. Si tratta del
sogno dell’homunculus in provetta e di quel Mondo
nuovo alla Huxley - antesignano dell’attualità di una scienza al servizio del
potere.
Secondo Mach nelle pieghe della ricerca scientifica si nasconde la
metafisica come, ad esempio, nella meccanica classica (galileiano-newtoniana), senza
togliere nulla ai grandi iniziatori della scienza moderna. E chi l’avrebbe
detto? Il pericolo è che la scienza si trasformi in un sistema dogmatico all'apparenza
neutrale. Il detective letterario invece mantiene in genere un sano
scetticismo, sa che l’assassino è proprio quello che non ti aspetti e che potrebbe
non conformarsi agli standard criminologici da manuale. Il vero detective non
si adagia sugli schematismi psico-diagnostici e sull'aritmetica delle
neuroscienze come fossero un passepartout nei labirinti del delitto, si mantiene
possibilista sapendo che le forze in gioco sono spesso ignote, misteriose e complesse.
Lo scienziato è un po’ come un
detective che crede di aver smascherato il colpevole. Alla fine dell’800 si
pensava che la fisica fosse una disciplina praticamente conchiusa. Mancava è
vero qualche dettaglio, bisognava mettere a posto qualche indizio… ma ormai era
cosa fatta, il mondo era già bell'e e incasellato nelle equazioni e si riteneva
che tutto ormai trovasse consonanza, proprio come per un delitto con il
colpevole finalmente smascherato. Poi sono arrivati i paradossi dei gemelli, i gatti
di Schrödinger. E le certezze sono sfumate: il luogo e perfino l’ora del
delitto sono apparsi indecidibili in un universo improvvisamente molto più
complesso e indeterminato. Certo anche oggi ci sono i nuovi sostenitori delle teorie del tutto, per non parlare di
tutti quei sacerdoti per i quali la scienza è disciplina elitaria fatta di
aristocratici che ricordano un po’ l’Accademia platonica... non tanto il Maestro
quanto gli epigoni.
Lo scienziato, in genere di
sesso maschile, salvo qualche Marie Curie, sembrava un tempo dimostrare che la
logica e la matematica non fossero particolarmente idonee per il gentil sesso - inquadrato
come la fisica in una sorta di profilo convenzionale (e naturalmente anche per
gli schiavi e i nullatenenti non c’era trippa per gatti). Il Buon Dio li aveva
non a caso creati maschio e femmina, padroni e servi, allo stesso modo di
quello spazio assoluto newtoniano dove i corpi si muovevano per quella legge
della 'attrazione' universale (dove la
femmina faceva solo da consorte tra il letto e le faccende di casa). Nemmeno Ibsen con il suo Casa di Bambola che alludeva a una emancipazione femminile avrebbe scosso
più di tanto quel ruolo addomesticato di donna di rappresentanza, incubatrice
per far figli o femmina di piacere, quando non si trovava in fabbrica a far le
veci del marito impegnato al fronte.
Agatha Christie ci ha provato
con la vecchietta indagatrice Miss Marple
a emancipare perfino la donna della terza età nelle faccende criminologiche, sia
pure tergiversando con il lavoro a maglia che rimaneva pur sempre la normale
prerogativa dell’abile criminalista amante del bird watching - oltre che del pettegolezzo.
