L'uomo si vide perduto: il terror della morte l'invase, e, con un senso per avventura piú forte, il terrore di diventar preda de' monatti, d'esser portato, buttato al lazzeretto. E cercando la maniera d'evitare quest'orribile sorte, sentiva i suoi pensieri confondersi e oscurarsi, sentiva avvicinarsi il momento che non avrebbe piú testa, se non quanto bastasse per darsi alla disperazione. Afferrò il campanello, e lo scosse con violenza. Comparve subito il Griso, il quale stava all'erta. Si fermò a una certa distanza dal letto; guardò attentamente il padrone, e s'accertò di quello che, la sera, aveva congetturato. - Alessandro Manzoni - I Promessi sposi cap 33 -
Quale sarebbe oggi la sorte di
Don Rodrigo in una trasposizione contemporanea della vicenda narrata dal
Manzoni? La domanda è meno oziosa di quanto sembri, non solo perché con i
progressi della medicina la sorte dell’eroe negativo forse non sarebbe segnata
(magari salvato in extremis con il farmaco di ultima generazione, forse perfino
trasfigurato da un’improvvisa metamorfosi spirituale registrata e certificata
mediaticamente, trasmessa e commentata in diretta televisiva); ma soprattutto
perché proprio lui (il nobilotto
mediocre e criminale) ha dato alla vicenda, grazie al suo capriccio, la
possibilità di manifestare quel tema della provvidenza così caro al Manzoni. È
per l’appunto la macchina narrativa della volontà divina a mettere alla prova
un amore davvero contrastato per i due aspiranti consorti, argomento più
importante delle sorti dei malvagi che in zona
Cesarini raddrizzano (forse) la loro perversa esistenza. Ma oggi? Come
avrebbe potuto dipanarsi una vicenda come quella di Renzo e Lucia? No, non
voglio avventurarmi in quella che potrebbe diventare soltanto una parodia
dell’opera manzoniana. I nostri personaggi (i protagonisti) è giusto che
vengano lasciati intonsi a riposare nelle pagine (e nell’immaginario
collettivo) dell’opera manzoniana, così come quel commiato struggente: “addio ai monti sorgenti dall'acque ed
elevati al cielo” - che sembra come cristallizzare la vicenda nell’epoca
imprecisata delle suggestioni letterarie senza tempo.
Ma la figura di Don Rodrigo -
spietato e immorale, ma anche cinico e vigliacco - è forse l’antesignano di
tanti personaggi spregiudicati del nostro tempo in quella Hit Parade che vede
incontrastato al top della classifica anche qualche protagonista della vita
politica? È quello che consideriamo, ciascuno a suo arbitrio, l’eroe negativo
per antonomasia, l’uomo di potere che riteniamo avverso al nostro modo di sentire e di concepire l’interesse
collettivo. Ognuno ovviamente è libero di scegliersi come antieroe quello che più gli aggrada, perfino di far di ogni erba un fascio, se gli piace, di tutti
quei rappresentanti dell’opportunismo tra i quali figurano anche avventurieri
della res publica. Salvo avere
l’accortezza di considerare le note che seguono più come un riferimento
all’ambientazione sociale di un’epoca (la nostra) e non a dei tratti biografici
che potrebbero adattarsi del tutto casualmente a qualche personaggio del circo
politico (e/o mediatico) con riferimenti puramente fortuiti... Quello che ciascuno
di noi immagina come emblematico del malaffare è a suo completo e arbitrario
giudizio. In realtà le persone passano, i rappresentanti, anche dopo un ciclo di
vita politica più o meno lungo (talvolta quasi interminabile), non vengono
rieletti o si appartano volontariamente in qualche residenza fuori dal mondo, ma dove possono
comunque, eventualmente, orchestrare e pianificare da una posizione defilata...
Ciò che rimane sono i caratteri, le maschere e soprattutto i valori (o
disvalori) che essi rappresentano ed incarnano nel bene e nel male.
