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giovedì 3 ottobre 2013

Effetto farfalla, ovvero il Politico come specialista del niente

Di Gilberto M.

«L'uomo è la misura di tutte le cose di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono» Protagora


Ray Bradbury in un racconto fantascientifico A Sound of Thunder (Rumore di Tuono) immagina dei turisti che invece di viaggiare nello spazio viaggiano nel tempo. Purtroppo uno di questi escursionisti del passato, un po’ maldestro, in un soggiorno safari in epoca preistorica, calpesta una farfalla innescando una serie di cambiamenti che in un effetto domino avranno ripercussioni sulla storia dell’umanità cambiando inesorabilmente il corso degli eventi. Nel film The Butterfly Effect, di Eric Bress e J. Mackye Gruber il tema è appunto quello di come dei piccolissimi cambiamenti alterano l’evoluzione di un sistema. Tornare sui propri passi può avere effetti perversi e… disastrosi. Insomma i viaggi nel tempo potrebbero rappresentare un’altra forma di inquinamento addirittura ben più catastrofico dei viaggi di scoperta geografica con la distruzione delle culture autoctone (vedi gli europei nel nuovo mondo).


Fuori metafora si può asserire che tutto influenza tutto. Una farfalla che batte le ali da qualche parte del pianeta innesca effetti climatici imprevedibili… come un uragano. Quello che all’apparenza può risultare insignificante si traduce attraverso un andamento esponenziale (effetti moltiplicatori) in qualcosa di simile a un cataclisma (anche se poi qualche altro lepidottero da qualche altra parte potrebbe annullare o accentuare l’effetto farfalla).

Esistono modelli matematici a riguardo (vedi l’attrattore di Lorenz visivamente così somigliante a una falena, un sistema frattale in grado di generare un comportamento complesso con una spiccata sensibilità alle condizioni iniziali). Il caos, pur essendo imprevedibile per la sua natura aleatoria, può essere "addomesticato" studiandolo con metodi statistici. Ma a noi interessa l’aspetto metaforico di un modello che per quanto discutibile, e forse un po’ esasperato, mette in risalto il fatto che noi non viviamo in ambienti isolati - come quello ad esempio di certe culture in qualche anfratto remoto della foresta amazzonica ormai in via di distruzione - ma in un ambiente che intrattiene complesse relazioni con il contesto al contorno. Il problema semmai è di stabilire cosa sia il contesto e come debba essere rappresentato. E’ ovvio che esistono varie forme di contesto (geografico, storico, sociale, culturale, tecnologico, scientifico, climatico, religioso, astronomico, economico…). Nella società industriale avanzata esistono per l’appunto tanti specialisti del loro contesto o sotto-contesto o sotto-sotto-contesto… insomma, gli uomini del cassetto. Anche quando sono davvero professionisti nel loro ambito sono caratterizzati da una forma di miopia per la quale sanno riconoscere bene i confini della loro competenza, sanno tutto nel loro perimetro, conoscono a menadito la geografia del terreno culturale in cui operano… ma del contorno, rappresentato dal contesto del loro contesto, non sanno praticamente nulla e si affidano ad altri specialisti, i quali a loro volta dispongono di analisi accurate e conoscenze approfondite nel loro ambito, il loro orticello a monocoltura. 

Tanti uomini del cassetto incasellati a formare quella che oggi chiamiamo specializzazione (sempre più spinta, selettiva e astratta). 

E’ pur vero che è stata inventata una disciplina, la cibernetica, che si occupa di colmare le lacune tra i vari ambiti creando collegamenti di sistema, che enfaticamente viene definita come arte della navigazione, non solo in riferimento al timoniere di una nave, ma anche a chi governa la politica. Il termine cibernetica, parola di origine greca, viene usato dal moderno scienziato ad indicare i meccanismi di autoregolazione automatica attraverso sensori per un controllo programmato. In un sistema (naturale o artificiale) lo scambio di informazioni è basilare per organizzare segnali in grado di produrre modifiche nel sistema (sia che si tratti di esseri viventi o di macchine). Un sistema non è cioè la semplice giustapposizione dei suoi componenti, ma qualcosa in grado di esprimere proprietà emergenti (il tutto risulta superiore alla somma delle parti) attraverso meccanismi di auto-regolazione retroattivi (feedback). Nelle società umane dei paesi industrializzati, le reti risultano oltremodo complesse con sofisticati sistemi retroattivi che in qualche caso hanno prodotto quelle utopie post-industriali nelle quali il lavoro umano si immagina completamente sostituito dagli automi (l’uomo potrebbe allora fruire di un illimitato tempo libero). Naturalmente una cibernetica che consideri tutta la complessità dei componenti di un sistema non può tener conto dei soli fattori a breve e medio termine ma deve considerare anche quelli a lungo termine, ad esempio l’inquinamento, la modifica dell’ambiente, la tutela degli ecosistemi e soprattutto la qualità della vita non misurabile unicamente in termine di beni di consumo.