Con lo pseudonimo di Mary Westmacott alla signora Christie il romanzo rosa non era riuscito altrettanto bene del giallo. Dopo che il marito le aveva
chiesto il divorzio (lui la tradiva con la segretaria) la brillante scrittrice
si era nascosta in un hotel facendo perdere per qualche tempo le sue tracce, si
dice in stato di amnesia. I maligni sussurravano che lo aveva fatto perché l’ex
consorte, il fedifrago, venisse incolpato del suo omicidio e dell’occultamento
del cadavere.... Deformazione professionale…
La maggior parte degli
investigatori, quelli letterari, sono single, essendo in genere uomini, e hanno
un fondo di misoginia anche se sono affascinati dal gentil sesso. È il caso di Philip Marlow - nato dalla penna di Raymond
Thornton Chandler – un solitario detective che indulge al fumo e all'alcol ma
difensore dei deboli e come tanti suoi colleghi criminologi (quelli letterari)
in perenne conflitto di ruolo contro lo statu
quo e il conformismo investigativo di tanti opinionisti che indossano la mise del detective come se si trattasse
dell’abito talare con la cotta, la mozzetta e la croce pettorale. L’anticonformismo, almeno dell’investigatore
letterario, è uno dei caratteri che lo fanno un innovatore, un po’ come lo
scienziato che apre nuove strade e originali metodi investigativi, magari andando
contro la mentalità chiusa di un capo miope e per giunta politicamente corretto. L’immagine è quella di un detective che
vuole infrangere le barriere dell’indagine tradizionale e che non si accontenta
del primo riscontro, non come quegli inquirenti che per chiudere il caso in
bellezza mandano in prigione un povero cristo che c’entra col delitto come i
cavoli a merenda.
Nella scienza vera, non quella
di una divulgazione spettacolare e suggestiva che mescola un po’ di fiction, si
tratta la distinzione tra scienza
normale e scienza straordinaria - resa celebre da Thomas Kuhn che con
la sua opera La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) affronta il
problema della scoperta usando formule innovative, un po’ come un detective che
butta all’aria i vecchi metodi ormai obsoleti. Non a caso i concetti che
introduce (paradigma, crisi, conversione,
anomalia, incommensurabilità) sembrano stravolgere l’idea che la scienza
sia un processo cumulativo, bensì un nuovo modo di guardare il mondo, proprio
come un detective che coglie quello
che altri non vedono mediante una originale attrezzatura investigativa, un
cambiamento di paradigma, con occhio disincantato e mente aperta.
Da un lato c’è una scienza normale, quella del detective
della routine che usa tecniche consolidate un po’ come un travet (la scienza
ortodossa e convergente) e senza voli pindarici (ma talvolta un po’ miope da non
vedere le anomalie, da non accorgersi che le sue conclusioni non reggono). Dall'altro
c’è una scienza straordinaria (connessa
alle cosiddette rivoluzioni scientifiche) dove subentra il dissenso e la crisi
(le modalità investigative vengono sostituite con nuovi paradigmi, diverse attrezzature
intellettuali e manipolative). I rompicapo
scientifici (o delittuosi) spesso non si possono risolvere nell'ambito di
conoscenze e strumenti convenzionali, la realtà è sempre più complessa di
qualsiasi formula già pronta all'uso. La scienza, come l’investigatore, può
avere la tendenza a rifiutare tutti quei problemi che non sono riconducibili ai
suoi criteri metodologici e concettuali. In realtà il detective scafato può
avere il dubbio, intuitivamente, che qualcosa non torna e sentire la necessità
di approfondire un’indagine magari in altre direzioni e con diversi strumenti
(salvo quelli che si innamorano delle loro tesi e continuano imperterriti a
ritenere che la Terra sia al centro
dell’universo e magari anche piatta).
Nella finzione letteraria, ma
talvolta anche nella realtà quotidiana, assistiamo al colpo di scena.
L’investigatore testardo e innovativo - sia che si tratti di Marlow, di Magret, di Padre Brawn o
di qualche oscuro ma efficiente poliziotto che non sia alla ricerca della fama ma soltanto della giustizia - cerca di riorientare l’indagine, di guardare i
fatti in modo nuovo, senza il vecchio pregiudizio, puntando l’attenzione su
quello che in un primo tempo era sembrato trascurabile e senza importanza. Allo
stesso modo lo scienziato della scienza
normale può tendere, secondo Kuhn
a non vedere o a minimizzare le anomalie
che possono metter in crisi il consueto
paradigma. Fra i due tipi, è l’innovatore che ha il coraggio di sconvolgere i vecchi modelli e di
avventurarsi in congetture nuove e non ortodosse.