Don Rodrigo sarà tradito
proprio dal Griso, il suo fedele
servitore. Ma la politica come l’immagina il Manzoni, calando il suo romanzo
nel periodo della peste nel seicento, sembra già contaminata da certe
idiosincrasie della sua epoca, l’800. Solo nella Storia della colonna infame lo spirito documentario prende il
sopravvento sul tema letterario (deludendo i lettori dell’illustre milanese che
si aspettavano un affresco sul genere del Romanzo, ma di certo non una
telenovela di quelle che oggi ci vengono propinate non solo sotto forma di
fiction televisiva). Manzoni utilizza probabilmente le categorie antropologiche
riferite alla prima metà del secolo del romanticismo, nonostante lo scrupolo
storico e filologico con il quale si è calato nell’epoca del barocco, il ‘600.
Ma l’uomo politico della fine del ventesimo e inizio del ventunesimo secolo ha
acquisito una sfrontatezza, una pervicacia, una astuzia che farebbero
impallidire il povero Don Rodrigo, al
confronto un provincialotto presuntuoso e arrogante, un dilettante del
malaffare. La provvidenza lo condanna a morte certa, con un ritratto romantico
da personaggio pittoresco (soprattutto nella prima stesura del Fermo e Lucia) che nel momento del
trapasso potrebbe riscattarsi da una vita indegna, nel cliché del ravvedimento
nell’ora estrema e con accorto tempismo. In fondo piace un po’ a tutti l’dea
che per quanto gravi e profondi siano i nostri peccati basti quell’estrema
contrizione per lasciare il demonio a bocca asciutta.
Ma certi ritratti
machiavellici (di simulatori e dissimulatori) - al confronto con l’uomo
politico attuale - sembrano esili controfigure di quel principe rinascimentale,
solo la pallida effige di un odierno reggitore (fosse anche un papa dissoluto e
libertino - de Borja o Borgia - come Alessandro VI). Oggi il principe (si fa per dire) ha nel suo carnet non solo la conoscenza della
natura umana che l’indagine di Machiavelli mette a nudo proprio attraverso l’arte
di governo, ma anche la conoscenza della psicologia sociale e delle pubbliche
relazioni, non solo la diplomazia, ma quelle conoscenze riferite alle società
di massa (che il fascismo e il nazismo hanno portato alle estreme conseguenze).
Quei mass-media che hanno consentito un’influenza sempre più capillare
sull’audience con dei veri laboratori a
cielo aperto: sistemi di rilevazione elettronica e schedature secondo
precisi metodi statistici. A fronte di un discorso sulla privacy, e sulla sua
salvaguardia, di fatto tutta la storia moderna dal Rinascimento fino ai nostri
giorni è costituita dalla progressiva dissoluzione degli spazi interiori
attraverso la più completa trasparenza, degli outing più o meno indotti e spontanei, e fino allo spionaggio
sistematico a cui sono sottoposti (quasi) tutti i cittadini del mondo, grazie
ai sistemi esperti di analisi automatica di ultima generazione, con il filtro
di parole chiave.
Il pubblico da mero
profilo sullo sfondo, anonimo e indeterminato, è diventato prima l’audience e
poi il target di un processo con il quale trasformare la massa amorfa in uno
strumento di persuasione, un attore sociale per interposta persona. Non a caso
alcune delle opere che figurano con l’esordio nell’editoria di uomini politici
editori e imprenditori, guarda caso, sono titoli come Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam, Utopia di Tomaso Moro e proprio Il
Principe di Machiavelli, antesignani di un’analisi della società del loro
tempo. Ma si potrebbe anche citare L'arte
della guerra, un trattato di strategia militare attribuito, al generale Sunzi (Sun
Tzu) e la
concezione confuciana del jūnzi, della nobiltà d'animo e delle virtù
insegnate ai futuri uomini di potere.
