Di Gilberto Migliorini
Nella Costituzione francese
del 1815, carta ottriata, cioè gentilmente concessa dal sovrano Luigi XVIII, si
sottolineano i rischi di una monarchia debole e si pone l’accento sull’autorità
del sovrano e la ‘stabilità sociale’.
In altri termini, l’autorità non appartiene al popolo ma viene a questo
graziosamente e unilateralmente concesso un surrogato (il vero detentore è il
sovrano o, nella concezione aggiornata al presente, la segreteria di partito
che stila le liste elettorali senza possibilità di esprimere preferenze e con
candidature multiple, con soglie di sbarramento diverse in ragione delle
alleanze); i sudditi non hanno diritti, in quanto la condivisione dell'autorità
è frutto della benevolenza del sovrano (o del partito), non una prerogativa di
libera scelta e di autonomia decisionale (se non per un sì o un no pleonastici).
La stessa redazione della Carta non è in forza di delegati del popolo, ma è
riferita ai saggi del re (o del partito in quanto plenipotenziario
dell’esecutivo). L'approvazione della Carta compete al monarca (o formalmente a
una assemblea espressione di accordi di partito e di un porcellum elettorale che decide le rappresentanze con proporzioni
truccate o addomesticate in ragione di un supposto criterio di governabilità
usato come passepartout).
La carta del 1815 (nonostante
voglia assumere le sembianze di una costituzione) è documento decisamente
reazionario: l'autorità non è il popolo, che non ha alcun altro diritto salvo
quello della certificazione formale del potere del sovrano (o modernamente delle
segreterie di partito e dei suoi plenipotenziari, monarchi uptodate). Il formalismo riguarda una sorta di codifica universale,
astrattamente democratica: è da ricordare che la camera dei Pari è una camera
non elettiva (la nomina dei pari appartiene al re).
Nello Statuto Albertino del
1848 che riprendeva il termine di Amedeo VIII di Savoia (rimasto in pratica in
vigore - formalmente - con modifiche fino alla costituzione del 1948 e preceduto
dalla Costituzione di Ferdinando II delle Due Sicilie e poi seguito da quella
del Granduca di Toscana e di Pio IX), si riprende la formula paternalistica
della carta concessa per benevola grazia del sovrano (una sorta di ansiolitico
nei confronti di liberali e democratici, più che altro un po’ di fumo negli
occhi) comunque nell’attualità politica di riforma costituzionale solo una
sponsorizzazione demagogica per gonzi di bocca buona. Il modello allora non era
più quello obsoleto di Luigi XVIII ma quello orleanista del 1830 e quello belga
del 1831 (Cavour in seguito si pronuncerà a favore di un Senato elettivo che
esercitasse una funzione di equilibrio rispetto alla Camera elettiva, sul modello
della Costituzione belga). L’evoluzione in senso parlamentare del regno
d’Italia (dopo il 1861) comporterà la perdita di importanza del Senato (di
nomina regia) nei confronti della camera dei deputati.
Col fascismo lo Statuto
diviene solo una costituzione formale. In ogni caso lo Statuto Albertino, pur
nella sua flessibilità, rimane ambiguo: Re, Camere e Governo sono più che altro
differenziazioni formali riguardo a un potere che non è mai compiutamente
parlamentare (per trovare qualche altro elemento di attualità col 2014 basta pensare all’influenza del re sulla politica estera e su quella militare). È da notare che il senato era di nomina
regia, vitalizio, mentre la Camera dei deputati di nomina elettiva censitaria e
maschile, a collegio uninominale e a doppio turno di elezione. Un bicameralismo
non perfetto, con il prevalere della camera bassa, anche se le leggi dovevano
essere approvate dalle due camere. L’attuale volontà di riforma del senato, insieme
alla riforma elettorale che in qualche modo ne è l’ispiratrice, più che volta
al futuro ricorda, in una regressione storica, le carte graziosamente concesse
a vario titolo e, nella sua moderna formulazione, la Camera dei Fasci e delle
Corporazioni del fascismo e i modelli delle democrazie autoritarie e
plebiscitarie alla Napoleone III (Il suffragio universale governato dall'azione
dei prefetti e dal disegno ad hoc dei distretti elettorali per diluire il voto
liberale nel voto rurale).