Ma non inganniamoci, si tratta di un escamotage, è pur sempre un contesto di contesti sotto forma di specializzazione monotematica. La cibernetica, per quanto introduca il concetto di feedback e di autoregolazione, rimane una visione riduttiva della complessità. Un sistema reale (non una macchina nella quale i componenti sono conosciuti, salvo quelli a livello microscopico) è sempre più complesso di qualunque modello siamo in grado di utilizzare per rappresentare il tutto. Siamo dentro a un sistema mondo che riguardiamo solo da una certa prospettiva, quella del nostro occhio (interiore ed esteriore unitamente agli strumenti concettuali e fisici che abbiamo costruito per rappresentarlo). L’immagine dell’universo macchina e il connesso materialismo che lo ha rappresentato nel diciannovesimo e ventesimo secolo, è stato messo in mora proprio dalla scienza di questo inizio del ventunesimo con l’evidenza del fallimento di quella presunta imminente riduzione di tutto alle leggi meccaniche. La biologia non sa spiegare la coscienza e la psicologia si arrabatta per darne una descrizione usando le metafore dell’io… I fisici quantistici riconoscono alla fine che la mente non può ridursi a un fatto fisico perché la fisica presuppone la mente del fisico per estrapolare qualsivoglia teoria fisica. Insomma, non si può fare (metaforicamente parlando) come il Barone di Münchhausen che si è tratto fuori dalle sabbie mobili prendendosi per i capelli...

Lo sguardo su tutto presuppone un colpo d’occhio di altra natura, una capacità di sintesi che trascenda quel modo miope e parcellizzato che caratterizza il tecnocrate. La vera comprensione globale presuppone una capacità di sintesi che è soprattutto intuizione e riduzione, piuttosto che aumento della informazione. Si tratta di quel buon senso (la ragione cartesiana) che sempre più è merce rara e purtroppo assai poco apprezzata. Ridurre l’informazione presuppone conoscenze che sappiano cogliere le essenze e non i fatti accidentali di un problema, cioè saper sceverare quello che risulta importante da quello che non lo è; e questo presuppone non solo molte letture e conoscenze in vari ambiti, ma anche una mente critica e sgombra da pregiudizi, relativizzando quegli strumenti logici, concettuali e scientifici, che l’umanità si è data nel tentativo di comprendere il mondo.

Non ricordo più chi ha detto che se dovessimo affidare le sorti politiche del paese alle prime sette persone che si incontrano per la strada avremmo dei risultati migliori (che non significa comunque ottimali) rispetto a quelli dei politici di professione (o di certi tecnici ingaggiati all’uopo, aggiungo io). L’immagine è forte, un po’ dissacrante, ma credo corretta. Statisticamente le prime sette persone che si incontrano per strada non hanno meno buon senso di molti politici presi a caso: semmai ne hanno un po’ di più. E lo dico naturalmente senza pregiudizio per altri politici di professione che probabilmente hanno più o meno lo stesso buon senso dei magnifici sette anonimi presi a caso.

C’è un tratto somatico emblematico che caratterizza due idealtipi di testa d’uovo. Ad un estremo l’uomo delle mani (non l’operaio che è invece l’uomo delle braccia) che può essere uno scienziato che fa del "fare" il suo obiettivo: la mente al servizio delle mani, il pensiero creativo proteso a costruire senza però riflettere sulle conseguenze del proprio fare (quel perverso effetto farfalla che potrebbe scompaginare anche le migliori intenzioni di cui è lastricato l’inferno). Insomma, un uomo calato a tal punto nella sua competenza, nel suo sapere, da non valutare che le sue costruzioni possano avere effetti spiacevoli e non desiderati, come se in realtà il suo fare gli prendesse la mano (una sorta di perverso attrattore per usare la terminologia della teoria del caos). Sono costruttori instancabili che sfornano idee e invenzioni a getto continuo. Peccato che spesso non si preoccupano di certe conseguenze che il loro lungimirante attivismo potrebbe avere, non si occupano di quegli inconvenienti e di quelle conseguenze caotiche che anche i provvedimenti e le innovazioni offerte con le migliori intenzioni potrebbero determinare in un sistema sociale. Spesso le innovazioni tecnologiche che a tutta prima vengono derubricate come un progresso dell’umanità, creano più problemi di quanti siano in grado di risolverne. Ma si sa… il progresso è inarrestabile. Fermo restando che la parola progresso non è un giudizio di merito, ma soltanto una specifica valoriale (autoreferenziale) della nostra epoca in relazione soprattutto a ingenti interessi economici. 

Non mi riferisco solo a invenzioni o tecnologie strampalate, ma proprio a quelle trasformazioni tecnologiche che se valutate nel medio o lungo periodo potrebbero rappresentare un danno piuttosto che un progresso per la comunità umana (gli effetti a lungo termine sono proprio quelli più difficili da immaginare ed è lì che in genere anche le menti più raffinate e i sistemi cibernetici fanno fiasco). All’altro estremo c’è l’uomo del cervello (che in genere è l’intellettuale) che costruisce come i ragni baconiani le sue ragnatele talora evanescenti e inconsistenti. Si tratta di produzioni solo all’apparenza sterili e ininfluenti. In genere si tratta di vere e proprie trappole moschicide, dove per intenderci le mosche siamo proprio noi, i sudditi delle moderne democrazie vezzeggiati e adulati per il voto e poi presi nella rete di una burocrazia tanto complessa quanto diabolica: veri strumenti di tortura anche senza l’ausilio della Vedova di Norimberga. I due idealtipi sono come è ovvio astrazioni limite. Nel mezzo c’è tutta quella fenomenologia di uomini incasellati in una società, la nostra, un po’ come le razze canine con tutte le taglie, i tipi e gli orientamenti attitudinali.