Ma non è davvero il caso di
lasciarsi ingannare, la distanza tra la teorizzazione del Principe di Machiavelli e il Politico
attuale è davvero rilevante. Si può essere indotti a considerare l’arte del
governo in una dimensione antropologica dove permangono immutati i leitmotiv e le costanti caratteriali che
contraddistinguono l’umana natura. Si tratta in realtà di figure e icone lontane
tra loro con una somiglianza solo di facciata.
L’immagine
di don Rodrigo che giace su un letto di
morte (un pagliericcio nel lazzaretto) ha qualcosa di fatale che riscatta
l’ignominia dell’uomo che ha buttato nella tribolazione due giovani vite: “Stava l'infelice, immoto;
spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie
nere; nere ed enfiate le labbra: l'avreste detto il viso d'un cadavere, se una
contrazione violenta non avesse reso testimonio d'una vita tenace. Il petto si
sollevava di quando in quando, con un respiro affannoso; la destra, fuor della
cappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide
tutte, e sulla punta nere.” - I Promessi sposi cap. XXXV
L’icona
richiama un sentimento di misericordia e di perdono, tant’è che non solo il
lettore è mosso a pietà, ma lo stesso Renzo, un attimo prima fautore di
vendetta, alla vista dell’uomo nel dolore e in prossimità della morte, è
indotto perfino a pregare per la salvezza della sua anima. Nelle
raccomandazioni di Padre Cristoforo: Forse il Signore è pronto a concedergli un'ora di ravvedimento; ma voleva
esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi con quella innocente; forse serba la grazia alla tua sola preghiera, alla preghiera d'un cuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest'uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione... d'amore! I
Promessi sposi cap. XXXV
Certo
non si può escludere che anche oggi un politico corrotto possa essere pronto a
un ravvedimento dell’ultima ora. No, non lo possiamo escludere, per carità
cristiana. Purtroppo è assai più probabile che perfino il pentimento, quando
proprio non ci sia nessun’altra sortita da tentare - perché un inganno è stato
scoperto e un’infamia smascherata – e… la costernazione (simulati con animo
ispirato e posa teatrale) possano davvero diventare l’estrema ratio per muovere
l’elettorato a compassione. La teatralità è davvero parte di quello scenario
politico per dirla con garbo orwelliano: “I
pensatori della politica si dividono generalmente in due categorie: gli
utopisti con la testa fra le nuvole, e i realisti con i piedi nel fango”. George Orwell, Gli anni dell'Observer, 1942/49
Oggi
l’arte del governare coincide con quella di tenersi sempre a galla, navigare a
vista, piegare qualunque occorrenza non tanto ad un fine politico (che
rappresenta più che altro uno specchietto per le allodole) ma ad uno scopo
personale (usare la politica come un plus
e benefit per dare vento, e vanto, alle
proprie vele). Il machiavellismo pur nella sua amoralità comporta pur sempre un
fine (buono o cattivo) che è intrinseco all’arte del governo e alla sua logica di
potere. Nella congiuntura delle moderne democrazie si tratta di un discorso a
corto respiro, per quanto ammantato di ideali e promesse, è solo il proprio
interesse che coincide con quello del gruppo di appartenenza come referente (e
una capacità da vecchio lupo di mare di saper fiutare dove soffia, o soffierà,
il vento). È lì che il cavallo di razza sa stare al passo coi tempi, cavalcando
l’onda e addirittura anticipando con accorta regia le mosse dei suoi avversari.
Il moderno Don Rodrigo avrebbe scelto con cura il truccatore per far sembrare
realistica la scena della sua dipartita (senza omettere di dare al personaggio
quell’aura da martire, quell’alone da vittima sacrificale con l’allusione a torbidi
retroscena - l’immancabile dietrologia della cospirazione - per esser stato tradito
e buggerato). Per questo avrebbe preferito il più logoro dei pagliericci
(accentuando ed estremizzando la sua condizione decaduta), e naturalmente una
regia non convenzionale con luci livide e taglienti e uno sfondo di suoni
agonizzanti che avrebbero dato alla scena un che di lugubre ma anche di pietoso
e commovente.