Si sa che il detective
letterario ha anche in sé alcune idiosincrasie e deformazioni professionali, proprio
come lo scienziato che mantiene sempre quella sua prerogativa di neutralità anche quando appare eccentrico
e geniale. In realtà l’immagine oleografica dell’uomo di scienza votato alla ricerca
disinteressata e alla comprensione della bellezza della natura, non sempre
risulta in sintonia con il falso, la
frode, il plagio, l’inganno che hanno talora punteggiato la pratica
scientifica così solennemente magnificata nella divulgazione, e non, senza
omettere il carattere arrogante di certi suoi celebranti. La misoginia al
maschile, non esente talvolta da presunzione metodologica, al femminile può
diventare una sorta di imitazione dell’universo fallico. Difficile trovare
donne scienziato che non abbiano acquistato un'aura scarna, almeno in parte, una virilità intellettualmente che le accompagna perfino quando discorrono di faccende
domestiche. È che l’universo maschile talvolta attrae e deforma perfino la
souplesse e la sensualità del gentil sesso… un vero peccato…
La misoginia di Marlow informa
anche il corpulento e pesante Nero Wolfe: aggraziato buongustaio (come
Maigret), coltivatore di orchidee e rimuginatore di delitti che se ne sta comodamente in casa, tra la serra pensile e la cucina, deambulando nei luoghi
omicidiari tramite le gambe dell’assistente tuttofare Archie Goodwin (una sorta
di Watson che ricorda Sherlock Holmes al punto che qualcuno ha avanzato
l’ipotesi che Nero Wolfe di Sherlock Holmes sia figlio - illegittimo?). Le
somiglianze fanno infatti pensare a un analogo codice genetico. Purtroppo
all'epoca non si poteva ancora effettuare il famoso test del Dna, e neppure
oggi dal momento che i cadaveri sarebbero in veste meramente letteraria. Però
non si può mai dire, con le giuste coincidenze si potrebbe scoprire la
paternità sul retro di qualche francobollo celebrativo.
Le idee di Mach influenzeranno tutta la fisica del '900 e sono alla base della epistemologia contemporanea: non esistono leggi
capaci di garantire a priori la validità delle leggi scientifiche e queste non
ci svelano qualche realtà sottostante - più profonda rispetto a quella empirica
(e forse questo potrebbe essere un limite del metodo sperimentale). Lo
scienziato dunque non fa altro che astrarre le
relazioni che collegano un gruppo di fenomeni ad un altro. La vita, come la
scienza, è il tentativo di risolvere problemi attraverso ipotesi e osservazioni
che danno incentivo a nuove ipotesi e a nuove ricerche, ampliando la nostra
esperienza in un progressivo tentativo di adattamento all'ambiente. Le leggi
scientifiche in definitiva hanno solo un carattere finzionale (non causale). Lo scienziato può avere la tendenza a
negare i dati osservativi anziché a modificare la legge credendo di aver
trovato il Santo Graal. E se poi qualche dato osservativo non conforta come
dovrebbe l’impianto teorico costruito con cura amorevole, si può dargli sostegno
con qualche ‘innocente’ aiutino,
alterando qualche frazione numerica, inventandosi qualche esperimento fantasma
o addirittura assemblando con estro immaginifico le ossa di qualche anello
mancante…
Con una serie infinita di stratagemmi convenzionalistici, di
modifiche, si negano i fatti osservativi o li si aggiustano all'uopo per
renderli conformi a una teorizzazione di volta in volta ricorretta e
rimaneggiata.
Anche il detective che trova incongruenze nella ricostruzione di
un delitto può essere tentato - proprio come uno scienziato affezionato alla
sua teoria - di aggiustare un po’ qua e un po’ là il movente e la dinamica per
dare un abito su misura al presunto assassino. Se poi il vestito non gli va a
pennello c’è sempre qualche nuova relazione tecnica commissionata a pagamento a
qualche prestigioso studio di esperti del settore che può render giustizia
anche alle eventuali incongruenze...
