Browning 6.35 che ha ucciso Carlo Mazza |
Chi lo conosceva bene diceva che Carlo era cambiato, che si era davvero innamorato di una ballerina polacca, naturalizzata tedesca, che aveva incontrato in un night club di Modena. Quando l'aveva vista per la prima volta lui aveva cinquant'anni e lei venti. Assieme al marito, di trentadue, portava in scena nei vari locali notturni, non solo italiani, un balletto (davvero poco erotico) ispirato all'amore del futuro, in cui i due figuravano essere alieni che si spalmavano polvere di stelle sui corpi (mai davvero nudi). Erano conosciuti col nome d'arte: "Victor & Virginia". Da quel primo incontro non era scaturito nulla di importante. La coppia non era un'attrazione fissa del locale. Quindi passarono mesi prima che il destino decidesse di farli incontrare nuovamente. Accadde nel gennaio del 1985, quando marito e moglie iniziarono ad esibirsi ognuno per proprio conto (il loro rapporto sentimentale stava volgendo al termine), e Virginia, alias Katharina Miroslawa, tornò a ballare, sola, al night di Modena. Ma davvero Carlo si era innamorato? Davvero pensava ad una nuova vita assieme al suo amore? Non era mai stato un'anima tranquilla e il suo modo di vivere, da sempre, era quello del classico "vitellone", di chi amava le auto e le belle donne. Era così da giovane, negli anni '50 e '60, e non lo aveva cambiato neppure il matrimonio con la bellissima Loredana Rossi, miss Parma 1969, donna che lo aveva reso padre ma da cui si era separato.
Poteva forse aver cambiato la sua indole l'incontro con una che si esibiva in un night club? Per tutti i benpensanti, a conti fatti Virginia era troppo giovane. Solo gli amici che avevano assistito al "colpo di fulmine" fra i due erano di idee diverse. Per gli altri, per la "Parma bene", non poteva esistere amore fra un cinquantenne e una ragazza di venti sposata e già madre di un figlio. In fondo lei non era una santarellina, in fondo si esibiva nei night, in fondo l'aveva conosciuta allo Shilling's Club. Lo Shilling's era un night in cui potevano entrare un massimo di duecento persone, un night in cui la clientela rispecchiava uno stato sociale elevato: nella metà degli anni '80 vi si trovavano imprenditori, sportivi e politici. Il locale, aperto dal 1970, dava lavoro a venticinque intrattenitrici che solitamente non avevano solo il compito di aiutare il cliente a consumare, ma anche quello di esibirsi. In ogni caso, quanto pensavano a Parma non aveva importanza: Carlo amava in maniera ossessiva Katharina. Per lei aveva pensato ad una vita più dignitosa. Mai più balli a pagamento nei locali notturni: meglio un pied-à-terre nel centro di Parma e un bancomat da cui prelevare contanti ad ogni esigenza, meglio un casale ristrutturato dove andare a vivere insieme. In poche parole, voleva che la loro storia si snodasse alla luce del Sole. Per maggiore sicurezza, e questo dovrebbe dimostrare quanto l'amasse, le aveva intestato anche una assicurazione sulla vita che le garantiva, fosse morto e non potesse più occuparsi del suo benessere, un'entrata certa di un miliardo di lire. Che dire? Carlo si fidava ciecamente del suo "amore" e per lei stava calmando i bollenti spiriti che da sempre gli ardevano dentro?
Forse. Ma siamo rimasti col fiato sospeso e non sappiamo chi quella notte, nonostante il termometro puntasse sullo zero termico, parlava con lui al freddo di quell'auto parcheggiata ad un alito d'aria da casa di sua madre. Non sappiamo per quale motivo chi colloquiava aveva scelto di restare all'interno dell'auto anziché andare al caldo. Sappiamo che alle sette di domenica 9 febbraio Loredana Rossi, la ex moglie, voltò in via Padre Lino rischiando di tamponare la Renault rossa dell'ex marito. La neve caduta nella notte impediva la visuale, e quando il figlio quindicenne vide il padre seduto all'interno dell'abitacolo pensò che dormisse. Ma Carlo non dormiva, Carlo era morto. Il medico legale nella sua prima diagnosi parlò di morte naturale, di un infarto. La voce si sparse e nessuno a Parma si scandalizzò. In fondo c'era da aspettarselo che morisse a quel modo, visto il tenore e il tipo di vita da play-boy mantenuto per decenni. Lui, da sempre e per tutti i parmensi, era l'animale che viveva di notte, quello che frequentava luoghi proibiti alle persone bene (in cui però si incontrano tante "persone bene"), quello che mai aveva messo "la testa a posto". Perché stupirsi di una morte simile? Il cuore gli aveva ceduto? Per forza! Non poteva continuare a subire le esagerazioni di una vita dissennata.