La sceneggiatura avrebbe mantenuto di sicuro il personaggio del cappuccino
- il frate scalzo esercita pur sempre il fascino scabro ed essenziale dell’uomo
di fede - la garanzia sobria e disadorna dell’onestà incorruttibile; una
ambientazione essenziale, priva di fronzoli, a significare la metafora del
ravvedimento, ma anche quella dell’innocenza e del complotto ai suoi danni: un
uomo pentito e forse perfino ingiustamente accusato colto in uno stato di
prostrazione e di sofferenza, l’immagine del sacrificio e della penitenza. Chi
di fronte a una regia che sapesse mescolare con sapiente alchimia il sacro e il
profano, il dolore e la contrizione, non sarebbe mosso a pietà? Il reprobo
rischierebbe perfino in quel momento di desolante afflizione di subire lì per
lì un processo di santificazione, dalla polvere sull’altare. Un telespettatore
commosso seguirebbe in diretta tutte le fasi del trapasso dell’uomo
trasfigurato dalla redenzione.
“Forse
il Signore
è pronto
a concedergli un'ora di ravvedimento; ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi con quella innocente; forse serba la grazia alla tua sola preghiera, alla preghiera d'un cuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest'uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione... d'amore!” I
Promessi Sposi cap 35.
Sembra evidente che la morte
di un moderno Don Rodrigo sarebbe solo apparente, si tratterebbe per l’appunto
di quello stato propedeutico alla rinascita, un travaglio per riemergere
trasformandosi da bruco in farfalla. Il politico di professione ogni tanto
scompare dalla scena, giusto un po’, per ripresentarsi al secondo o al terzo
atto dell’umana commedia e senza porre limiti alla provvidenza... e alla sua
sopravvivenza, magari perfino sotto mentite spoglie. Un Ulisse che ritorna in
incognito per far strage dei suoi nemici, ma anche di quelli che un tempo si
dichiaravano amici, i traditori. In realtà l’elettore (e sostenitore) possiede
solo quella memoria a breve termine (quella indotta dalle pause pubblicitarie
del film di cui è pur sempre fruitore, e protagonista immaginario), solo
spezzoni dove la scena finale è l’unica che conta dopo l’ultimo interminabile short pubblicitario col quale si
dimentica qualunque altro antefatto per quanto orribile e conclamato. In fondo
quando si nasce si è sempre belli e quando si muore si è sempre buoni.
Par di
sentire le lamentazioni delle prefiche con i capelli sciolti che cantano
lamenti funebri levando lodi al morto, graffiandosi la faccia e strappandosi i
capelli, tessendo le lodi del defunto (un caso peraltro di morte
apparente per aritmia ipocinetica) ed esaltando la disperazione per la sua
perdita, incolmabile (lui - o lei – che aveva il dono taumaturgico, con la
semplice imposizione delle mani guariva perfino il malocchio). Un sant'uomo
vittima di macchinazioni e di calunnie. Chi rinasce poi è doppiamente bello e
buono, e in fondo una défaillance in
politica è solo il trampolino per ulteriori sorti magnifiche e progressive. La
morte in politica non è un evento biologico, è soltanto uno stato di
sospensione, vita raggelata, in attesa del risveglio come per Lazzaro, (ri)alzati e cammina.