Padre Brown, sacerdote
cattolico e detective, è il protagonista del raffinato scrittore britannico
Gilbert Keith Chesterton. Il pretucolo
non ha nulla del fascino ombroso e misterioso di tanti indagatori dell’incubo
alla Dylan Dog, anche se il suo prototipo realmente esistito è un parroco dello
Yorkshire, tale O’ Connor che sarà uno degli ispiratori della conversione dello
scrittore al cattolicesimo. Padre Brown con il suo spessore letterario è il
contraltare di Sherlock Holmes, investigatore dall'aria proverbiale talvolta
oggettivamente un po’ noioso e petulante. Il curato invece attinge alla deduzione e alla introspezione affinate
nell'ascolto dei suoi parrocchiani nel confessionale, dove di sicuro non manca
materiale interessante per fare pratica con il movente di un delitto...
Riprendendo l’excursus machiano
ci poniamo di fronte a un primo spunto: l’esperienza si limita a rilevare dei
dati (come la presenza di materiale biologico e l’estrazione del relativo DNA), però l’analisi del reperto, nel caso di un delitto, è solo un dato, non un fatto. Per il positivismo - con la sua immagine ingenua della scienza - i fatti erano entità oggettive, per Mach
invece i fatti sono costruzioni che assemblano gli elementi originari dell’esperienza: le
singole sensazioni non sono originate dai corpi esterni, ma sono i corpi ad
essere generati dalle sensazioni (insomma, la realtà oggettiva sfuma
nell'organizzazione che noi diamo alle sensazioni per favorire i nostri
apparati di difesa e dominio dell’ambiente). Le leggi di natura non sono altro
che tentativi di cogliere regolarità e uniformità nella nostra esperienza, dunque
non esiste nessuna relazione necessaria tra le sensazioni: l’impresa
scientifica è economia di pensiero e riduzione della complessità. L’attività
scientifica non persegue la registrazione protocollare dei fatti, quanto
l’organizzazione della massa fluida dell’esperienza.
Siamo a una bella distanza
dall'immagine galileiana della scienza (e forse anche Bellarmino con il suo strumentalismo un po’ di ragione ce l’aveva):
le teorie scientifiche non rispecchiano la natura delle cose, sono solo
strumenti pragmatici per organizzare nel modo più economico la molteplicità dei
dati sensoriali. Senza Mach forse Einstein non avrebbe avuto le sue intuizioni
di un tempo relativo all’osservatore
e di moto secondo una geodetica con la massa dei corpi che
modifica la geometria dello spazio, palle da biliardo disposte sul tessuto
cedevole di un continuum deformabile.
Sherlock Holmes, l’icona di
Conan Doyle col suo sguardo acuto e penetrante e dalle indubbie abilità deduttive,
oltre che dilettarsi col violino sembra avesse una buona conoscenza delle
sostanze stupefacenti delle quali faceva uso occasionale (morfina e cocaina), poi derubricate con quella pipa che sembra sia accessorio indispensabile per la
maggior parte dei detective. Buon conoscitore di chimica e anatomia, logica
penetrante e mento prominente... Per quanto l’archetipo del moderno criminologo si
tenesse lontano dalle donne per tenere la mente sgombra dalle suggestioni
emotivamente conturbanti, non disdegnava una approfondita conoscenza della
letteratura scandalistica (precursore e antesignano di quel metodo mediatico
che oggi va tanto per la maggiore) e di quei procedimenti induttivi che di
solito (nella realtà) raccolgono cocenti
delusioni.