Ma il suo cuore non aveva ceduto a causa delle esagerazioni e la sua morte non era per nulla naturale. Chi aveva controllato il cadavere non s'era accorto dei due fori calibro 6,35 presenti dietro l'orecchio destro. Si era accorto dei bossoli sul tappetino, ma non dei fori. E mentre già si parlava di un "caso non caso", cioè di archiviare la pratica aperta solo per permettere una autopsia, arrivò il referto del patologo. Erano trascorsi un paio di giorni quando a tutti fu chiaro che si trattava di un omicidio e non di una morte naturale. Iniziarono le indagini e ci vollero pochi secondi per scoprire il nome della sua "amante". Come poco ci volle a controllare l'alibi della ragazza. Lei da una settimana era andata in Germania per stare col figlio piccolo, che viveva con la nonna materna, e quel sabato notte si trovava ad Amburgo. Doveva tornare il martedì successivo perché con Carlo aveva in programma di partire il mercoledì per una vacanza. Ma sbocchi che portassero ad altre piste non ve n'erano. Per cui la polizza da un miliardo, che sbucò improvvisamente fra le carte, rese più che sospettabili sia la ballerina che suo marito. Ma anche lui quel sabato notte era in Germania, nazione in cui si era stabilito senza la moglie già nel 1985. Così, nonostante l'omicidio di Carlo Mazza avesse buone similitudini con due delitti irrisolti (nel 1981 e nel 1982 a Parma con un'arma identica vennero uccisi sia Davide Matelli che Franco Bianchetto, ed entrambi avevano stipulato una polizza vita da poco tempo), le indagini puntarono, ora si può dire giustamente, al movente economico dell'amante.
Si istruì quindi un processo privo di prove e povero anche di indizi. Per cui i giudici, il 15 maggio 1987, non poterono far altro che stabilire l'estraneità dei coniugi al delitto. Così Katharina fu libera e per un anno parve ritrovare quella pace che i media italiani e la giustizia le avevano rubato. Ma non aveva fatto i conti con la compagnia assicuratrice a cui, subito dopo la sentenza di assoluzione, chiese il miliardo pattuito. La Helvetia aprì un contenzioso e le offrì seicento milioni. Li avesse accettati si sarebbe risparmiata gli eventi successivi. Ma sentendosi dalla parte della ragione non volle fare sconti e chiese tutto il miliardo. Ed ecco che si mossero le pedine investigative, ed ecco che quanto non fu scoperto dagli inquirenti parmensi venne alla luce grazie ai detective assoldati dall'assicurazione. Questi si dettero da fare e si accorsero che la filiale di Monaco della Hertz, il giovedì precedente l'omicidio aveva noleggiato al fratello della Miroslawa, Zibi (Zbigniew), e ad un greco naturalizzato tedesco, una Ford Sierra che al momento della riconsegna, giusto la sera del nove febbraio (giorno del delitto) aveva percorso 2.243 chilometri. Poco più di quelli che sarebbero serviti per andare a Parma e tornare a Monaco, si disse al tempo (ma in realtà per fare il tragitto di andata e ritorno ne bastano solo 1200, poco più della metà). In ogni caso, l'auto era l'anello di congiunzione che serviva ai Pm per collegare l'omicidio a Katharina e a suo marito.
