Quanti di voi conoscono il sostituto procuratore di Rimini Paolo Gengarelli? Io vivo in Romagna... e se devo essere sincero fino a pochi giorni fa non è che mi stesse simpaticissimo. Il motivo? Diciamo che ci sono più motivi da considerare. Il primo: il procuratore ha condotto le indagini sulla morte di Marco Pantani chiudendole in soli 55 giorni. Il secondo: le ha chiuse senza chiedere quegli accertamenti che a parer mio, ma di mille altri, erano necessari per capire cosa realmente fosse accaduto in quella stanza del residence dove il ciclista aveva passato i suoi ultimi giorni. Il terzo: non ha indagato il suo anatomopatologo per scoprire quale inconsueto motivo lo avesse spinto, durante l'autopsia, a portarsi a casa, anziché indirizzarli subito all'istituto dove erano attesi per le analisi, il cuore e altri organi di Marco (roba da chiodi?). Il quarto: il procuratore dopo solo sei giorni di indagine andò in ferie e stette tre settimane in Tunisia. Il quinto: anche a causa di queste ferie, programmate da tempo, ogni indagine e procedura fu fatta dalla squadra mobile della Polizia, coordinate da un altro Pm, e da lui avvallate solo successivamente. Ok, son cose vecchie e datate, però mi hanno infastidito ed ancora mi risultano ostiche. Ma al momento c'è da lasciare da parte il passato ed arrivare ai giorni nostri, c'è da dire che dal 6 dicembre sul sostituto procuratore Paolo Gengarelli nutro una sincera e profonda ammirazione.
Per capire il motivo occorre tornare indietro di decenni, a quando il Pm Gengarelli era impegnato in altre indagini e processi, non ultimo quello contro il fondatore della comunità di San Patrignano, (il defunto Vincenzo Muccioli poi condannato a otto mesi per favoreggiamento in omicidio) e raccontare una storia di dolore e disagio che di certo ancora non conosceva. In quegli anni viveva in zona una famiglia "strana ma normale", nel senso che di 'mariti - padri padrone' ce ne sono tanti al mondo. La famiglia di cui parliamo, senza farne il nome, era composta dai coniugi e da due figlie. Il fatto grave è che aveva un grossissimo problema: ogni volta che una sciocchezza accadeva in casa, anche solo una briciola sul pavimento, una posata mancante o una foglia cadente, le botte volavano e il sangue schizzava. Immaginate che bella vita facevano la moglie e le figlie? In casi del genere la tragedia è sempre dietro l'angolo... e infatti accadde. Le bambine, arrivate al limite, tentarono entrambe il suicidio. Una gettandosi dalla finestra, l'altra tagliandosi le vene. Si salvarono, ma se avessero avuto una madre succube e debole, è facile che i tentativi per togliersi la vita si sarebbero reiterati con forti probabilità di successo.
Dopo tante fratture e ferite, sia per lei che per le bimbe, la donna decise cosa fosse giusto fare. Così una decina di anni fa se ne andò da quell'uomo che la massacrava e chiese il divorzio. Però cambiò poco o nulla. L'ex, a quel punto, oltre a non pagare un euro per gli alimenti, ha iniziato a seguirla, a metterle le mani addosso, a minacciarla costringendola continuamente a cambiare casa. E questo è accaduto anche dopo che un giudice lo aveva condannato a quattro anni di galera per maltrattamenti continuati. Ma la pazzia non conosce limiti (e se qualcuno non si decide in fretta a stabilire per quel signore una vera e seria terapia sanitaria obbligatoria, con tanto di psichiatra dedicato, chissà come finirà un domani questa tragedia ancora in atto) e l'uomo in questione si lamentò coi servizi sociali perché non riusciva a vedere le figlie. Le assistenti sociali si diedero da fare e fecero in modo di stabilire orari e visite. Le ragazze inizialmente andarono, ma stavano male al solo vederlo e non ce la fecero a continuare quegli incontri. Avevano ancora in memoria la loro triste vita, le botte del padre che avevano dipinto la tristezza sul volto e lasciato cicatrici sul corpo. Così, ormai cresciute, decisero in autonomia di non rivedere il poco amato genitore. E lui che fece? Le perseguitò dalla mattina alla sera, telefonate minacciose e appostamenti, ed in cambio ricevette delle denunce per stalking e per queste, a febbraio di quest'anno, venne anche arrestato.