Il processo involutivo della
politica italiana, iniziato già negli anni ’80 del secolo scorso, sembra trovare
(purtroppo) coronamento con gli ultimi governi e in particolare con un sempre
più vasto disinteresse dell’opinione pubblica rispetto agli sviluppi della
politica della casta che ha trasformato il potere in senso consociativo, non
nel senso della governabilità (il solito nominalismo giustificativo di
qualunque ircocervo elettorale), ma in quello della spartizione. Gli italiani
sempre più disorientati e abbindolati dai mass media, da tempo non sanno più
riconoscere gli imbonitori e danno fiducia a chi li sta trascinando nel passato
‘glorioso’ dell’assolutismo e del
servilismo, e nei suoi modelli autoritari spacciati per innovazioni e
ammodernamento. Il modello fascista e autoritario, al di là del nominalismo con
il quale i partiti si ammantano di ideologia, da tempo è entrato a far parte
del DNA degli italiani, non solo come
fatto culturale, ma come forma mentis,
abito ideologico (il ritorno del rimosso
in senso psicoanalitico?). Forse il fascismo più che categoria politica è
categoria antropologica (e psico-attitudinale) dell’italiota che nonostante
tutta la buona volontà non è mai riuscito a liberarsi del virus nefasto
dell’autoritarismo culturale e della intolleranza politica unitamente alla
distopia progressista instillata con l’ago ipodermico del disimpegno e della
propaganda ammantate di modernismo.
Non si tratta questa volta della marcia su
Roma. Tutto avviene in modo soft, quasi indolore e con la complicità proprio di
alcuni di quei partiti e di quelle organizzazioni che si sono sempre spacciate
per antifasciste. Gli indizi sono inequivocabili e non appaiono evidenti solo a
chi non li vuole vedere:
1)
Si sta per esautorare una camera (il Senato) con motivi pretestuosi e senza un
dibattito pubblico e un referendum (come se non bastasse, attraverso un parlamento non legittimato).
2) Si sta per approvare una riforma elettorale assolutamente incostituzionale che
ribadisce aggravandoli i motivi di incostituzionalità del precedente Porcellum.
3) Si opera in modo da impedire l’eventuale esigenza di voto in tempi brevi.
4)
Svanisce la distinzione fisiologica, non solo tra maggioranza e opposizione (salvo
qualche eccezione) quanto tra esecutivo e legislativo (che di fatto hanno sempre
più confini incerti), sostituiti da un governo virtualmente invisibile fondato
su rapporti extraparlamentari - più simile a una nuvola evanescente di relazioni
informali e patteggiamenti in ombra e dietro le quinte.
5)
La tv di stato (e non è l'unico mezzo di informazione) appare perfettamente allineata con l’esecutivo
diventando di fatto la sua cassa di risonanza acritica e deferente.
6)
Avanzano i primi segni di un tentativo di intimidazione del dissenso anche
irridendo illustri costituzionalisti che mettono in guardia dalle fughe in
avanti e dai rischi autoritari.
7) Prende piede un’estetica
futurista della velocità (correre sulle riforme intese come nuvole episodiche
ed eclettiche, modelli tra il barocco e il liberty), del cambiamento inteso
come slogan e come fuga in avanti, improvvisazione
fondata sulla caducità e sulla frammentazione, sul decostruzionismo, sul
relativismo e sull’avventurismo (indifferenza alla coerenza e asservimento alla
logica del montaggio e del collage).
C'è da star certi che il risveglio sarà dei più
amari, vista la nuova classe dirigente senza idee e senza background culturale che sta
per destrutturare il paese dopo il lungo intervallo politico di decadenza
politico-culturale che ha preparato il terreno alle forme di avventurismo
estremo e di mancanza di valori.
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Il Parlamento di Oggi?
RispondiEliminaDa Cittadino neutrale lo paragono al Mercato delle Vacche.
Da ragazzino andavo a scuola a la Dante Alighieri di Firenze
Ricordo che in piazza della Signoria tutti i venerdi Sensali e Contadini si incontravano per discutere eventuali compra vendite.
I Contratti?
li sigillavano sputandosi sulla mano prima di stringersela.
Ciò che ci differenza dal Passato? La Mancanza di serietà e il non rispetto della parola data per Disonestà.