Lo scopo di tale selezione è quello di potenziare lo sviluppo socio-economico, creare le premesse per dispiegare tutte le potenzialità umane accentuando le capacità in vari ambiti, rendendo ipertrofiche certe competenze, restringendo e focalizzando le attitudini individuali per attingere sempre più in profondità ad un sistema produttivo e tecnologico esasperato e sofisticato. Tutta la storia moderna è costellata di questo controllo sulle capacità umane, sulla loro progressiva specializzazione e decontestualizzazione anche a prezzo di sofferenza e di deformazione professionale, ma soprattutto in un processo di disumanizzazione, creando le premesse per un uomo insensibile a tutto quello che non rientra nell’esasperato schematismo psicoattitudinale di cui è interprete attraverso l’addestramento specifico in un ambito settoriale. Non si tratta soltanto del soldato addestrato ad uccidere o del medico a guarire, del bracciante che fornisce forza lavoro bruta o dell’operatore di borsa che analizza delle formule statistiche… Lo schematismo è molto più profondo e radicale. Si tratta di un uomo ipertrofico in alcune capacità, uno specialista che vive e lavora in un’orbita chiusa e refrattaria a tutto quello che non rientra nella sua sfera di visibilità, un’anima che restringe progressivamente il proprio sguardo focalizzando alcuni dettagli per smarrire il senso complessivo delle cose. 

In fondo nelle moderne democrazie la gente va a votare a idea, sull’onda della suggestione massmediatica delegando ad altri tutto quello che non comprende. L’operazione in sé, la specializzazione, significa rinunciare a espandere il proprio Io, restringersi in un contesto di competenza sempre più spinto e settoriale (pensiamo allo sportivo che concentra tutto il suo allenamento per potenziare certe masse muscolari in vista di un record, ed ogni sport presuppone un certo allenamento, una dieta specifica e precise ricorsività di addestramento). Lo sport è fondamentalmente una metafora di una specializzazione e di un modello di vita e di allenamento portato all’esasperazione. Non il gioco, il benessere e l’armonia del corpo, ma il record diventa il fine di una vita portata all’eccesso di allenamenti estenuanti, talvolta anche a prezzo dell’assunzione di sostanze proibite.

La scuola è un ulteriore esempio di tale specializzazione. Fino alla scuola media esiste una certo percorso unitario. Poi iniziano le scuole differenziate per indirizzo. Possiamo dire che tutta la storia umana, nel mondo occidentale, è una progressiva specializzazione che ha il suo culmine nella politica come arte del governo della cosa pubblica. Quali le competenze del politico in quanto professionista della gestione del potere? Il politico è uno specialista del niente, la massima specializzazione alla quale l’umanità può ambire. Lo specialista del niente ha una infarinatura di cose che conosce superficialmente, più che altro per sentito dire, può parlare di tutto senza conoscere niente. Tant’è che è in grado di cambiare idea dall’oggi al domani con giravolte a centottanta gradi, a seconda di quello che è opportuno sulla base delle alleanze e del tornaconto del gruppo di appartenenza. Una buona attitudine alla politica è infatti la malleabilità, una souplesse che fa del politico un personaggio davvero adattabile, un vero essere proteiforme in grado di trasmutare, improvvisare e intrallazzare con grande nonchalance.

Il politico è come un pezzo di cera che al tepore dell’ideologia diviene plastica, cedevole quando serve o rigida e consistente quando è opportuno, in ogni caso sempre pronta a sciogliersi al tepore amorevole della passione dialettica e del compromesso che viene in genere indicato come mediazione. Essere uno specialista del niente è un requisito importante per non essere imbrigliato da remore morali e da condizionamenti culturali. L’ideologia sembrerebbe un limite a tale capacità camaleontica di assumere sembianze e modelli ad assetto variabile, ma è pur vero che essa più che un corpo di idee è un sistema di luoghi comuni fondati sull’opinione prevalente, sotto forma di qualche testo sacro assimilato in modo acritico e impersonale.

Come specialista del niente il politico è anche un perfetto divulgatore. L’assenza di un vero background culturale rende il politico idoneo a farsi promotore di ricette e ‘soluzioni’ senza tutte quelle remore morali e teoretiche che potrebbero assillare con fastidiosi scrupoli di coscienza, come chi invece cerca di comprendere quei possibili effetti farfalla, chi cerca di rappresentare la complessità delle proprie azioni in ragione di tutte le conseguenze possibili e immaginabili. Tale anaffettività e amoralità del politico (salvo usare la morale come mero slogan e l’affezione come pathos retorico) lo predispone a poter prendere le più svariate decisioni con mente serena, con quella ostentata indifferenza che gli consente di botto e senza tanti ripensamenti e remore di coscienza di effettuare improvvisi ribaltamenti, audaci inversioni di marcia, repentine giravolte, proprio come un ballerino impegnato in un walzer. L’utopia di cui si fa paladino è quella dama con cui si accompagna, facendola roteare, prillare, girare e pirlare con tutta quella carica recitativa, con quella agilità e quell’estro spigliato da vero giocoliere. Il tipo ideale del politico, spesso così ben rappresentato da tanti esempi nostrani, è quello di un personaggio che sa far quadrare il cerchio quando serve e perfino dimostrare che l’incommensurabile non esiste. 