È il caso del tacchino di Russell. La storiella la conosciamo un
po’ tutti e riguarda il ragionamento induttivo. La racconto in modo leggermente diverso per creare un po’ di suspense e anche per spirito animalista:
Un
tacchino viene portato in un pollaio e osserva che il padrone gli porta il cibo
sempre alle nove del mattino. Ma essendo un tacchino induttivista prima di
arrivare a conclusioni precipitose fa altre osservazioni in diverse
circostanze: di martedì e di mercoledì, di sabato e di domenica, d’inverno e
d’estate, a inizio mese e a fine mese, quando piove e quando c’è il sole…. Ad
un certo punto ritenendosi pago della mole delle sue osservazioni e dei dati
raccolti produce una inferenza induttiva del tipo” il padrone del pollaio mi dà
sempre il cibo alle nove del mattino”.
La conclusione si rivela falsa alla Vigilia di Natale quando (gli
induttivisti che già conoscono la storia diranno) anziché venir nutrito viene sgozzato. Sbagliato! Il finale che si potrebbe ritenere probabile nella mia storia è: La conclusione si rileva falsa alla vigilia di Natale quando
il padrone muore per un colpo
apoplettico.
Sì, anche fondare l’induzione sull'induzione porta a
conclusioni deludenti…
Nel caso di un delitto
l’induzione può assumere la forma pseudologica del tipo: Chi se non lui?, ritenendo di aver preso in considerazione tutti i
casi possibili alternativi (induzione per eliminazione). In realtà non possiamo
conoscere tutti i casi possibili: dato un problema ‘p’ esiste sempre
un’infinità di soluzioni logicamente possibili (i metodi basati sulla routine
sono inadeguati). Proposizioni dl tipo: Se
x è stato ucciso con una forbice l'assassino dev'essere una sarta; se aveva calce nei
polmoni dev'essere responsabile un muratore e se la vittima non aveva nemici e
quella sera aveva litigato col marito…se c’era il suo Dna sul luogo o sul corpo
del delitto... dunque…
Tutte queste ipotesi basate sulla statistica, secondo Popper portano solo a conclusioni illusorie. Qualunque
criterio induttivo fonda generalizzazioni del tutto arbitrarie, non si tratta
di scienza ma di pseudoscienza. Non possiamo mai conoscere per enumerazione
tutti i casi possibili che ci conducano per esclusione a ritenere che non
esistano ipotesi alternative, diversamente da quelle inferenze deduttive per le quali da due premesse
vere se ne ricava di necessità la conclusione.
Qualcuno si è preso la briga di
stendere un ritratto psico-attitudinale di Sherlock Holmes, uomo dai vasti
interessi che spaziano dalla filosofia alla letteratura alle arti marziali,
oltre alla logica e all'apicoltura (dopo il ritiro pensionistico). Il suo
aforisma che fa del metodo induttivo una sorta di passepartout è: “Una volta eliminato l'impossibile, ciò che
resta, per quanto possa apparire improbabile, deve essere la verità”. Insomma, ciò che
rimane per esclusione da un’indagine è l’unica spiegazione logicamente
corretta. Oltre a Popper non sarebbe d’accordo neppure Dylan Dog, il personaggio
in red and black and jeans and clarks d’ordinanza, che per definizione è il detective
dell’impossibile. E forse neppure Philip Marlow
nell'interpretazione di Humphrey Bogart (Il
grande sonno) in un pezzo di grande cinema: quel cinema dentro il cinema,
gioco di ombre allusive con uno spettatore catturato dalla magia delle
immagini, dal gioco delle vedute oggettive e soggettive dove l’induzione è la
macchina inferenziale per antonomasia dell’illusorio cinematografico.
Popper però va oltre la critica
dell’induzione e solleva il problema del pregiudizio. Il pregiudizio è in
qualche modo fondamentale nel procedimento scientifico. Il fatto può
sorprendere. La nostra mente non è tabula
rasa. L'osservativismo - ci dice
Popper - è un mito. Quando osserviamo il mondo siamo sempre orientati dalle
nostre aspettative teoriche, la mente purgata dai pregiudizi non è una mente
pura, è solo una mente vuota. L’osservazione implica sempre una teoria che ne
sta alla base, un pregiudizio (aspettative, ipotesi, conoscenze pregresse) che
comunque può essere disilluso e corretto alla luce dell’esperienza.
