Se "qualcuno" non avesse messo le sue luride mani sul Giro d'Italia del 1999, Marco Pantani avrebbe vinto per la seconda volta in due anni sia il Giro che il successivo Tour de France. Invece quel "qualcuno" lo volle far fuori, non solo metaforicamente ma anche psichicamente, e il Tour lo vinse l'uomo più bugiardo e dopato del pianeta che grazie a collusioni molto importanti, senza il vero Pirata a batterlo dettò legge dal '99 al 2005. Quel signor Lance Armstrong che non avrebbe mai ammesso di aver assunto dosi industriali di EPO (lo ammise lui stesso fra le righe di in una intervista) se non fosse stato obbligato a nascondere i nomi di chi gli ha permesso di prendere per i fondelli gli appassionati di ciclismo. Quel signor Armstrong che nel Tour del 1999 risultò positivo al doping sei volte, sputtanato dai giornalisti francesi dell'Equipe (qui il link di conferma), e per sei volte venne dato per negativo e fatto ripartire dai medici dell'UCI (unione ciclistica internazionale)... e guarda caso la stessa UCI nel 2000 ricevette dall'americano dopato una "donazione" di ben 100.000 euro. E visto che non si può credere che una sola persona possa fregare per tanti e tanti anni sia i medici che chi controlla la regolarità delle gare sportive, si deve ammettere anche che questi imbrogli sono stati possibili, come ho scritto, grazie a collusioni con qualcuno di importante. Insomma, non sarà difficile ai procuratori, ora che il vento è cambiato e si sa chi erano il corrotto e i corruttori, leggere i fascicoli di oltre dieci anni fa in maniera diversa e capire cosa sia realmente accaduto.
Inoltre, per trovare altre collusioni, basterà loro chiedersi il motivo per cui Marco fu linciato e denigrato sulla pubblica piazza dai media e da quelle stesse persone che aveva contribuito ad arricchire e a far diventare famose. In quel Giro non fu fermato perché dopato, ma perché il valore del suo ematocrito alle sette di mattina era oltre la soglia... perlomeno questo ci dissero, visto che poche ore dopo, quello stesso giorno, un prelievo eseguito dai medici di un laboratorio privato attestò che l'ematocrito di Marco era "tornato" basso. Ma la notizia bomba soverchiava ogni vera contro-analisi, ogni verifica e ogni umana ragione logica. Ormai lo scoop era fatto e niente lo avrebbe più fermato. Quando accadde il fattaccio ci fecero credere che non fosse possibile fare un breve ragionamento logico e spiegarlo all'opinione pubblica. Tutti stupidi i cronisti che seguivano il Giro e tutti stupidi noi? Forse sì, visto che subito dopo l'annuncio della sua estromissione i quotidiani sportivi gli spararono addosso titoloni fatti solo del pregiudizio mass-mediatico. Qualcuno li impose? Probabile, perché non è possibile credere che non si sia capito che facendo anche solo un piccolo ragionamento si sarebbe arrivati da subito alla soluzione e forse alla verità. Quella mattina sarebbe partita la penultima tappa, l'ultima vera, e il controllo a sorpresa effettuato due giorni prima aveva detto che l'ematocrito di Marco era perfetto. E con l'ematocrito perfetto aveva vinto le ultime due tappe lasciando gli avversari ai piedi delle salite. Ricordo a tutti che i ciclisti trovati con l'ematocrito alto non erano dopati ma considerati a rischio salute, quindi venivano fermati per quindici giorni a titolo precauzionale.