Una persona di senno avrebbe capito d'aver perso e cercato una vita diversa, lontano da chi non lo amava e non lo voleva vedere. Lui invece partorì il colpo di genio e grazie a un avvocato denunciò la moglie perché non gli consentiva di vedere le figlie. Non era vero, tutti sapevano che il problema era lui ed erano le ragazze a non volerlo incontrare, ma la denuncia ebbe la solita prassi ed arrivò in procura. Se vogliamo parlarne, dobbiamo dire che è una denuncia usuale a cui i procuratori italiani sono abituati, perché troppe ne presentano quotidianamente gli ex mariti che faticano a rivedere i figli. Ma come vengono trattate? Perché è qui che si è creata la falla che impaurisce chi crede che la legge sia uguale per tutti... chiunque la applichi. Il giornalista che ci ha informati della notizia ha scritto: "Un collega di Gengarelli firma frettolosamente un decreto penale di condanna, cioè una sentenza senza istruttoria o dibattimento". Lo ha scrito, ma sa che la sua è solo una mezza verità, forse voluta per non infierire sui Pm e sui giudici di Rimini, perché in effetti il Pubblico Ministero può chiedere una condanna, anche "a caso" per dire, ma è un Gip che deve decidere e scrivere la sentenza in base a quanto legge sul fascicolo. Cos'è un decreto penale di condanna ce lo spiega il Codice Penale, leggiamolo sulla pagina di Wikipedia:
"Il decreto penale di condanna è un provvedimento giurisdizionale di diritto processuale penale previsto dall'art.459 c.p.p. con il quale si instaura un procedimento speciale rispetto al rito ordinario. Lo scopo del legislatore, nel prevedere il decreto penale di condanna, è stato quello di deflazionare il carico processuale. Attraverso il procedimento per decreto, infatti, si salta sia l'udienza preliminare, sia la fase dibattimentale che diviene solo eventuale. Il pubblico ministero (PM), una volta svolte le indagini preliminari ed acquisite le fonti di prova in merito alla colpevolezza dell'imputato, quando ritiene che possa essere irrogata solo una pena pecuniaria può chiedere al giudice per le indagini preliminari (GIP) l'emissione di un decreto penale di condanna. Il GIP può accettare la richiesta del pubblico ministero o rigettarla. Qualora la richiesta non venga accolta, il GIP restituisce gli atti al PM; laddove, invece, il GIP accolga la richiesta del pubblico ministero, emette direttamente il decreto penale di condanna nei confronti dell'imputato, contenente la contestazione del reato e l'applicazione della pena. Trattasi di procedimento a "contraddittorio" eventuale e differito, nel senso che l'emissione del decreto penale avviene "inaudita altera parte" ovvero sulla richiesta avanzata dal PM al GIP, senza alcun preventivo assenso o conoscenza dell'imputato, il quale potrà, entro 15 giorni dalla notifica del provvedimento, opporsi allo stesso e difendersi in un ordinario procedimento dibattimentale (o richiedere di essere giudicato con altro rito alternativo quale il rito abbreviato o il cosiddetto patteggiamento).
Perciò è chiaro che in questo caso specifico il Gip ha ricevuto il fascicolo dal Pm e senza leggerlo, come fatto dal Pm stesso, ha dato ragione all'uomo che di ragione non ne aveva proprio, viste le diverse condanne e gli innumerevoli interventi delle forze dell'ordine. Per cui né il Pm né il Gip hanno letto il fascicolo e le risultanze delle indagini svolte dalla Polizia, risultanze che davano ragione alla donna, e nonostante questo hanno condannato una persona pluri-tartassata dall'ex marito dandole quindici giorni per impugnare la sentenza. E meno male, ora si può dire, che le è andata bene dato che ha potuto fare ricorso nei tempi e nei modi. E meno male, ora si può dire, che ha avuto molta fortuna visto che la pratica, una volta arrivata in tribunale, è passata di mano, capita che il magistrato di turno prenda in mano casi non suoi, arrivando a quelle del dottor Paolo Gengarelli che al contrario di altri colleghi ha la voglia di leggere i fascicoli e si è accorto subito degli sbagli, chiamiamoli così per comodità, di chi aveva istruito il processo. Ecco perché di fronte al giudice, prima ancora di chiedere l'assoluzione per l'imputata, a voce alta ha detto: "Chiedo scusa a nome della Procura, questo processo non si doveva fare. La signora non deve uscire da qui a testa alta, ma altissima". Ed ecco perché al giornalista ha dichiarato: "Mi sono sentito male, quasi mi vergognavo... ho il dovere di essere onesto fino in fondo, come magistrato e come uomo. Non ho fatto nulla di straordinario, era semplicemente dovuto".
