Di Gilberto Migliorini
Secondo una certa giustizia
sarebbe spettacolarizzazione quella di un sistema video audio che documenta le
fasi di un processo (che consentirebbe a tutti di verificare la rispondenza
degli atti con le regole formali e le garanzie del testo costituzionale).
Strano paese il nostro che sembra aver dimenticato le regole nate
dall’antifascismo e vorrebbe mettere il bavaglio all’informazione documentale,
dove non si tratta di opinioni magari mantecate con tanta aria fritta e
invenzioni dell’ultima ora spacciate per scoop, ma di fornire hic et nunc quello che accade in un
processo. Una notifica dove tutti possano verificare che non c’è trucco e non c’è
inganno, e che tutto si svolge alla luce del sole, secondo quei criteri dove la
logica la faccia da padrone e non le suggestioni spacciate per indizi, non
l’emotività che è in grado di obnubilare la mente di un’opinione pubblica
assuefatta agli slogan e alle veline. La protesta dei cronisti per le riprese
come diritto all'informazione non solo è sacrosanta, ma è il minimo per poter
dire che siamo ancora in uno stato di diritto, considerando poi che sul caso in
questione molta stampa si è sbizzarrita in acrobazie dal sapore surreale, con
invenzioni e resoconti giornalieri che avrebbero dovuto come al solito
inchiodare l’imputato. Neppure nella vedova di Norimberga c’erano tanti chiodi
quanti quelli che sarebbero stati inflitti al muratore di Mapello e che per
inciso sembrano più che altro bullette da
calzolaio spacciate per chiodi da carpentiere...
Nel Bel Paese sembra essere in
atto un tentativo autoritario, uno di quelli che nella storia italiana
ricorrono a cadenza regolare soprattutto quando avvengono trasformazioni che
incidono in profondità nel tessuto sociale, momenti di crisi di identità e
travaglio nei valori, nelle scelte e soprattutto nei modelli socio-economici,
quando il politico di turno più che da rappresentante eletto la fa da padrone,
quel dux al quale noi italiani siamo
assuefatti e del quale ci sentiamo spesso perfino lusingati, sia che si tratti
di un capo politico o religioso, sia che rappresenti un’autorità scientifica e
culturale con tutti i crismi del dogma o del verbo infallibile… Le istituzioni
come al solito si stringono attorno ai privilegi di quei pochi che tirano le
fila e vorrebbero che il Paese fosse soltanto un esercito di zombi ben
addestrati a fornire sempre la risposta appropriata e a credere al ritratto
immaginario, instillato mediaticamente, di popolo sagace, dismagato e
aggiornato. Si lusinga l’italiano, quello bene (dis)informato, che ha capito
tutto e che nessuno mena per il naso… anche quando vien preso regolarmente per
i fondelli.
Il processo a un muratore
diventa per alcuni un tentativo per imprimere una svolta ‘autorevole’ alla società rivendicando la propria egemonia e un
potere discrezionale senza contraddittorio, considerando la democrazia come
puro formalismo per allocchi, la bella retorica per gonzi da proporre come
carnevale con coriandoli e stelle filanti. È una kermesse con tanta retorica e colpevoli
da dare in pasto all’opinione pubblica, un po’ come quei giochi circensi con i
gladiatori e le bestie feroci: e una plebe che evade (mentalmente) tra la partita
della squadra del cuore, il gossip su letterine e subrettine con l’articolo a
tergo (lato b) e il classico colpevole
a fare da valvola di sfogo per la frustrazione e la delusione di un
paese sull’orlo di una crisi di nervi. La Grecia è vicina, e forse è il caso di
cominciare a preparare i nuovi modelli comunicativi, testandone l’efficienza
argomentativa e modulandoli secondo una retorica sperimentata sul campo. Si
tratta anche di conoscere i fiancheggiatori più fedelmente addomesticati, sui
quali si possa contare alle bisogna, che sappiano tirare di fioretto (e con
la clava se serve). L’obiettivo è una informazione ben congegnata, al passo coi
tempi e per meglio addormentare gli ignavi che fanno da popolo bue.
Però nel Bel Paese nonostante
quel conformismo tipicamente da cervelli nella vasca, sta anche montando la consapevolezza
riguardo al caso Bossetti che la vicenda puzza,
sì fieramente, di persecuzione nei confronti di un uomo che ha come unica
colpa di essere fin troppo normale, lavoratore e buon padre di famiglia, uno
preso a far da attore principale nella fiction, anche se non sembra avere
proprio il ‘physique du rôle’. Nell’opinione
pubblica, palude che 'l gran puzzo spira
- solitamente più distratta dal gossip e dallo stereotipo evasivo - sta
crescendo il sospetto e la consapevolezza che sia in atto un palese tentativo
di trasformare il carpentiere di Mapello in un capro espiatorio, comodo per
annacquare altre problematiche e mettere una pezza a errori madornali e
inconfessabili. L’uso della stampa di regime è così smaccatamente di parte
nell’utilizzo di informazioni taroccate - e nel fare da cassa di risonanza alle
stronzate più assurde e inverosimili - che perfino molti colpevolisti cominciano
ad avere un conato di vomito proprio
all’apice del piacere (sembra che il disturbo talvolta accada anche in fase di
orgasmo).