Per farlo occorre dimestichezza con l’arte della parola, la retorica o arte della persuasione. Ma non solo, gli si farebbe torto se non gli si riconoscesse quell’abilità che è tipica della sua specialità professionale: l’improvvisazione. Per improvvisare occorre innanzitutto concepire qualunque argomento con rilevanza e peso equivalente. Per quanto il politico disquisisca di oneri e priorità, di valori e di opportunità, di bisogni e di necessità… di fatto la sua è un’etica della situazione, cioè un operare caso per caso (tutto può essere vero o falso a seconda della convenienza). La parola per l’uomo politico in quanto esperto del nulla è slegata dall’essere e disponibile a tutto, può davvero piegare le cose alla sua volontà, dar loro forma attraverso la persuasione e la suggestione. La parola agisce come un oggetto che guarisce, esalta, deprime, consola, annienta...). L’esperto del nulla non solo nega la verità, ma nega la negazione della verità, è in grado di parlare di tutto, di negare tutto e di riaffermare tutto a seconda del caso e di ciò che è più conveniente. Non solo nega la verità assoluta (salvo quando fa comodo appellarsi ai sacri dogmi della fede) ma nega anche la doxa, l’opinione, affermando i sacri principi del mondo ideale. Mai offrire delle certezze a un pubblico che potrebbe poi rinfacciargliele un domani! Meglio agitare quel miraggio che ha l’apparenza indeterminata dei fenomeni da fata morgana.

La problematica sociale e politica nella filosofia greca è prefigurata dai sofisti (sapienti, esperti del sapere) che nelle scienze umane, piuttosto che nella phisis e nel cosmo, individuavano l’ambito della speculazione filosofica. Anche se poi il termine sofisma andrà a significare qualcosa di negativo, uno pseudo argomento filosofico, uno pseudosillogismo e… una ricerca non disinteressata della verità, una speculazione legata al lucro, alla supremazia e al potere.

Il tecnico della politica - generalmente un economista prestato alla politica nei momenti di travaglio e di grande apprensione circa le sorti della cosa pubblica - sembra contraddire tale profilo da formidabile equilibrista sul filo del niente, da virtuosista del ballo acrobatico. L’economia è in realtà la parte più evanescente e contraddittoria di quegli specialisti del cassetto prestati in nome delle loro competenze all’arte della politica. Gli specialisti in parola sono i massimi specialisti della disciplina del niente, per antonomasia. Proprio quella disciplina che dovrebbe rappresentare il bene sociale di una comunità il più possibile felice e appagata, l’economia, non è altro che la scienza aleatoria per eccellenza (e alcuni recenti governi tecnici ne sono un bell’esempio). Teorie economiche rigide e dogmatiche portano inevitabilmente ad effetti farfalla catastrofici. Se poi si immagina il tecnico come un professionista che con il suo pallottoliere fa dei conti precisi per rimettere in sesto una situazione economica compromessa e disastrata… allora occorre considerare che l’economia - come arte di utilizzare le risorse (finite) per soddisfare i bisogni collettivi - rappresenta sempre gli interessi dei gruppi di potere dominanti, unitamente all’assoluta mancanza di consapevolezza circa gli effetti farfalla che tali interessi possono innescare nel lungo periodo. 

Gruppi Bildelberg, o trilaterali o quant’altro, sono - nella loro perniciosa adesione a modelli economici monopolistici - gli esperti del niente all’ennesima potenza, i massimi esperti dietro i quali si occultano corposi interessi inconfessabili. L’economista ha insomma dei precisi referenti, con tutta l’avidità di potere e di denaro che li caratterizza, insieme a tutte le deformazioni professionali che fanno del tecnico prestato alla politica un ragioniere, un uomo macchina, la macchina del niente, pericolosamente incline a innescare soluzioni catastrofiche. Meglio allora il solito affidabile e sperimentato specialista del niente, il semplice politico di professione (non tecnico), che produce danni di gran lunga meno apocalittici (per quanto comunque orientati al collasso del sistema globale). Nel caso si possono sempre assoldare le prime sette persone che si incontrano per strada, per quanto ingenue e sprovvedute dimostreranno sicuramente maggior sensibilità di chi ci governa trattandoci alla stregua di tacchini per la festa del ringraziamento. Gilberto M.

P.S. Sì, lo ammetto, un po’ ho scherzato... ma non troppo. Anche perché tra i sette scelti a caso c’è sempre qualche furbacchione.