Un topos del romanzo e del
film poliziesco è quello di un’indagine che inizialmente prende la direzione
più ovvia, quella che lascia immaginare uno scenario del tutto naturale sulla
base dell’esperienza del detective e anche di quella del lettore-spettatore che
in quanto voyeur del delitto si serve dei suoi vissuti esistenziali e delle sue esperienze criminali (criminologiche) per organizzare la logica
della storia. Il colpo di scena finale è tale solo per coloro non abbastanza
smaliziati che si sono fossilizzati sull'iniziale ricostruzione del delitto, ipnotizzati
dai primi riscontri, senza riuscire a derubricare via via gli elementi difformi
e le incongruenze.
In un delitto il pregiudizio è
sempre al lavoro, di per sé non è un fatto negativo, e implica una direzione di
ricerca che altrimenti non saprebbe in quale direzione muoversi. L'importante
però è che il pregiudizio venga messo al vaglio dell'osservazione. Purtroppo, però, talvolta
si scambiano dei meri dati
(indipendentemente dalla loro correttezza formale) per delle prove. La prova è tale solo all'interno
di un sistema concettuale
(ipotetico-deduttivo). Un sistema di indizi può costituire solo
l’orientamento verso ulteriori osservazioni, come avviene nel procedimento
scientifico, alla ricerca di regolarità. L’indizio presuppone dei criteri di
controllo che non sono mere verifiche (e qui entriamo nell'altro aspetto dell’epistemologia
popperiana, il falsificazionismo).
Una teoria per essere provata
deve essere falsificabile, cioè è possibile estrarne conseguenze che possono essere confutate, cioè falsificate dai
fatti (l’insieme dei falsificatori potenziali non deve essere vuoto). Detto in
altro modo, la scientificità di una teoria
comporta la reale possibilità di estrarre conseguenze passibili di controllo
fattuale (smentibili in linea di principio e di fatto). La conferma di una
teoria, ci dice Popper non è mai definitiva. Per quante conferme una teoria
abbia avuto, non è mai certa, un ulteriore controllo la può smentire (magari
trovando una teoria migliore che renda giustizia di quei fatti e di quelle
osservazioni in disaccordo). Proprio l’errore è il centro del metodo
scientifico e ne promuove gli sviluppi. Nelle parole di Popper: “…un sistema empirico deve poter essere
confutato dall'esperienza…”
La frase domani pioverà o non pioverà non è una asserzione empirica perché
non può essere confutata (la previsione è comunque vera e dunque non
falsificabile). Un imputato che non parla
del delitto fornisce un indizio di colpevolezza a causa di un silenzio ritenuto anomalo, se invece ne parla fornisce un indizio di
colpevolezza perché non può fare a meno di parlarne. Se l'imputato ha precedenti penali è pericoloso e deve restare in carcere, se invece non
ne ha occorre tenerlo in carcere comunque perché non essendo un omicida abituale potrebbe perdere il
controllo in qualunque momento (sono proposizioni sempre vere, non
falsificabili).