Questo è il motivo per cui da ora in avanti come uomo e magistrato avrà la mia stima. Ma devo essere sincero e dirglielo che non sarà incondizionata, a meno che non scavi a fondo e scriva una denuncia che possa far luce su quanto accade nelle procure e negli uffici dei vari giudici. Non mi pare infatti difficile ipotizzare che per un procuratore "in grado di essere uomo" e sconfessare l'operato dei suoi colleghi, tanti altri potrebbero aver chiuso gli occhi di fronte a simili errori (orrori) e per non sputtanare la loro 'Casta' proseguito nella linea tracciata. Le domande che ronzano nelle orecchie e mi infastidiscono, quindi, sono essenzialmente due... ed entrambe mi paiono importanti. Prima: "Quante volte negli anni passati i Gip di Rimini hanno condannato senza leggere neppure i verbali della Polizia?". Seconda: "Questa prassi è in uso solo nella città di Fellini o è solita e consolidata in ogni altra provincia italiana?". Spero mi arrivino delle risposte, spero me le possano dare quei magistrati, di certo tanti, che prima di condannare un presunto imputato leggono gli atti e i verbali...
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Come al solito, egregio Massimo, su quanto scrivi vi sarebbero sempre spunti immensi da valutare. Ogni tuo articolo è sempre occasione di meditazione.
RispondiEliminaQui, secondo l'impostazione che mi sono dato, voglio soffermarmi sugli aspetti procedurali: un'amministrazione giudiziaria (lasciamo stare il troppo nobile e forse iper-umano concetto di Giustizia) dovrebbe preoccuparsi non di "deflazionare" i procedimenti, bensì di esaminare i fatti denunciati, confrontarli con le leggi vigenti, dedicare ad essi tutto il tempo necessario. Come già scriveva Francis Bacon, secoli fa non oggi, "La Verità è figlia del tempo". Per trovare occorre cercare, e non si cerca quando si vuole ridurre il tempo necessario. Del resto, i processi non sono per nulla lunghi: ciò che è lungo sono le pause tra le singole udienze, o, talvolta, il tempo male adoperato. Ora, hai fatto molto bene a delineare l'infamia del decreto di condanna, che vìola non solo princìpi costituzionali moderni e vigenti, ma perfino i princìpi base di ogni vero Diritto anche arcaico, che sono quelli del confronto tra le parti e della valutazione delle rispettive motivazioni.
Welcome back! Bravissimo come al solito.
RispondiEliminar.
Ciao. Bravissimo! Bellissimo blog! Volevo segnalare un fatto che ho scoperto per caso, nel mio piccolo:
RispondiEliminahttp://tuttouno.blogspot.gr/2012/12/la-foto-di-celeste-ruiz-e-falsa-e-un.html
Aggiornamento foto, inequivocabilmente falsa:http://tuttouno.blogspot.gr/2012/12/angela-celentano-celeste-e-rosa.html
RispondiEliminasono la protagonista della storia (una delle figlie per intenderci)
RispondiEliminarimango piacevolmente colpita dal suo modo di scrivere, per come ha riassunto la vicenda e ovviamente sono totalmente d'accordo con lei. in tribunale ci deve essere meno superficialità, ma sono contenta che il PM si sia scusato e abbia fatto ammenda.
Ciao Valentina,
RispondiEliminaspero che le cose si siano sistemate e che abbiate trovato un minimo di serenità. Ti ringrazio delle belle parole e ci tengo a dirti che tu e i tuoi siete stati fortunati perché, ancora adesso da che mi risulta, Gengarelli pare una goccia in mezzo a un mare giustizia sempre più agitato... Massimo