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16 commenti:

  1. Ciao carissimo Gilberto.Che dici caro amico tra i sette potrei farne parte anch'io? Pensi che farei più danni di tanti specialisti del nulla?Non penso,e poi potendo far ricorso sulle tue doti di specialista che sa tutto,sarei in una botte di ferro,e in grado di decidere cosa è giusto e cosa non lo è,tra un colpo di furbizia e uno di genialità potremmo andare avanti per molto tempo,certo dovremmo stare attenti agli effetti collaterali,e stare attenti a non calpestare alcun lepidottero,altrimenti ne subiremo le conseguenze.Il tuo riferimento a Protagora l'ho trovato eccellente,e la frase che riporti dell'uomo che è la misura di tutte le cose,non ti nascondo che da di che pensare,e infatti lui dice che: la realtà ci appare ai nostri occhi secondo il nostro metro di giudizio.Spero di non subire le tue solite critiche feroci,ma,mi sembra di aver capito che volesse intendere che tutto è relativo,e che non tutto in realtà è per come ci appare,ma,siamo noi che vediamo le cose per come vogliamo che siano.Ciao caro furbacchione.PS se mi devi umiliare con una tua critica sei pregato di non rispondermi,il ponte dei sospiri ti aspetta,con passaggio di solo andata,uomo avvisato mezzo salvato,pane e acqua ti aspettano.Ciaooooo,scherzo,ma non troppo.

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  2. Caro Vito
    Tra un po' sarò costretto a venire a lezione da te. Davvero fai paura, impari così in fretta che credo perfino che tu mi bagni il naso... Spero solo che tu non mi tiri troppo le orecchie. Prima mi volevi in un eremo e adesso addirittura in prigione. Tra un po’ temo che mi vorrai far bere la cicuta. E’ il destino del grillo parlante di Pinocchio, spiattellato sul muro. Però Vito credo che tu sei in fase di metamorfosi… aspetto un tuo articolo, e non farmi fare brutta figura, dal momento che ti sei proclamato allievo, scudiero e quant’altro. E bada che dev’essere un articolo coi fiocchi e soprattutto, per quanto documentato, dev’essere farina del tuo sacco. Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala… e non inventare scuse, come dice il poeta Qui si convien lasciare ogni sospetto; ogni viltà convien che qui sia morta
    Gilberto

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  3. Carissimo Gilberto grazie per gli apprezzamenti che mi fai,e come al solito e sempre grazie ai tuoi consigli che cerco di apprendere cose del tutto nuove,cose che non ho mai studiato.Le mie conoscenze sono più che altro sul campo medicale,essendo ogni giorno a contatto con tanti medici di varie specializzazioni,dentisti, ginecologi,fisioterapisti,pediatri,chirurghi e tanti altri.Tra il vario materiale di consumo e le tante apparecchiature negli studi tipo elettro bisturi, tavoli operatori,cardiotocografi,doppler vascolari,doppler fetali e strumentario chirurgico,ogni giorno ho di che combattere per cercare di sopravvivere e portare un po di pane e companatico a casa.Ok ti perdono,non attraverserai il ponte dei sospiri,ma quello di Rialto,e cosi potrai ammirare una delle più belle città d'Italia,Venezia con il suo splendido campanile,e un Duomo a dir poco meraviglioso.Dici che sono pronto per un bel articolo? che ne dici di farlo insieme? il maestro e il suo umile allievo,e vai,che colpo geniale,credo che Massimo sarà contento di questa trovata,dammi il tempo di pensare al titolo e ti farò sapere.Ciao grande genio e per poco quasi eremita.

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  4. Ho spedito oggi all'ex-ambasciatore prof. Sergio Romano la seguente comunicazione che, visto che siamo in tema e che lì sicuramente non sarà pubblicata, tantomeno integralmente, copio ed incollo in questo libero spazio di pensiero:


    " LA FARSA DELLE ELEZIONI DAL POPOLO

    Illustre Professor Romano,

    non si capisce perché i giornali battano sempre la grancassa che i politici siano eletti dal popolo. Ciò non è vero e non lo è mai stato, in quanto i candidati furono sempre prescelti - per forza di cose - dal partito. Anche l'ordine dei candidati è scelto dal partito, sempre per forza di cose. Non esistono primarie, ma anche se esistessero, i candidati di queste sarebbero scelti dai partiti, sempre per forza di cose. Una persona qualunque non può candidarsi, per legge e per forza di cose, a qualunque elezione.

    Tralasciamo pure l'ultimo sistema di elezioni, soprannominato "porcellum", dopo quello soprannominato "mattarellum" (tanto denota la serietà dei partitocrati e dei giornalisti). Le liste dei candidati vengono stabiliti dai partiti e certamente non sempre in Congressi generali degli iscritti, ma a livelli di vertice.

    Quando si va a votare, si vota qualcosa di già votato, di già prescelto. Successivi sporchi trucchi, apposta ideati, favoriscono poi determinati partiti con maggioranza relativa ad essere premiati a scapito d'altri. La conclusione è quella che, nel secolo XIX e inizi XX, si diceva l'abisso tra paese reale e paese legale.
    Il comico-assurdo è che, se si vota, si accusano i cittadini di aver votato un certo numero di cretini (come se vi fossero persone intelligenti in gioco); se non si vota, si accusano i cittadini di aver lasciato che altri votassero i cretini. In sostanza, per il giornalismo italiano, qualunque cosa si faccia alla fine è sempre colpa del cittadino (il giornalista si tira fuori da tutto questo: egli è un'eccezione superiore, il Genio che giudica tutti, non la regola, malgrado sia il vero condizionatore della mentalità generale). Siamo seri, per favore, nel senso di essere coerenti a se stessi.