È il dubbio che si sia un po’ esagerato nel copione, con una retorica
da trombe e tromboni, e che la trama alla fine ricordi un romanzo di Victor Hugo
o di Alexandre Dumas. Che si tratti di Jean
Valjean o di Edmond Dantès, insomma
si comincia a realizzare che il troppo storpia e che hanno esagerato montando
quisquiglie e pinzillacchere e tirando in ballo adulteri e tradimenti come se
si trattasse non di un delitto, ma del sequel dell’ultima telenovela televisiva,
una di quelle dove i personaggi sembrano cavati fuori da un album dei fumetti,
da un romanzo da cappa e spada, o addirittura da una slapstick comedy dove si scivola su una buccia di banana e si
sbatacchia. È stata costruita una pseudo-commedia dell’arte con tante
arlecchinate che perfino il pubblico di bocca buona le comincia a considerare
di cattivo gusto. Si è allestito un copione alla Buster Keaton e alla Harold
Lloyd, una sceneggiatura alla Chaplin e alla Stanlio e Ollio, uno script alla Ridolini dove la gag finisce
con quelli delle torte in faccia.
Può sembrare assurdo, ma a fronte del tragico
e orrendo omicidio di una povera ragazza si è costruita - a proposito del
muratore di Mapello - una storia inverosimile che sembra più umoristica e
caricaturale che tragicamente orribile. Anche quelli che di solito non fanno
una piega quando si tratta di dargli all’untore e gridare al linciaggio,
cominciano a chiedersi se il confine del tragico si sia a tal punto superato da cadere prima nel
grottesco e poi nel comico. La storia ricostruita dalla procura con l’aiuto di
tanta stampa servizievole e ben istruita sembra quella di un personaggio fantozziano
alla Paolo Villaggio, messo di fronte alle traversie più assurde e inverosimili,
surreali come giustamente si è espresso l’imputato che assiste impotente alle
proprie avversità. Perfino i più accaniti cominciano a interrogarsi se per caso
non ci sia una bella regia e che proprio a loro tocchi il ruolo di comparse,
di quelli che vanno a gridare sotto al patibolo già eretto e virtualmente
collaudato. A fronte delle inefficienze e dello sperpero di denaro pubblico in
un’indagine senza capo né coda e dalle conclusioni campate in aria, il caso
Bossetti serve anche come diversivo e surrogato per quella parte dell’opinione
pubblica che è più sensibile all’informazione addomesticata da tanti media
spazzatura.
Si scommette su una audience incapace di vedere e riconoscere i
giochi di prestigio di un’informazione abilmente pilotata. Il potere si
traveste da giustiziere per dimostrare che fa sul serio nel riportare il paese
in carreggiata.
È il segno di una svolta
autoritaria, di un sistema di controlli sempre più invasivi su tutti quelli che
non sono abbastanza omologati? Un modello istituzionale dai formalismi inespugnabili
e che fa della democrazia un semplice gioco di ruolo?
I banali casi giudiziari non
sono mai da sottovalutare, sono sempre la cartina al tornasole della salute di
un sistema, delle sue storture e dei suoi inganni. Lo è stato il caso di Gino
Girolimoni in epoca fascista, lo è stato il caso Tortora (e altri di minore
impatto mediatico) e lo è il caso Bossetti che forse entrerà nella storia del
nostro Paese con risvolti e implicazioni che ancora non siamo in grado di
valutare in tutta la loro rilevanza e in tutte le loro implicazioni sociali,
culturali e politiche. Per certo il caso del muratore è una radiografia dello
stato del Paese - dal punto di vista dell’epistemologia giuridica - e rappresenta
perfino una sorta di proiezione rappresentativa di come saremo, del ruolo
sempre più importante che l’informazione concretizza nel plasmare credenze,
valori e atteggiamenti di una società sempre più indottrinata e pianificata
‘scientificamente’.
Il caso in parola è in certo senso un esperimento dove
trova posto quella capacità del sistema di assegnare quei rinforzi positivi e
negativi atti a orientare l’opinione pubblica con il condizionamento operante
skinneriano. Il caso Bossetti, nonostante molti storcano il naso per l’eccessivo
clamore dato alla vicenda, rappresenterà comunque un indirizzo per il futuro
del nostro paese e le sue istituzioni.