Marco quel giro non doveva finirlo e non si voleva neppure che partecipasse al Tour de France, visto che c'era chi doveva vincerlo grazie al doping (e con il miglior Marco in gara non lo avrebbe mai vinto) ed era sicuro dell'immunità totale grazie alle coperture che gli garantiva in primis, a detta dello stesso Armstrong, nientepopodimeno che il presidente dell'UCI Hein Verbruggen (link di conferma). Quindi non era vero non ci fosse alcuna possibilità che perdesse il Giro D'Italia, come dicevano tutti fino a quella mattina (tutti tranne alcuni che sapevano di dover puntare su altri corridori perché Marco avrebbe perso), una possibilità c'era ed era quella che puntualmente si è verificata. Leggiamo cosa dissero, dopo il responso dei medici dell'UCI, i responsabili della sua squadra:
"Marco non riesce a capire, e non riusciamo neppure noi a farlo, cosa sia successo. Aveva già fatto due controlli prima e rientrava nella norma. O c'è una spiegazione scientifica... oppure c'è un'altra ipotesi: se qualcuno voleva fare un attentato al ciclismo c'è riuscito perfettamente".
Fu quindi davvero solo un caso che alla penultima tappa lo svegliassero di prima mattina per fargli le analisi? Marco sapeva che un'altra analisi gli sarebbe toccata (o quella mattina o quella successiva). Ma se, come disse lui stesso, sapeva dell'arrivo dei medici, come mai nessun giornalista quella mattina si chiese il motivo per cui avrebbe dovuto, stupidamente, farsi trovare con l'ematocrito alto? Il Pirata e il suo staff medico non erano di certo degli stupidi sprovveduti: se fossero stati in malafede avrebbero potuto abbassarlo facilmente quell'ematocrito. Per cui c'è da chiedersi se sia stato davvero solo un caso che non gli fecero scegliere la provetta, com'era prassi, ma decisero i medici in quale mettere il sangue. Difficile credere al "caso", perché a bocce ferme pare proprio che nulla sia stato fatto per caso, neppure nei giorni successivi quando, dopo una batosta psicologica del genere, nessuno pensò a lui uomo, nessuno pensò alla delusione del ciclista che capì di vivere in un mondo marcio, che ad ascoltare l'Armstrong dei giorni nostri iniziava dallo stesso presidente dell'UCI e passando per quasi tutto il carrozzone ciclistico finiva con lui, circondato da altro marciume. Quello in cui lo si era immerso da momento in cui tutti gli chiedevano solo di giustificare quel valore e parlavano di doping... e pensare che l'anno successivo si variarono i parametri e sarebbe risultato negativo. Perché l'anno successivo si cambiarono le regole? Perché la stampa non capì, o fece finta di non capire, che il mostro da combattere non era Pantani ma chi lo additava e chi comandava sul ciclismo? I giornali in rosa gli spararono addosso senza alcun rimorso o remora, la sua casa fu circondata da nugoli di giornalisti che volevano immortalarlo nel momento peggiore della sua vita, lui perse lo "stimolo" e la fiducia negli altri credendo di non meritare un trattamento del genere dopo quanto aveva fatto per la sua categoria e per l'Italia sportiva.
Marco non era psicologicamente forte, non quanto le sue gambe, e dopo altri processi intentati contro di lui (per motivi assurdi) negli anni successivi (nei tribunali di Trento, Torino, Forlì, Firenze), tutti andati poi alla malora ma buoni per infangare ulteriormente la sua immagine del momento, cadde in depressione. Il Pirata non era quell'automa che in tanti pensavano, aveva un'anima sensibile che ad un certo punto lo portò a vedere solo il lato negativo. Marco però aveva capito tutto. Aveva capito ma non poteva parlare in chiaro e le sue prime parole di quel 5 giugno furono criptiche: "Sono ripartito dopo dei grossi incidenti, ma moralmente questa volta credo che abbiamo toccato il fondo. Rialzarsi sarà per me molto difficile".