Quando vennero arrestati Zibi e il greco, il processo di secondo grado voluto dalla procura per ribaltare la sentenza di assoluzione stava per iniziare. Ma gli arresti cambiarono tutte le carte in tavola, perché i Pm capirono che per ottenere la condanna della donna e di suo marito serviva che il fratello e il greco fossero prima giudicati gli autori dell'omicidio. Per cui il processo d'appello venne rinviato a data da decidersi in un secondo tempo e si istruì prima quello contro i due, che vennero condannati. A questo punto si stabilì un precedente storico alquanto assurdo e bizzarro. Tutti gli imputati vennero inseriti nel processo d'appello rinviato in precedenza, che così si celebrò contemporaneamente contro due persone assolte (i mandanti) e due giudicate colpevoli (gli esecutori). I giudici tolsero le castagne dal fuoco nel maggio del '91, quando condannarono i quattro imputati. Ma la Cassazione a fine anno stabilì che gli indizi non bastavano, che la mancanza dell'arma e di testimoni oculari non consentiva una sentenza di condanna; per cui nel 1992 tutti tornarono in Corte di Appello. Il nuovo processo condannò la donna, il marito e il fratello di lei, ed assolse il greco (seppure questi avesse in casa una Browning 6.35 identica a quella che aveva ucciso Carlo). In Cassazione, nel '93 non c'era più il giudice del '91 - travolto da indagini sulla mafia gestite dalla procura di Palermo - e la sentenza venne confermata. Ma Katharina Miroslawa alla lettura della condanna era già scomparsa, nonostante avesse in atto una nuova storia sentimentale con un imprenditore di Parma dal quale, nello stesso anno, ebbe un figlio.
Certo, parlare di scomparsa ai tempi era quasi comico, visto che durante la sua latitanza i giornalisti, che avevano i numeri telefonici giusti, la incontravano spesso e volentieri. Il solo Giangavino Sulas, per citare il giornalista del settimanale "Oggi" che tante foto osé della Miroslawa negli anni ha pubblicato, previo appuntamento la vide tre volte e tre volte la intervistò. Comunque per la giustizia lei era ancora uccel di bosco quando, nel '99, l'ex marito polacco rinchiuso in carcere dal '93 decise di scrivere un memoriale per far sapere ai Pm la sua verità: Carlo Mazza lo aveva ucciso il greco, l'unico assolto dai giudici, al culmine di una lite... ma il responsabile era solo lui perché suo era il piano che prevedeva l'incontro con l'amante di sua moglie. Katharina non sapeva nulla e lui aveva deciso di incontrare Carlo Mazza, sapendo che la moglie si trovava ad Amburgo, perché tormentato dalla gelosia a causa della storia extraconiugale che da un anno gli passava davanti agli occhi facendolo soffrire. Ma il memoriale non aiutò nessuno. I giochi erano fatti e le sentenze passate in giudicato non si toccano se davvero non spuntano fatti nuovi e provabili. Perciò nel 2000 Katharina, quando a Vienna venne rintracciata e arrestata, finì in prigione per scontare la sua pena.
E siamo ai giorni nostri. Dal suo arresto sono passati più di tredici anni e grazie a indulti e amnistie varate per ripulire le carceri, da un paio di giorni la Miroslawa è una persona libera. Quindi la storia è finita? Probabilmente no, visto che non ha scelto di scomparire e non ha chiesto ai media di essere dimenticata. Lei si è sempre proclamata innocente ed ora, a condanna scontata, vuole dimostrarlo con un nuovo processo che revisioni quelli passati. A suo favore c'è da dire che aveva poco più di vent'anni quando incontrò Carlo Mazza, l'uomo che la riempiva di regali e la tolse dai night per farla vivere in un pied-a-terre situato nel centro storico di Parma, l'uomo che acquistò un casale ristrutturato nel quale abitare insieme a lei, l'uomo che ogni mese le regalava milioni di lire senza chiederle dove finissero (e parliamo del 1986). Rispetto al suo quasi ex marito era molto giovane: per quale motivo doveva chiedere all'uomo che non amava più di uccidere la sua gallina dalle uova d'oro? Per paura che si stancasse di lei e per incassare il miliardo dall'assicurazione? Ma se quanto stabilito dai Pm e dai giudici fosse la realtà, il miliardo sarebbe stato diviso fra i complici e a Katharina ne sarebbe toccato solo una parte. Perché si sarebbe dovuta accontentare di trecento milioni, visto che in un paio d'anni Carlo le avrebbe potuto regalare, fra gioielli e contanti, molto di più? Ha senso premeditare un omicidio in siffatta maniera nel momento in cui ci si allontana dalla vita dei night, che comunque garantiva alla donna un introito di sei milioni di lire al mese, e si sta bene non solo economicamente ma anche moralmente?