Il moderno uomo politico non è
soltanto attore, ma anche sceneggiatore e regista, per quanto possa avvalersi
di bravi professionisti nella cura della sua immagine (condita di rimmel e
fondotinta e talvolta di una sana attività filantropica). In fondo è proprio lui
a decidere quale dev’essere il copione, la scenografia e perfino le comparse
che talvolta danno perfino l’illusione di saper recitare, di essere attori per
davvero, e non di saper fare soltanto il portavoce o… il portaborse. È evidente
che qui si parla dei pezzi da novanta, non di quegli ammennicoli, letterine o
paroline, che hanno giusto quel ruolo di contorno come si addice al corteo di
un principe, sia pure nella cornice delle moderne democrazie rappresentative
che hanno bandito la corona e lo scettro perché troppo allusivi. Per sembrare
munifico e moderno il nuovo principe si contorna di guappe in carriera, ma non
disdegna gli adulatori e gli eccentrici, i cantastorie e i contaballe, in fondo
gli arredi e le scenografie hanno una loro importanza. La tappezzeria di belle
presenze, soprattutto se echeggiano i pensieri e la filosofia del Maître à penser, rallegra l’ambiente, dà
un’aria giovanile e modernizzante perfino a idee un più logore e degradate,
ravviva gli argomenti in discussione con battute gioviali, e talvolta un po’
pecorecce, che danno al personaggio un cliché da commilitone o di compagno di
merende. Per i collaboratori più fidati (ma il politico scafato sa che di
veramente fidato c’è solo il proprio cane) si avvale di uomini di provata fede (l’instrumentum regni sul quale non
si può discutere è soltanto l’amore indiscusso per la propria immagine riflessa
allo specchio).
Perfino il traditore, il Griso, sarebbe oltremodo funzionale
alla sceneggiatura di un moderno interprete dell’arte del galleggiamento.
Passare per vittima è davvero il Coup de théâtre che può dare alla
sceneggiatura una marcia in più. Appare poco importante che i due (Don Rodrigo
e il suo bravo) siano canaglie, l’uno
un tirannello e l’altro opportunista e violento. Il tradimento, soprattutto se
orchestrato e simulato platealmente, costituisce un elemento di riscatto. Vien
fatto valere ostentatamente con quel linguaggio suggestivo che sempre induce le
anime sensibili e appassionate alla commozione. È lì che avviene una sorta di ribaltamento.
Il poveretto è stato tradito, lui voleva far del bene al suo popolo di fedeli e
invece è stato pugnalato alle spalle. Insomma, è il melodramma con una capacità
davvero sorprendente di capovolgere anche le situazioni all’apparenza
irrecuperabili. Un libretto con tutte le battute, le didascalie e con
l’indicazione degli assieme e degli assoli. Si tratta di quella regia che non
lascia nulla al caso, neppure le proprie disgrazie. Una historia calamitatum che all’occorrenza si trasforma in un’aria
appassionata dove anche il personaggio più corrotto può trovare consonanza
nella messinscena di scenografia, regia, coreografia e naturalmente…
recitazione con quel plauso da parte di un pubblico così ben assuefatto agli
sceneggiati, di bocca buona e da vero intenditore di fiction... L’arte della
recitazione, con tutto il suo repertorio di luoghi comuni e di trovate ad
effetto, fa sempre presa su un’audience abituata alle telenovele ridondanti e
ripetitive, nelle quali la storia si ripete e si allunga in una sbrodolata che
non arriva mai al dunque, ma che tiene pur sempre tutti col fiato sospeso.
Se poi fa all’uopo, il caduto in disgrazia può perfino
umiliarsi, piegarsi di fronte a un nemico che non si riesce a vincere,
ammettere i propri errori e fare atto di sottomissione, insomma andare a Canossa, ma non come Enrico IV che attese per tre
giorni e tre notti, nel clima glaciale dell’inverno del 1077, scalzo e vestito
solo di un saio (ecco nuovamente l’icona del frate) prima di essere ricevuto e
perdonato dal papa Gregorio VII, con
l'intercessione di Matilde di Canossa. Per
quanto la regia contempli perfino l’uso del cilicio, il digiuno e l’astinenza, lo stridor di denti, si tratta pur
sempre della finzione teatrale, di quei simboli adottati per la diretta,
differiti all’occorrenza e indossati come costumi e oggetti di scena.