    L'elezione è una delega, quasi sempre cieca, perché il cittadino non può poi decidere di far dimettere un partitocrate cretino, disonesto, o cretino e disonesto insieme (come oggi è in assoluto). Il punto vero è questo.

    La democrazia, per essere tale, richiede un alto livello di coscienza e conoscenza politica, cosa che oggi non sussiste (né mai finora è sussistita), richiede quindi, anche quando è rappresentativa, un'elevata capacità di controllo dal cosiddetto "basso" verso il cosiddetto "alto". Il tronco di piramide, che dovrebbe rappresentare lo Stato moderno, dovrebbe avere la base maggiore in alto e la base minore in basso, non viceversa. Oggi, non esiste nessuna di queste condizioni, quindi il partitocrate è solo un mostro auto-partorito, come nelle antiche monarchie assolute.

    Distinti Ossequi
    prof. Manlio Tummolo


    http://tummolomanlioupsco.xoom.it/virgiliowizard


    Inviato a “Il Corriere della Sera” il 3 ottobre 2013, ore 10.35 circa " .










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  5. Carissimo Prof Tummolo buon giorno.Ha scritto una lettera che sintetizza tutto sul porcellum e di come si svolgono da tantissimi anni le elezioni in Italia.Purtroppo caro Prof questi sono gli specialisti del nulla,quelli che pensano e credono di saper fare e disfare a loro piacere,e guardi a che punto siamo arrivati,e come ci siamo ridotti per colpa di tanti politici che,tutto fanno,tranne qualcosa per il bene del paese e del cittadino.Non fanno altro che pensare ai loro interessi,e intanto l'economia di un paese va a rotoli,sempre più tasse da pagare e nessuno che viene in Italia per investire capitali per creare nuovo lavoro e nuova occupazione,giovani ormai costretti ad andare fuori dal nostro paese per poter guadagnare qualche migliaio di euro.Altro che specialisti del nulla,io direi il governo del nulla,nessuno escluso.Un cordiale saluto caro Prof.

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  6. Ad essere precisi, egregio signor Vignera, e con un certo scetticismo si potrebbe dire che:

    magari fossero specialisti del "nulla". In reealtà sono dei grandi specialisti nel fare danni crescenti. Il loro motto è:

    "Se una cosa va male, falla andar peggio e una volta peggiorata, peggiorala ulteriormente, fino al Pessimo Assoluto".

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  7. Carissimo Gilberto buona notte.Nel tuo articolo inizi con due parole "effetto farfalla",ed ero curioso di capirne il significato,ed ho trovato questo."“Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dal’altra parte del mondo” Che frase affascinante! Immaginare un piccolissimo insetto volante, quale è la farfalla, sbattere dolcemente le sue deboli ali e generare un poderoso uragano è una scena davvero suggestiva. E la teoria di cui vi sto per parlare, quella dell'"effetto farfalla", non è da meno.

    Dopo aver letto questa frase, lo scettico di turno avrà pensato che la "potenza della farfalla" non può dare origine a un cataclisma; altri invece, no: un’azione che può sembrare insignificante, come il battito delle ali, può causare qualcosa che non ci aspettiamo, innescando processi a catena che non avremmo mai e poi mai pensato. Anche lo scienziato Edward Lorenz era di questo parere.

    Lorenz, attraverso numerosi studi e prove, dimostrò che delle piccole condizioni iniziali producono grandi variazioni nel comportamento a lungo termine nel sistema. Cosa vuol dire? Che ogni azione nel mondo comporta un effetto irrilevabile oppure distruttivo; perciò il battito delle ali di una farfalla può provocare, dopo un lasso di tempo imprecisato, anche una tempesta, un uragano o addirittura un cambiamento climatico non solo in una precisa zona, ma anche in tutto il pianeta.

    Edward definì tutto questo "effetto farfalla” (the Butterfly Effects, in inglese), durante una conferenza del 1972, partendo da una semplice domanda: “Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”. Non a caso hai citato nel tuo articolo quegli specialisti del niente che sono gli artefici di questo effetto farfalla,quegli'uomini in grado di cambiare le sorti di un'intero mondo con poco,con un semplice battito di ali come una farfalla.Poi hai citato Protagora,e di cui ho trovato un bellissimo aforisma,"Riguardo agli dei,non ho la possibilità di accertare nè che sono,e nè che non sono,opponendosi a ciò molte cose: l'oscurità dell'argomento e la limitatezza della vita umana".In tutto questo non poteva mancare un po di retorica,e un'altro personaggio entra prepotentemente nel discorso,e questo è il Gorgia;
    " Gorgia risponde che la retorica ha per oggetto «ciò che dà la libertà» agli uomini, in quanto la retorica è la «capacità di convincere gli altri con le proprie parole» (452a-d). L'oggetto della retorica è dunque la persuasione, quella che si produce nei tribunali e nelle assemblee pubbliche, e riguarda il giusto e l'ingiusto. Una simile affermazione fa però spostare l'attenzione di Socrate sull'atto stesso di imparare. Se infatti vi è differenza tra pístis (credenza) e máthesis (conoscenza), se la prima può essere vera o falsa, mentre la seconda deve essere sempre vera, si deduce che devono esserci due persuasioni, l'una che produce credenza senza conoscenza, l'altra che produce epistéme (scienza). Stando così le cose, la persuasione della retorica non può essere che quella che dà credenza. Il retore dunque non sa insegnare cosa è giusto e cosa no, ma solo persuadere (455a).In questo caso caro Gilberto sei un maestro nel persuadere,personalmente mi hai convinto che, chi legge apprende,chi non legge non imparerà nulla.Buona notte caro amico furbacchione,però, maestro di vita,grazie caro Gil te ne sarò sempre grato.

