Per capire come indagano alcuni magistrati tarantini occorre tornare indietro nel tempo, arrivare a meta degli anni '90 e sapere cosa in quel periodo è accaduto. Dal '94 al '97 in Puglia ci furono quindici omicidi quasi identici. Le vittime erano donne di una certa età uccise in casa con un coltello a serramanico. C'era un serial killer che si aggirava fra i paesini pugliesi e tutti gli abitanti, compresi i giornali e i giornalisti, erano convinti di questo.
Quando dieci minuti dopo il quindicesimo omicidio fu arrestato Ezzedine Sebai, un tunisino con precedenti per tentato omicidio, violenza carnale, e tre decreti di espulsione mai eseguiti, tutto apparve chiaro, anche perché in casa sua furono trovate le prove della colpevolezza. Gioielli appartenenti alle vittime e la mappa dei delitti, ritagliata da un foglio di giornale, che con molta probabilità gli serviva per non passare nuovamente nello stesso paese in cui aveva già ucciso.
Quando dieci minuti dopo il quindicesimo omicidio fu arrestato Ezzedine Sebai, un tunisino con precedenti per tentato omicidio, violenza carnale, e tre decreti di espulsione mai eseguiti, tutto apparve chiaro, anche perché in casa sua furono trovate le prove della colpevolezza. Gioielli appartenenti alle vittime e la mappa dei delitti, ritagliata da un foglio di giornale, che con molta probabilità gli serviva per non passare nuovamente nello stesso paese in cui aveva già ucciso.
La sua tecnica era chiara e lampante. Si fermava qualche giorno sui gradini delle chiese delle piccole città e chiedeva l'elemosina. Questa sistemazione gli dava modo di conoscere le donne che frequentavano la parrocchia. Una volta scelta quella giusta la seguiva fino a casa per controllare il luogo e, se non trovava particolari pericoli, aspettava un giorno ed agiva. Dopo aver ucciso e rubato lasciava il paese e col treno tornava a Cerignola, dove aveva un buco di casa, ed aspettava che le acque si calmassero prima di ripartire ed attuare la stessa tecnica in un altro luogo (Qui l'articolo).
Durante le indagini si scoprì che prima di andare a vivere in Puglia aveva aggredito, sotto falso nome, un'anziana di Potenza ferendola con dieci coltellate. Solo l'intervento del fratello parroco riuscì ad evitare il peggio. Ma la giustizia italiana in quel caso fu magnanima ed il tunisino, qualificatosi marocchino senza documenti, venne denunciato dai carabinieri per tentata violenza e rimesso in libertà con un nuovo foglio di via intestato a chi lui nemmeno conosceva (Qui l'articolo). Fatto sta che dopo il suo rilascio in Basilicata ci furono due anziane uccise a coltellate in casa propria. Qualche mese dopo, come fatto in precedenza dopo aver ricevuto i fogli di espulsione dall'Italia (in Trentino, nelle Marche, ecc...), cambiò zona, si spostò in Puglia e continuò ad uccidere.
I carabinieri ed alcune Procure pugliesi avevano il sentore di trovarsi di fronte ad un serial killer, i magistrati di Taranto no. Da qui la decisione di prendere caso per caso e di indagare le cerchie famigliari ed i conoscenti delle vittime. Con questo sistema arrestarono e condannarono otto persone. Alcune gridarono la loro innocenza mentre altre, dopo interrogatori lunghi ed estenuanti, addirittura confessarono.
Così Ezzadine Sebai fu ritenuto colpevole di soli quattro omicidi.
Passarono gli anni; tutti i condannati urlavano dai carceri la loro innocenza, uno addirittura dopo sette anni di galera ingiusta si suicidò, ma chi li stava a sentire? Non facevano audience e la Giustizia italiana era abituata, forse lo è ancora, ad avere gli aiuti dei media che, gettando coltri di nebbia, proteggevano l'istituzione ed i suoi appartenenti. Così, in sordina, arriviamo al 2006 quando nel carcere di Milano il tunisino chiede di essere ascoltato dai pm. I procuratori vanno e ricevono ampia confessione per tutti gli omicidi di quegli anni passati in Puglia.
Riferì particolari che solo l'assassino poteva conoscere e diede il nome di un ricettatore che, fatti i dovuti accertamenti, risultò avere ancora parte dei gioielli rubati alle vittime.
C'era davvero il serial killer in Puglia e si chiamava Ezzedine Sebai.
Ed ora che si fa, si saranno chiesti gli inquirenti, si libera chi è ingiustamente in galera?
Non subito, si saranno risposti, prima di decidere bisogna accertare, verificare.
Così riprendono i casi uno alla volta e rifanno i processi al reo confesso mentre chi da sempre si grida innocente resta in carcere aspettando che tutti i gradi di giudizio condannino il vero colpevole. Come dire aspettate ancora qualche anno in galera perché anche se siete innocenti ci state bene. Da qui nasce il problema della Procura di Taranto?