PS L’Utopia che vorrei
Semplice licenzierei tutti i Parlamentari onorevoli e senatori compresi i partiti che li rappresentano
Io paragonerei L’Italia ad una grossa azienda che non ha bisogno di partiti per essere amministrata
Ma di un Amministratore Delegato (Eletto dal Popolo)con l’obbligo di stipulare una assicurazione di tasca sua( Con durata quinquennale ) se i conti annuali risulteranno in regola. gli verrà rimborsata.
Se i conti non tornano ? chi ha sbagliato pagherà i danni creati e il costo delle elezioni di tasca sua
Il tutto vale anche per i presidenti Regionali e i Sindaci anche loro Eletti dal Popolo
( le provincie le abolirei)
Comuni e Regioni sceglierebbero un rappresentante ciascuno che andrebbero a far parte del consiglio di Amministrazione alle dipendenze de l’Amministratore Delegato
Che gestirà solo le spese per le Opere pubbliche d’interesse Nazionale facenti parte il programma quinquennale Votato da gli Elettori .
Scartando le spese non facenti parte i programmi non votati dal Popolo delle singole Regioni
Avranno priorità assoluta solo le spese dovute a calamità Naturali.
Con l’obbligo ogni fine anno di presentare la nota delle spese sostenute dalle Regioni
I Sindaci le spese Annuali le presenteranno alla loro Regione ha sua volta ogni singola Regione dovrà presentare la nota delle spese annuali A l’Amministratore delegato
Con questa doppia documentazione si terrebbero d’occhio l’uno con l’altro.
Provate ha fare i conti sul risparmio che ci sarebbe di tempo e di Danaro col tempo annulleremo il debito Pubblico riattivando L’Economia per dare quel Futuro che oggi non c’è ai Giovani.
ps DIVULGO ciò che penso nella speranza che persone colte possano estrapolare il meglio da i miei commenti e completarli con parole più consone. VITTORIO
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RispondiEliminaDa Cittadino neutrale lo paragono al Mercato delle Vacche.
Da ragazzino andavo a scuola a la Dante Alighieri di Firenze
Ricordo che in piazza della Signoria tutti i venerdi Sensali e Contadini si incontravano per discutere eventuali compra vendite.
I Contratti?
li sigillavano sputandosi sulla mano prima di stringersela.
Ciò che ci differenza dal Passato? La Mancanza di serietà e il non rispetto della parola data per Disonestà.
PS L’Utopia che vorrei
Semplice licenzierei tutti i Parlamentari onorevoli e senatori compresi i partiti che li rappresentano
Io paragonerei L’Italia ad una grossa azienda che non ha bisogno di partiti per essere amministrata
Ma di un Amministratore Delegato (Eletto dal Popolo)con l’obbligo di stipulare una assicurazione di tasca sua( Con durata quinquennale ) se i conti annuali risulteranno in regola. gli verrà rimborsata.
Se i conti non tornano ? chi ha sbagliato pagherà i danni creati e il costo delle elezioni di tasca sua
Il tutto vale anche per i presidenti Regionali e i Sindaci anche loro Eletti dal Popolo
( le provincie le abolirei)
Comuni e Regioni sceglierebbero un rappresentante ciascuno che andrebbero a far parte del consiglio di Amministrazione alle dipendenze de l’Amministratore Delegato
Che gestirà solo le spese per le Opere pubbliche d’interesse Nazionale facenti parte il programma quinquennale Votato da gli Elettori .
Scartando le spese non facenti parte i programmi non votati dal Popolo delle singole Regioni
Avranno priorità assoluta solo le spese dovute a calamità Naturali.
Con l’obbligo ogni fine anno di presentare la nota delle spese sostenute dalle Regioni
I Sindaci le spese Annuali le presenteranno alla loro Regione ha sua volta ogni singola Regione dovrà presentare la nota delle spese annuali A l’Amministratore delegato
Con questa doppia documentazione si terrebbero d’occhio l’uno con l’altro.
Provate ha fare i conti sul risparmio che ci sarebbe di tempo e di Danaro col tempo annulleremo il debito Pubblico riattivando L’Economia per dare quel Futuro che oggi non c’è ai Giovani.
ps DIVULGO ciò che penso nella speranza che persone colte possano estrapolare il meglio da i miei commenti e completarli con parole più consone. VITTORIO