C’è da augurarsi nel senso di una
maggiore consapevolezza da parte dell’opinione pubblica dei meccanismi occulti che
ne influenzano le scelte e i valori.
Homepage volandocontrovento
Da ogk
RispondiEliminaMolti non saranno d'accordo ma la svolta autoritaria non c'è mai stata perché l'Italia non è mai pienamente uscita dal fascismo e perché, causa situazione geopolitica, sino al 1989 non ha potuto essere un paese veramente liberale, piuttosto un mix di fascismo, socialismo e cattolicesimo politico, entrambi "chiese" a loro modo.
La svolta liberale, anche e soprattutto nel sistema giudiziario, avrebbe potuto cominciare con Mani Pulite e seguente vittoria di Berlusconi: invece, per debolezza o convenienza di quest'ultimo, l'elefantiaco, pervasivo e inefficiente apparato statale, cresciuto all'ombra della guerra fredda, ha comunque avuto la meglio: nessuna vera riforma sino ad oggi, solo una spesa improduttiva che aumenta ogni giorno e che giustifica se stessa con il proprio automantenimento, Giustizia compresa. Il tutto naturalmente con la complicità della grande stampa che di questo sistema è parte integrante.
Oggi non è in atto una svolta autoritaria, sono piuttosto le vecchie fondamenta totalitarie (ecclesiastiche, fasciste e comuniste) che non vogliono mollare la presa dal corpo di un paese che stanno conducendo alla rovina per continuare a parassitarlo! In questo è altamente simbolica la scena dell'arresto di Bossetti: lui sta lavorando e gettando una soletta, pensa subito che siano lì in dieci per chissà quale controllo del moloch burocratico e, invece, senza accusarlo di nulla, lo arrestano, lo ammanettano e lo portano via! Un racconto kafkiano dal vero!
Tutto ciò, in Europa, ci ha portato ad essere, secondo tutti gli indicatori, un gradino al di sopra della sola Grecia. La nostra unica fortuna è che abbiamo ancora grandi patrimoni da dilapidare in tasse e ladrocinii vari...
L'autoritarismo non è mai cessato, con variazioni attorno ad una media non da paese veramente e modernamente civile: chi si ricorda il film "Detenuto in attesa di giudizio" degli anni '71? Oggi con Bossetti siamo sempre lì, indipendentemente che sia colpevole o meno. D'altra parte, per chi apprezza il cinema, basta la visione del vecchio film di Kurosawa, "I sette samurai" per comprendere la nostra situazione attuale -- solo che al momento mancano i sette samurai...
@ogk
RispondiEliminaUna analisi spietata che lascia poche speranze, anche se il cittadino del Bel Paese è abituato all’arte di arrangiarsi e tira fuori i soliti compromessi per sopravvivere all’arbitrio del potere. Se come dici (e forse hai ragione), l’Italia non è mai uscita pienamente dal fascismo la colpa non è solo dei poteri forti, ma anche degli Italiani brava gente che non hanno mai superato quella mentalità del compromesso e dell’individualismo, refrattari a considerare le questioni di principio e il connesso bene comune come qualcosa di irrilevante. Il caso Bossetti ne è appunto la dimostrazione. Il problema delle regole formali (e sostanziali) è soprattutto quello della cultura di un popolo e delle sue idiosincrasie. Non so quanti connazionali hanno capito che il caso Bossetti riguarda tutti direttamente e che al suo posto, in certe condizioni fortuite, potrebbe trovarsi chiunque.
Da ogk
RispondiElimina@ Gilberto
Quello che hai detto è assolutamente condivisibile, soprattutto l'ultima frase: non serve aspettare di venir accusati di omicidio o pedofilia, basta riflettere sulla protervia di certe istituzioni pubbliche quando si tratta di raccogliere tributi che ritiene dovuti e che magari finiscono per far fallire una piccola azienda (e suicida qualche piccolo imprenditore) mentre le stesse istituzioni dimostrano un assoluto lassismo quando sono loro a dover pagare servizi di cui hanno usufruito, finendo magari per far fallire altre imprese. E senza neanche parlare delle varie corruttele...
Il problema delle regole formali è fondamentale, purtroppo non è capito e sentito, specie in alcune grosse parti del paese, al Sud, mantando in rovina le parti più belle e potenzialmente più ricche d'Italia. E questo per un intreccio devastante di clientilismi, mafie e mentalità preindustriali che fanno comodo a chi comanda o vuole farlo. Credo non basterebbe una generazione di Merkel e Schäuble per mettere le cose a posto, figuriamoci i nostri politici attuali...
Saluti, ogk (@ostrogotiko)