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  8. Caro Vito
    Il tuo escursus filosofico è senz’altro corretto, i riferimenti pertinenti al discorso del mio articolo. Volendo potresti approfondire proprio il tema del Butterfly Effects. In realtà gli effetti farfalla essendo potenzialmente infiniti si possono annullare l’un l’altro. Un’altra farfalla può col suo battito d’ali in Texas neutralizzare il battito d’ali della farfalla brasiliana (o magari accentuarne gli effetti). In definitiva qualunque teoria del caos può tener conto di un numero limitato di dati. Per questo la cibernetica applicata al mondo reale (e non semplicemente a una macchina) rappresenta una pericolosa illusione se non viene considerata semplicemente come un modello ma addirittura come un sicuro strumento di previsione. La scienza in qualche caso può davvero diventare un’illusione, un sistema predittivo del tutto fittizio. Insomma l’episteme è qualcosa di più sottilmente profondo rispetto a dei processi computazionali che per essere corretti presuppongono delle analisi su una infinità di dati che nessun computer per quanto potente può elaborare, a meno che di essere la stesse mente di Dio (vedi l’aforisma di Protagora sugli dei). In definitiva l’effetto farfalla più che essere un metodo di conoscenza dovrebbe rappresentare il promemoria circa i limiti delle nostre capacità, un richiamo al principio di precauzione e al buon senso che la politica e la scienza troppo spesso dimenticano.
    Gil.

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  9. Buon giorno caro Gilberto.Hai ragione bisogna andarci con un po di cautela su certe cose e quindi cercherò di apprendere ancora di più sul Butterfly effects,non è facile ma ci proverò.Grazie caro amico e buona giornata.

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  10. Già ben prima dell'effetto farfalla si conosceva l'effetto frana o valanga. Una pietruzza che scivola ne trascina due, queste a loro volta quattro o cinque, e per non farla lunghissima, il moto discendente ne provoca altri, fino a far cadere massi di pietra o cumuli di neve. Il mondo della natura è retto da equilibri instabili i quali, un volta rotti, provocano una serie di crescenti squilibri. Si tratta di capire quanto questi squilibri possano essere assorbiti dal sistema generale, oppure no. Ad esempio, il maggior terrore della bomba atomica era quello per cui la reazione a catena avrebbe potuto scatenare la dissoluzione dell'intero pianeta.

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  11. Caro Manlio
    Il tema degli equilibri (e degli squilibri) è appunto quello attuale di un mondo sull'orlo di una catastrofe. Quali le cause? Quali i possibili rimedi? Chi ci governa ne è consapevole? E soprattutto, qualcuno guida veramente il sistema globale o questo è ormai un automatismo (una macchina) senza nocchiero, preda soltanto di egoismi e di pulsioni alienate? La cibernetica allora sarebbe soltanto l'illusione di poter governare un meccanismo che ormai è completamente fuori controllo...
    Gilberto

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  12. Carissimo Gilberto,

    non so se il mondo umano e quello naturale possano avere le stesse regole. Mi pare che il secondo abbia qualche problemaccio in più, dovuto proprio alla sua mal usata razionalità e al suo preteso libero arbitrio. L'uomo, a differenza di ogni altro essere vivente, ha la pretesa (spesso, se non sempre) di poter fare il proprio comodo non curandosi del resto. Di qui la difficoltà a trovare equilibri durevoli, tali da consentire a sé e alla Natura di riadattarsi agli errori. Comunque, proseguendo su tale strada, la specie umana sarà, come quella dei dinosauri (ma in un tempo ben più veloce), la prima a dissolversi, lasciando spazio a nuove specie intelligenti, sperabilmente meno pretenziose ed egoiste della nostra.

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  13. Ecco il NIENTE che avanza: dopo una giravolta politica di prima grandezza, entità europoidi non bene specificate ci minacciano di sanzioni per le squallide condizioni delle carceri, come se questa fosse una novità ib Italia ed altrove (sicuramente quelle di Bruxelles e Strasburgo sono bellissime, come hotels a 5 stelle: tutti desiderano di esservi ricoverati, ma il numero è chiuso). Ovviamente si alza il presidente della repubblica, manda una geremìade in Parlamento stigmatizzando tali condizioni e chiede un'aministia, un indulto o alcunché del genere.

    Si tratta, tutti questi, di atti di clemenza, nati con le monarchie assolute, quando il re ad esempio faceva squartare chi avesse attentato alla sua vita, e i magistrati - allora - erano servi e maggiordomi del re, in nome del quale esercitavano una presunta "giustizia". Tutto ciò avrebbe dovuto essere cancellato dallo Stato moderno, il quale invece - ereditando tutte le vecchie schifezze dei bei tempi andati - ha inserito nelle varie Costituzioni questi istituti ed atti di clemenza.