Insomma Don Rodrigo
aggiornato, riveduto e corretto secondo i canoni massmediatici sarebbe non solo
più scaltro ma anche più popolare di Renzo, un contadino che si occupava del
suo poderetto quando scarseggiava il
lavoro come operaio filatore di seta, sempliciotto e un po’ ingenuo. Oggidì i
personaggi senza scrupoli e soprattutto benestanti ed affermati politicamente
hanno un’aura di santità che il denaro e il potere rendono davvero irresistibili
agli occhi delle veline e degli arrivisti in carriera. Se poi hanno il carisma
giusto diventano icone e modelli, forme ideali dell’empireo platonico, creature
angelicate da una schiera di supporter ammaliati.
Si può discutere se un politico sia un buon attore? È il
migliore in assoluto. Chi arriva in alto nell’organigramma deve aver dimostrato
di conoscere tutti i trucchi del mestiere, compresa la caduta in disgrazia, la
morte apparente, la peste e perfino l’affidamento ai servizi sociali in luogo
del carcere. Quale migliore occasione per mostrarsi accanto a uno stuolo di
orfanelli, a farsi fotografare mentre si pulisce la padella di un lungodegente,
immortalato allorquando si accudiscono i ragazzi disabili, si tiene lezione di
marketing a un gruppo di extracomunitari o addirittura di catechismo a dei
mammalucchi. È la magia della provvidenza, del ravvedimento e del perdono. Il
popolo televisivo potrebbe davvero arzigogolare sul personaggio, protestare,
commuoversi, inveire, intenerirsi… perfino imitare lo sventurato offrendosi come
volontario in un nosocomio e gridare allo scandalo per il povero disgraziato
costretto a lavare i piedi a qualche avversario politico.
In effetti il personaggio
antagonista del povero Renzo sembra più interessante quando, come tutti,
subisce le sorti dell’avversa fortuna. Ma nel suo caso, non sai mai bene se la
disgrazia che lo colpisce tra capo e collo - mandandolo al tappeto e a morte
prematura, politicamente parlando - sia il prodotto di quel fiume della fortuna
di cui ci parla Machiavelli, o sia soltanto l’escamotage con il quale il
reprobo volge a suo favore la sorte avversa mediante un ardito contrappunto.
L’operazione non è priva di rischi e di azzardi, si tratta di ribaltare a
proprio vantaggio una situazione apparentemente compromessa. Ma è proprio lì
che la psicologia e il fiuto del politico navigato fanno la differenza.
Nelle parole emblematiche
dello stesso Machiavelli: “degli uomini
si può dire questo generalmente, che sono ingrati, volubili, simulatori e
dissimulatori, fuggitivi de’ pericoli, cupidi di guadagno” ( Principe cap.
XVII).
Ma forse sarebbe meglio immaginare gli uomini, come una massa, più
simile agli eserciti di manovra, con un generale che muove le sue truppe usando
la potenza di fuoco dei mediatori di massa, la stampa, ma soprattutto la TV. Forse
per questo è più emblematica L’arte della
guerra di Sun Tzu o quella stessa Dell’arte
della guerra di Machiavelli che possono essere intese anche come allegorie
di quella massa amorfa e strumentale che più che altro è un’onda d’urto, un
pattern da plasmare in quell’aggregarsi e disaggregarsi, ricomporsi e talvolta
perfino retrocedere in una ritirata strategica: un esercito mosso
dall’intelligenza del suo capo che trasmette gli ordini rapidamente attraverso
i luogotenenti e che dei suoi uomini fidati
conosce bene difetti e debolezze (e per questo può ricattarli alle bisogna).
Insomma il moderno Don Rodrigo più che uno stuolo di bravi al suo servizio, un
piccolo esercito personale per esercitare violenze e coercizioni, possiede
l’esercito sconfinato dei supporters, anonimi ma prevedibili statisticamente
come consumatori di illusioni, la suggestione indotta dai beni materiali e dai
processi di identificazione col capo.