Nell'Assassinio
sull’Orient Express (forse il più celebre romanzo poliziesco di
Agatha Christie) in un continuo alternarsi di colpi di scena, fatti di falsi
indizi e depistaggi, Hercule Poirot arriva alla soluzione del caso mettendo insieme e
facendo combaciare i tanti tasselli sconnessi scartando via via le varie ipotesi, mettendole a confronto con gli ulteriori dati ricavati dall'indagine e alla molteplicità di moventi che solo un'osservazione empirica al
vaglio di potenziali falsificatori può far emergere. La conclusione
dell’indagine è davvero poco intuitiva: dodici pugnalate sulla vittima vibrate da dodici
diverse persone…
La verità nella scienza non
riguarda i fatti (esempio il Dna
compatibile con il codice genetico di un sospetto), ma le teorie che li
rappresentano all'interno di una configurazione deduttiva. Una teoria è vera
quando rispecchia i fatti (le sue conseguenze) che devono poter essere falsificabili
almeno in linea di principio. Non c’è alcuna teoria falsificabile dove esistono
dati di laboratorio orfani di un sistema indiziario dal quale non si possano
ricavare conseguenze confutabili
empiricamente. E non c’è neppure un sistema indiziario sulla base di elementi
tautologici, come ad esempio celle telefoniche e transiti in un ambiente di
vita condiviso che rimandano ad asserzioni non empiriche del tipo pioverà o non pioverà (sempre vere).
È pur vero che per falsificare
un’ipotesi ho bisogno di ipotesi ausiliarie. Potrebbe risultare falsa non
l’ipotesi sotto controllo, quanto piuttosto gli asserti usati per falsificarla.
Esiste una differenza tra la falsificazione
logica (sempre corretta) e falsificazione
metodologica che non sempre è corretta e conclusiva. Posso ad esempio
stabilire che x non sia figlio di y (il
padre legale) attraverso un’indagine genetica dietro un francobollo o su un cadavere.
Ma potrebbero proprio gli asserti (i controlli) usati per falsificare la
paternità a non risultare corretti. Solo nel caso che esistano falsificatori
empirici (ad esempio un test di paternità
tra x e il padre legale) si rende eventualmente falsificabile il risultato
scientifico dal quale risulta che la paternità di x non è y.
La letteratura, non solo
quella poliziesca ci ha dato un’idea piuttosto convincente, anche se in forma
suggestiva, del modus operandi dell’investigatore. Il commissario Maigret, buon
bevitore, burbero e amante della buona cucina, rappresenta l’istinto del
detective, quello che è in grado di immedesimarsi empaticamente coi personaggi
abbandonando il cliché d’un romanzo poliziesco d’élite sociologica (quello alla
Agatha Christie). Il commissario parigino impernia la sua indagine più che
sugli indizi materiali sul movente umano ed esistenziale. Rappresenta l’investigatore
che sa aspettare prima di saltare a conclusioni affrettate, dimostra la sua capacità
di ruminare con pazienza gli indizi prima di avventurarsi in un giudizio di
colpevolezza, al contrario di altri che senza indugio indicano il colpevole
prima ancora di fornire prove convincenti o che ricavano conclusioni
apodittiche fidandosi di un unico dato orfano di connessioni con un organico sistema
indiziario.
A chi chiedeva a Maigret quale
fosse il suo metodo, il commissario rispondeva di non avere un metodo - espresso nel bisogno di uscire dal suo ufficio - e di calarsi nell'ambientazione del delitto, nella personalità e nelle
idiosincrasie dei personaggi, per immergersi completamente nell'atmosfera
dell’inchiesta, talvolta con quel malcelato antagonismo con il giudice istruttore
e l’insofferenza per le pratiche burocratiche. Il personaggio di Maigret introduce
l’epistemologia di Paul Feyerabend
che trova in quel saggio Contro il metodo proprio un nesso
con l’atteggiamento un po’ dissacrante del personaggio del commissario parigino.
L’anarchismo metodologico di Paul Feyerabend, allievo di Popper e poi
suo critico, amico di Kuhn dal quale dissente pur nella stima, attacca la fede
incrollabile nell'empirismo e nel razionalismo. Sembrerebbe una posizione di
retrovia, per certi versi oscurantista. In realtà il filosofo austriaco mette
alla berlina l’intolleranza di un sapere che per certi versi riporta al
dogmatismo. È l’insofferenza a qualsiasi principio di autorità. Il pluralismo
teorico è essenziale in qualsiasi conoscenza che si proclami oggettiva, mentre
l’empirismo logico incoraggia l’uniformità metodologica e teorica più adatte a
una chiesa o a un partito politico. Lo
scienziato - per Feyerabend - non è il devoto delle leggi fondamentali custodite da
qualche sommo sacerdote, è un ‘opportunista’ che utilizza i risultati ai fini
della sua ricerca. Una posizione polemica che porta a sfumare qualsiasi
demarcazione tra sapere scientifico e altri ambiti conoscitivi (come l’arte, la
poesia e il mito). Per quanto tale posizione sia estremizzante è stata ripresa
anche da illustri scienziati che mettono in guardia dal dogmatismo metodologico.