    Ora, invece di riformare drasticamente l'intero Diritto penitenziario, applicare un principio già affermato dalla Rivoluzione Francese, di separare fisicamente la custodia cautelare in appositi e diversi istituti, dai condannati in via definitiva, si mescolano gli uni e gli altri, e non si ammodernano le carceri, utilizzando, tanto per dire, caserme dismesse, ormai numerose, completando le carceri in costruzione ed abbandonate a se stesse. Sicché periodicamente ci ritroviamo sempre, con toni penosi di piagnisteo punto e a capo, come se poi l'aministia, l'indulto o la grazia, risolvessero in modo serio problemi gravi, soprattutto con i recidivi.

    Non so se la proposta napolitana passerà (occorrono 2/3 dei parlamentari favorevoli), ma molto probabilmente, con i soliti "do ut des" partitocratici (io do una firma a te, tu dai un'amnistia a me), vedremo risolti i casi che ci affliggono, non con decise assoluzioni, ma con quegli atti perdonistici che alla fine sono condanne morali, così tutti saranno felici e contenti: gli innocentisti perché vedono liberi i loro beniamini, i colpevolisti perché li vedono comunque non assolti con formula piena. Poi vi sarà l'uscita di un bel po' di criminali incalliti, che torneranno più tardi in carcere fino alla prossima amnistia.

    Eccoli dunque i protagonisti del NULLA, che però fa un danno enorme alla morale collettiva.

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  14. Caro Gilberto, grazie per il tuo articolo, è straordinario perché in poco spazio, racchiudi una massa di contenuti di grande valore.

    L’analisi politica che fai è “crudele” nella sua verità, non lascia scampo a noi cittadini assuefatti ormai a tutto.

    La metafora “dell’effetto farfalla” per indicare come un insetto possa influire sul destino del pianeta e quindi dell’umanità è significativa.
    Anche le api influiscono non poco sull’ambiente.

    Vorrei però soffermarmi sulla parte centrale del tuo scritto, quando parli degli “uomini del cassetto”, incasellati nel loro ambito a svolgere la loro mansione specializzata che non tiene conto di ciò che va oltre i confini della loro specializzazione.

    Ho amici nel campo della ricerca universitaria antropologica e archeologica, ai quali ho posto delle domande in riferimento alla loro materia.
    Ho chiesto notizie sulle ultime scoperte archeologiche e antropologiche del'area amazzonica. mi sono sentita rispondere: << Non è il mio campo, ne ho sentito parlare, ma non ne so nulla >>.
    Praticamente ne sapevo più io, si fa per dire.

    In un mondo globalizzato dove un battito di farfalla o il volo delle api può influire non poco sull’ambiente esistono ricerche a compartimenti stagni : uomini del cassetto come tu li chiami, inseriti in un sistema di controllo nel quale lo scambio di informazioni segue il controllo programmato della cibernetica.
    Ho capito bene?

    La metafora del cassetto mi ha fatto ricordare la tecnica della memoria utilizzata in epoca rinascimentale.
    G. Bruno, se ricordo bene, immaginava di avere davanti un mobile dotato di numerosi cassetti, ogni cassetto era visualizzato per contenere un insieme di nomi e idee collegati tra di loro da simboli o forme geometriche. I cassetti potevano contenere tutto lo scibile individuale che via via si andava elaborando e veniva depositato nei cassetti della memoria. Lo scambio delle informazioni era collegabile per mezzo dei simboli.
    Quasi un sistema cibernetico?

    Tu scrivi:" La vera comprensione globale presuppone una capacità di sintesi che è soprattutto intuizione e riduzione, piuttosto che aumento della informazione. Si tratta di quel buon senso (la ragione cartesiana) che sempre più è merce rara e purtroppo assai poco apprezzata."

    E' vero, il buon senso è prezioso
    e spesso nel tecnocrate tale qualità è difettosa, è talmente chiuso nel suo schema di ricerca che non è in grado di organizzare le informazioni collegate allo stesso.

    L’analisi che fai dello specialista chiuso nel suo settore che non dialoga con altri ambiti smarrisce certamente il senso delle cose, si estranea completamente dal mondo che sembra solo apparentemente globalizzato.

    E certamente come tu dici l’uomo si disumanizza e diviene insensibile.

    Ma l'uomo è ancora misura di tutte le cose o le cose sono divenute a misura dell’uomo?

    Se le cose sono a misura dell'uomo,
    le cose si sono "umanizzate" mentre l'uomo è un oggetto schematizzato?

    Quindi il cammino dell'uomo verso la conoscenza è lastricato di cose
    non di valori spirituali.


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  15. Grazie Vanna
    Il tuo commento dimostra che hai davvero capito il succo del mio articolo. D'altro canto la tua sensibilità è nota, sai appunto cogliere sinteticamente il succo di un discorso senza perderti nei dettagli. La capacità di sintesi di questi tempi è davvero merce preziosa. Il cammino dell'uomo pare lastricato di oggetti inessenziali, non sembriamo più in grado di discernere le cose veramente importanti, sia che si tratti di valori, sia che si tratti di relazioni tra le cose.
    Gilberto

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  16. Gilberto grazie a te che con i tuoi post susciti riflessioni, ricordi.
    Non sempre accade.
    Ciao.

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