La ritirata rappresenta
allora, se ben orchestrata e diretta con intelligente astuzia, la premessa del
contrattacco. Come dice Sun Tzu ne L’arte della guerra: “Evita di ripetere le tattiche vittoriose
del passato. Perché la forma deve essere suggerita dalla infinita varietà delle
circostanze” e “L’abile condottiero
non segue uno shih (il controllo sugli altri) prestabilito e non mantiene una forma immutabile”.
In fondo le truppe nella moderna
società dei consumi, non solo sono amorfe, sono anche mosse da una
pseudo-intelligenza programmata (e se è il caso riprogrammata) per una nuova
strategia. Riplasmare l’esercito, dare una nuova forma all’opinione corrente,
rimodularne i toni e la drammaturgia, ricrearne il profilo in un diverso
modello... ma sempre mantenendo l’illusione (al volgo machiavellico) che le
truppe si muovano per una loro autonoma e intelligente volontà, come se per
davvero fossero interpreti della storia e non soltanto pedine da spostare. La
differenza tra l’esercito dei bravi (o gli eserciti di Sun Tzu) e il moderno
target della società industriale avanzata, è in quella prerogativa di
quest’ultima a creare l’illusione di un esercito virtuale, inesistente, eppure
corposo, pervasivo e onnipresente. Un esercito di consumatori isolati, anonimi
e lontani, robottini che pure si muovono all’unisono, a comando, con movimenti
geometrici e precisi, come se davvero seguissero ordini invisibili dati dal
loro capo senza divisa e senza baionetta.
L’immagine un po’ romantica di
un Don Rodrigo affossato nel suo giaciglio di morte, appare perfino ingenua e
patetica di fronte alla capacità proteiforme del Politico attuale, abituato a muoversi sui terreni più infidi e
imprevedibili. Allora perfino la peste, per un uomo assuefatto a qualsiasi
imprevisto, è solo un incidente di percorso che, per quanto sgradevole, non
rappresenta certo un ostacolo insormontabile, soprattutto per chi è abituato a
preparare una strategia alternativa per ogni occorrenza e caso inatteso,
compresa quella fortuna avversa che
fa parte dell’universo umano e della imprevedibilità degli eventi. Ancora nelle
parole di Machiavelli “Perché il nostro
libero arbitrio non sia spento, iudico poter esser vero che la fortuna sia
arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare
l’altra metà…” (Principe c. XXV)
Solo alla morte non c’è
rimedio? Qualche volta, loro, i morti, ritornano, ed è allora che - come nel
film “La notte dei morti viventi” (diretto
da George A. Romero) - finiscono per zombizzare
i vivi - i morti risorgono per nutrirsi di carne umana e contagiare i vivi a
causa delle radiazioni emesse da una sonda sperimentale (i soliti messaggi
subliminali tanto invisibili quanto efficaci). A farne le spese sarà qualche
sprovveduto e inesperto consumatore attardato ad ascoltare via etere i consigli per gli acquisti o addirittura
a leggere le istruzioni per l’uso del
condom di ultima generazione senza avvedersi che lo prenderà in quel posto.
Ma in fondo il moderno Don
Rodrigo è più simile a un personaggio da film slapstick che a un film horror,
si tratta di quel sincretismo di una comicità un po’ cialtrona e un po’
drammatica, dove perfino il lieto fine è una costruzione immaginaria. Quella
italiana poi è una slapstick comedy, una
comicità sbatacchiata alla cretinetti o alla ridolini (in fondo tra il comico e
il tragico c’è solo un esile e inconsistente diaframma, quello slow bum che precede la battaglia delle
torte in faccia. Il target, come al solito, le assaggia tutte. - Gilberto M. -
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Discorso assai complesso il tuo, carissimo Gilberto, e che offre spunti vari ed altrettanto complessi di discussione. Certo, il politico d'oggi ha qualcosa del don Rodrigo e del suo caro cugino consigliere di nefandezze, sicuramente nulla dell'Innominato. Ma oserei dire, in sintesi, che il politico (meglio: il partitocrate) dei nostri tempi, e non solo italiano, è una caricatura microscopizzante di don Rodrigo, non ha nemmeno il coraggio o l'audacia di tentare il male, non certo per scrupoli di coscienza, ma solo per una tristissima piccineria.