La figura del detective
continua ad avere un fascino, come quella del criminologo, anche se il moderno Sherlock
Holmes si è un po’ annacquato con un armamentario tecnologico da laboratorio, così
lontano dalle situazioni reali, e senza più quell'olfatto in grado di
riconoscere a naso i caratteri organolettici di un delitto. Il moderno detective sembra
una macchina, nella quale la scienza attuale lo sta trasformando. Il processo è
analogo a quel test di Turing che cerchi di smascherare l’androide e che alla
fine non potrà che concludere che i robot siamo noi, indifferentemente vittime
o carnefici, macchine deterministiche con illusori gradi di libertà e dunque
prevedibili con un adeguato software criminologico.
Un altro illustre detective,
in veste letteraria, Guglielmo da Baskerville (Il nome della Rosa di Eco) persegue invece l’indagine con la logica
e il ragionamento, ma anche con il fiuto del segugio, senza darsi troppa pena
dei galli neri e dei riti satanici. Anche lì c’è di mezzo la
saliva, sulle pagine di un manoscritto greco custodito nella labirintica
biblioteca del monastero dove avvengono misteriosi delitti.
Alle volte non si
può mai sapere chi sfoglia le pagine avvelenate o chi lecca il retro di un
francobollo... in entrambi i casi, però, l’assassino potrebbe non essere quello
che ti aspetti che sia.
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Novità: Presto potrai ordinare e leggere "Outrage of Law", la versione americana de "La legge del Disprezzo"
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Il Rottamaio rottamato? Tanto va la gatta al lardo...
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S'i’ fosse foco... (a 'la demagogia de li politici mi c'appiccherei)
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Dal Don Rodrigo del Manzoni ai tanti Don Rodrigo della nostra politica
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Effetto farfalla, ovvero il Politico come specialista del niente
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Caso Scazzi: un'ipotesi basata sui potenziali falsificatori
Caso Scazzi. La vita è sogno...
Caso Scazzi – Logica e suggestione – Il tacchino di Russell
Caso Scazzi. Il sistema paese affetto da sindrome post traumatica?
Caso Scazzi. Un esperimento mentale
Caso Scazzi – Dialogo Socratico e Sarchiapone
Caso Scazzi - Il gatto di Schrödinger ed altri paradossi...
Caso Scazzi - Chi ha ucciso Sarah?
Caso Scazzi - Un nuovo format: dissoluzione dello spazio scenico. Mnemotecnica e...
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Per non parlare poi della matematica che con i suoi procedimenti sotto l’egida quantitativa presume di produrre sempre oggetti realmente esistenti.
RispondiEliminaCredo che l’essenza della matematica non abbia a che vedere con il “quantificare”; sono d’accordo con Georg Cantor: l’essenza della matematica è la libertà!
Inoltre reputo significative le seguenti parole attribuite al grande Hilbert: «Sai, per essere un matematico non aveva abbastanza immaginazione; ma ora è diventato un poeta e se la cava davvero bene...» (Hilbert, riguardo a un vecchio studente)
Parafrasando Bertrand Russell, ritengo che la matematica dovrebbe essere studiata non per amore delle risposte precise alle domande che pone, perché nessuna risposta precisa può essere data per vera con assoluta certezza, ma piuttosto va studiata per amore delle domande stesse che arricchiscono la nostra immaginazione intellettiva e aprono la mente alla speculazione …