Marco non era psicologicamente forte, non quanto le sue gambe, e dopo altri processi intentati contro di lui (per motivi assurdi) negli anni successivi (nei tribunali di Trento, Torino, Forlì, Firenze), tutti andati poi alla malora ma buoni per infangare ulteriormente la sua immagine del momento, cadde in depressione. Il Pirata non era quell'automa che in tanti pensavano, aveva un'anima sensibile che ad un certo punto lo portò a vedere solo il lato negativo. Marco però aveva capito tutto. Aveva capito ma non poteva parlare in chiaro e le sue prime parole di quel 5 giugno furono criptiche: "Sono ripartito dopo dei grossi incidenti, ma moralmente questa volta credo che abbiamo toccato il fondo. Rialzarsi sarà per me molto difficile".
Ma se Marco aveva capito che il ciclismo aveva toccato il fondo, altri sapevano addirittura in anticipo che a Madonna di Campiglio si stava profilando una vera e propria esecuzione e che il condannato a morte era il Pirata. Tutti i giornalisti sapevano e nessuno scrisse nulla. Solo dopo la sua morte, studiata a tavolino per far credere che fosse lui l'uomo marcio, qualcuno uscì allo scoperto.
"Fu un complotto", ci dissero Marco Velo e Marcello Siboni, gregari del Pirata, raccontando la verità scomoda che doveva restare all'interno del circuito. "Già la sera del 4 giugno", raccontò Velo, "cominciarono a girare voci che Marco il giorno dopo sarebbe stato escluso dal Giro. Mi ricordo che la sera eravamo nella stanza di uno di noi: eravamo tutti felici, scherzavamo, ridevamo e pensavamo a come ci saremmo divisi il premio per la vittoria del Giro. Ma il clima cambiò alle 22-22.30 perché nella stanza cominciarono ad arrivare telefonate di gente che era presente a una festa dell'organizzazione e chiedeva se fosse vero che l'indomani Marco non sarebbe partito".
Avete letto? Tanto per capirci Velo ci ha detto che la sera precedente alla penultima tappa, quando ancora non si sapeva neppure chi sarebbe stato scelto per le analisi antidoping, fra i giornalisti giravano già le voci della esclusione del Pirata. Ma passiamo la notte e arriviamo al momento in cui si riempirono le fiale del sangue di nove atleti, fra cui Marco.
"La mattina presto del 5 giugno 1999", sostiene Roberto Pregnolato, massaggiatore del Pirata, "mezz'ora dopo il prelievo fatto a Marco i giornalisti al seguito del Giro già sapevano il risultato. Mezz'ora dopo, cioè prima che il sangue fosse stato esaminato, ci siamo capiti?"
Per tutti questi motivi, e per tanti altri che speriamo siano presenti nel fascicolo, ai procuratori basteranno una rapida lettura e qualche indagine in più per capire chi e perché ha voluto colpire Marco Pantani in quel maledetto 1999. Loro sanno bene che al mondo ci sono giochi di potere che fanno paura e sono difficili da smantellare, quelli legati a doppio filo al denaro. Loro sanno che in certi ambienti le collusioni nascono anche a causa della coscienza sporca che non permette di mostrarsi e preferisce nascondere. Ed è sicuro che nel baraccone ciclistico di quegli anni ci fossero moltissime coscienze sporche. Anche nella stampa ce n'erano, visto che se nel '99 avesse dato giuste informazioni, perorando la causa del Pirata anziché infossarlo, si sarebbero scoperchiati tanti pentoloni. I suoi fans erano milioni ed avrebbero aiutato i procuratori ad aprire subito tanti armadi. E forse il signor Lance Armstrong non avrebbe vinto e poi perso sette Tour de France sporchi che più sporchi non si può... e forse Marco ora sarebbe vivo.
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Quando chi accusa non ha scrupoli costruisce le prove pur di rovinare la vita di chi vuol condannare...
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Ciao Massimo
RispondiEliminaOttimo articolo (anche se te lo scrivo in ritardo).
Cosa sai tu della porta della camera del residence chiusa a chiave dall'interno? (l'ha scritto Gramellini ieri su La Stampa)