RispondiEliminaCarissimo Manlio
RispondiEliminaNon mi pare che un politico (o partitocrate) non possa avere il coraggio di tentare il male. Certo bisogna intendere cos’è il male. Non si tratta comunque di qualcosa di convenzionale. Il male per sua natura non si lascia definire, è sfuggente e proteiforme, spesso si cela sotto mentite spoglie. Nelle società avanzate si sa mimetizzare e contraffare. L’attuale Don Rodrigo potrebbe avere il volto angelico dell’innocenza e l’anima nera della perfidia. D'altro canto lo stesso Don Rodrigo manzoniano ha più che altro i caratteri del codardo.
Gilberto
Vedi, carissimo Gilberto, quando don Abbondio vede i due bravacci lungo la strada che lo porta a casa, e gli dicono "Questo matrimonio non s'ha da fare, né domani né mai", intuisce subito chi li manda. Questo perché un don Rodrigo, quantunque codardo (ma non dimentichiamo che, quando si accorge del tradimento del Griso, corre alla spada, ma non riesce per il male in corso a reagire uccidendolo), è pur dominato dal suo senso feudale-barocco dell'onore. Ha scommesso col cugino il rapimento e rapimento sarà, anche se fallito per "divina provvidenza". Quindi codardo sì, ma mai come i partitocrati dei nostri tempi. Vorrei vederli duellare all'arma bianca, come fece un Cavallotti. Oppure ordinare rapimenti di donne, senza preoccuparsi (data l'organizzazione sociale del tempo, ma pur vietati dalla legge) di eventuali conseguenze. Don Rodrigo è un miserabile, ma i nostri attuali rodrighetti, alla infinitesima potenza negativa, sono infinitamente più miserabili ancora.
RispondiEliminanon si capisce nulla .
RispondiEliminaè un miscuglio di fregnacce
Se non capisce ciò che è scritto, illustre ed Innominato Anonimo delle ore 13.32 del corrente 2 novembre 2013, come fa a sapere che sono fregnacce ?
RispondiEliminaGrazie Manlio
RispondiEliminaPurtroppo la televisione è riuscita ad appiattire tutto e la lettura è diventata una eccezione che conferma la regola: banalizzare e semplificare. L'ironia e la metafora risultano incomprensibili a chi in genere non legge né testi letterari e né testi scientifici. Gilberto
Carissimo Gilberto amico è compagno di mille avventure buona Domenica.Trovare il Don Rodrigo tra i nostri politici non credo sia un'impresa ardua,basta che ti guardi intorno o accendi il televisore è li vedi in tutte le loro forme.Di fetenti in giro c'è ne sono tanti,di piccola e media grandezza,parlano tanto ma concludono poco,il coraggio se non c'è l'hai non te lo puoi dare disse il buon Don Abbondio,beh, questa è la giustificazione che Don Abbondio dà della propria ignavia, è nella vita ci sono tanti, forse troppi, Don Abbondio.
RispondiEliminaPer fortuna, ci sono anche tante persone che si sentono vigliacche e che poi, messe alla prova dalla vita, tirano fuori un coraggio da leoni! Ciao caro Gilberto
Sì Vito
RispondiEliminaPerò ci sono anche tanti ipocriti che predicano bene ma che alla prova dei fatti si tirano indietro... (razzolano male). Insomma ce n'è per tutti i gusti.
Ciao
Gilberto