No, c'è altro ancora perché al peggio non v'è mai fine.
Due delle tre indagini riguardanti le vittime di quella provincia vengono riaffidate ai magistrati che già anni addietro avevano sbagliato ad investigare ed a condannare. Ed infatti al processo succede ciò che sarebbe potuto sembrare imprevedibile ma in effetti non lo era. Il terzo pm, quello estraneo alle vecchie indagini, chiede 30 anni di galera per il tunisino colpevole, i due che le avevano sbagliate dieci anni prima chiedono l'assoluzione perché, non si capisce bene quale sarebbe il motivo, il Sebai si addosserebbe le colpe di altri.
Un modo alquanto strano per nascondere i loro errori!
Ma un magistrato può sbagliare, ci mancherebbe, sarà mica un'automa robotizzato? Insomma, se sbaglia una volta è anche capibile... certo, un po' meno se sbaglia di frequente. Uno dei pm che ha chiesto l'assoluzione del Sebai è Vincenzo Petrocelli; un nome tristemente noto, non certo una garanzia.
Per capire il motivo per cui questo magistrato non è credibile bisogna ancora tornare indietro nel tempo, al 30 Gennaio 1991 quando i carabinieri si presentarono in casa di Domenico Morrone e lo arrestarono per duplice omicidio. Domenico aveva 23 anni ed un alibi di ferro. La mattina del delitto aveva fatto colazione al bar e si era fermato a parlare con un carabiniere che conosceva bene, poi era andato a fare un lavoretto a casa di una famiglia del vicinato ed una volta finito era tornato a casa a pranzare. Testimoni a suo favore erano il carabiniere, i membri della famiglia da cui aveva lavorato e sua madre... tutti condannati per falsa testimonianza. Vincenzo Petrocelli fu chi portò avanti le indagini e chi lo fece condannare a 21 anni di carcere; oltre a far avere pene varie ai testi ritenuti falsi.
Morrone andò in galera e vi restò per quindici anni, fino a quando alcuni pentiti testimoniarono che un altro aveva commesso il duplice omicidio di cui lui era stato accusato e condannato. Tutto sbagliato, tutto da rifare! Sua madre dal dolore di quegli anni non s'è mai ripresa ed è finita su una carrozzina, lui ha perso per certo, oltre la fidanzata e il lavoro, la parte migliore della vita.
Per questi motivi l'errore del pm Petrocelli, perseverato tanto da non credere ai testimoni e farli condannare, è costato alle casse dello Stato quattro milioni e cinquecentomila euro di risarcimento (Qui l'articolo).
E siamo arrivati al punto. Nella procura di Taranto ci sono magistrati che indagano in maniera unilaterale senza credere o considerare i testimoni. Alcuni pm sanno cosa devono fare altri fanno ciò che vogliono fare. La realtà dei fatti viene stravolta e portata ad essere tornaconto. Sia Antonella Montanaro che Vincenzo Petroselli avevano sbagliato le indagini e fatto condannare persone innocenti; chi ha permesso che in mano loro tornassero le suddette indagini? Per quale motivo un terzo pm della stessa procura, che non aveva prima indagato su quegli omicidi, crede alla confessione di Sebai e loro no? Mandare e lasciare in galera persone innocenti solo per pararsi il culo non va bene e non è serio. Confucio diceva che le tre parole più difficili da pronunciare sono: "io ho sbagliato". Come faceva già da allora a conoscere quelli della Procura di Taranto?
è stato molto interessante da leggere. Voglio citare il tuo post nel mio blog. Si può? E voi et un account su Twitter?
RispondiEliminaGrazie per la roba buona
RispondiEliminaGrazie per questo distacco, è stato molto utile e ha detto un sacco
RispondiEliminaSuona bene, mi piace leggere i vostri blog, appena aggiunto ai miei preferiti;)
RispondiEliminaAllucinante! Ma come si fà a fare i magistrati così!?
RispondiEliminaCiao Michele. Se pagassero di tasca loro sarebbero diversi ed avrebbero più rispetto. Massimo
RispondiEliminaCiao!
RispondiEliminaNotizia pubblicata oggi 12 luglio. Leggete qua quanto lavora la Procura di Taranto: http://www.lavocedimanduria.it/wp/peculato-pronto-soccorso-tutti-sotto-processo.html.
Sono davvero dei Giustizieri della notte …
Mimosa
Ciao Mimosa, pubblicalo anche nell'ultimo articolo su Sarah, tanto per far capire che non oziano... Massimo
RispondiEliminaPOVERA SABRINA, POVERA COSIMA, POVERE TUTTE LE "VITTIME" DEL CASO SCAZZI,CHE QUEI 2 TOGATI VOGLIONO ROVINARE.
RispondiEliminain tanto ce un' assassino che aspetta.