Chi poteva premeditare l'omicidio, al contrario, era il marito... ma non per gelosia come ha cercato di far credere nel memoriale. Lui frequentava il giovane fratello della moglie. Quindi, vedendo il cambio di comportamento della donna (non ballava più nei night e non stava mai con lui), niente di più facile che sapesse sia della relazione extraconiugale che della polizza da un miliardo. Se sapeva della sola relazione extraconiugale, sfruttando l'assenza della donna poteva essere andato a Parma col complice greco (l'unico che aveva un arma in casa) e il fratello di lei per chiedere i classici denari di giuda. Non sarebbe il primo uomo che per farsi da parte senza fare casini va dall'amante della moglie e con le minacce pretende soldi. Altro e peggiore discorso nascerebbe se avesse saputo anche della polizza vita. In questo caso c'è da sottolineare il fatto che se lei gli avesse chiesto il divorzio, se fosse finita a vivere in quel di Parma con Carlo, lui si sarebbe ritrovato fra le mani il nulla assoluto. Quindi la scelta verteva fra il restare solo senza niente in mano o l'avere a disposizione un miliardo intestato a chi sulle carte figurava essere ancora sua sposa. Chi può dire, in certezza, che per intascarsi quel miliardo non avesse in programma di uccidere altri? Chi può dire che il suo piano non prevedesse la morte di sua moglie? E' chiaro che queste sono solo alcune delle possibilità che, in base agli indizi, si potrebbero incastrare al delitto di Carlo Mazza. Ciò che intendo evidenziare è il fatto che se Katharina riuscisse ad ottenere la revisione dei processi, sempre trovi di fronte a sé un giudice a modo, avrebbe alte probabilità di riuscire a dimostrarla la sua innocenza. Ed a quel punto non solo l'assicurazione dovrebbe sborsare fior di quattrini (ventisette anni di interessi maturati su un importo che al cambio equivale a circa cinquecentomila euro portano la cifra oltre le stelle), ma anche lo Stato italiano si dovrebbe svenare (e chiaramente, come al solito, saranno i cittadini a pagare per quanto stabilito da altri).
La Miroslawa fu l'indagata più fotografata negli anni '80 e '90. I rotocalchi erano zeppi delle sue foto "erotiche" (guardatele su internet) e le televisioni se la contendevano. Una pubblicità inizialmente da lei cercata per parlare all'opinione pubblica della propria innocenza. Ma l'esposizione mediatica non la agevolò, visto che i media non puntavano alla sua mente ma al suo corpo, alle sue forme, alle sue nudità. Ora ci accorgiamo che i giornalisti sbagliarono, sia puntando sul fisico che chiamandola "mantide" o "angelo nero". Ci accorgiamo di avere a che fare con una persona intelligente che non è quella che ci hanno descritto le cronache di allora. Ci accorgiamo che i tredici anni passati in carcere ci hanno consegnato una donna modello che per migliorarsi ha studiato teologia e lavorato in diversi settori (lo facessero tutti i detenuti). Una donna che non ha rinunciato alla sua femminilità e non si è lasciata abbattere dai guai che la vita le ha riservato (giusti o sbagliati che fossero). Non so se mai riuscirà ad ottenerla la revisione, mentre era in carcere dai giudici ha già ricevuto due rifiuti ed altri casi ci dicono che ben difficilmente potrà contare su novità tali da farle riaprire le maglie strette della giustizia, in ogni caso merita il mio "in bocca al lupo" e il mio rispetto.
La rispetto perché ha dimostrato a tutti i detenuti che la mente umana può riuscire a superare i periodi neri e far diventare il carcere un trampolino di lancio in grado di aiutare il miglioramento personale e il proprio futuro. Katharina ha dimostrato che chi depone le armi sbaglia, che per continuare a vivere bisogna lottare, che chi molla la presa rischia di diventare una preda degli eventi e della rassegnazione. Rassegnazione che porta un corpo a sopravvivere e non una mente a vivere.
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Una storia molto complicata dal punto di vista delle persone implicate, e difficile da commentare. Sotto il solo aspetto giudiziario, una delle tante in cui si dimostra la scarsa buona volontà di operare, visto che un'indagine, mandata a vuoto dai preposti allo scopo, è stata mandata avanti (nell'ovvio interesse finanziario di una parte, ancorché molto potente), da agenti investigativi incaricati dalla Società assicuratrice che non voleva sborsare tutto il promesso (le società di assicurazione ben accettano i soldi che si devono dare, ma si guardano bene dal restituirli secondo i patti, quando ne scatta la condizione).
RispondiEliminaAvevo seguito la vicenda ai tempi, per quanto parzialmente: ora me ne ricordo poco. Mi colpisce la donna che si mette a studiare teologia in carcere, mentre avrebbe potuto fare come Cheryl Chessman, studiare Diritto penale e scienza dell'investigazione, sicuramente molto più utili nel suo caso.