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lunedì 23 luglio 2012

Annamaria Franzoni. Una sola analisi approfondita sulla telefonata inviata al 118 bastava per capire che la madre non poteva aver ucciso suo figlio...


Articolo di Gilberto M.

Dalle motivazioni della Corte di Cassazione, copiate pari pari da quelle della Corte d'Appello: "...a carico della Franzoni, alla quale erano ascritti, come ulteriori elementi indizianti, il ritardo nella chiamata al 118, le informazioni riduttive e fuorvianti comunicate alla telefonista (cui rappresentava un fenomeno patologico naturale)"

Queste parole non avevano motivo di esistere. Ascoltiamo la telefonata in cui, a parere della cassazione e di ogni perito e giudice, al momento di chiedere aiuto la Franzoni diede informazioni riduttive e fuorvianti...


Ascoltata? Fra l'altro, come si può notare guardando i numeri sotto il video, la telefonata dura esattamente un minuto e quaranta secondi (1:40), quindi 100 secondi netti se è vero che in un minuto vi sono 60 secondi e, sempre sia vero, 60 + 40 fa 100. Lo strano è che per la procura e tutti i giudici, è scritto in ogni Atto dei Pm portato nei vari tribunali, è scritto in ogni motivazione stilata dalle varie Corti per spiegare i motivi della condanna, ne dura solo 77. E già l'avvocato difensore, che neppure s'è accorto di questa stranezza (ma ugualmente chiede 800.000 euro per quanto ha fatto in Difesa della Franzoni), i carabinieri i Pm ed il Pg (almeno loro), dovrebbero spiegare questo grave sbaglio aritmetico...

Ma dato che nessuno ce lo spiegherà, lasciamo gli sbagli e dopo aver ascoltato la versione audio leggiamo la trascrizione della telefonata:

Centralino: "Pronto".
Franzoni: "Ascolti mio figlio ha vomitato sangue e non respira, abito a Cogne"
Centralino: "Un attimo che le passo subito ..."
Franzoni: "Fate presto, la prego" (musica d'attesa - tratta da 'Le quattro stagioni' di Vivaldi - per alcuni secondi) - Operatrice: "Pronto"
Franzoni: "Mio figlio ha vomitato sangue, venga subito"
Operatrice: "Allora, no, con calma (Annamaria urla e la sua voce si sovrappone) devo avere l'indirizzo, abbia pazienza"
Franzoni: "Abito a Cogne"
Operatrice: "Il numero di telefono (...). Ecco, Cogne dove?"
Franzoni: "Frazione Montroz"
Operatrice: "Con calma ... Monrò?"
Franzoni: "Cosa devo fare?"
Operatrice: "Numero civico?"
Franzoni: "Ooh ... eeh ... la prego, sta male!" - Operatrice: "Signora, con calma perché non risolviamo niente. Allora, Monrò?".
Franzoni: "Numero 4 A. E' già venuta stanotte perché stavo male io. Vi prego, aiutatemi, non respira ... (respiro affannoso, urla incomprensibili)"
Operatrice: "Subito ... Signora, abbia pazienza, è Montroz o Monrò?"
Franzoni: "Montroz".
Operatrice: "Ecco. Numero?"
Franzoni: "Oh, mamma mia. 4 A".
Operatrice: "4 A. Signora, allora suo figlio quanti anni ha e come si chiama?"
Franzoni: "Tre anni, Samuele"
Operatrice: "Di cognome?"
Franzoni: "Lorenzi (interferenza telefonica). La prego, sta malissimo".
Operatrice: "Signora, intanto se vomita non lo tenga ..."
Franzoni: "E' tutto insanguinato, ha vomitato tutto il sangue. Non respira ...".
Operatrice: "Arriviamo subito, signora"
Franzoni: "Grazie"
Operatrice: "Mi lasci solo il telefono libero perché se no..."
Franzoni: "Sì, sì, sì, arrivederci".

La telefonata di Annamaria Franzoni al 118 ci racconta più di ogni altra cosa quale sia la verità del caso Cogne. Si tratta del documento che più di ogni altro parla della protagonista, una registrazione scritta con l’inchiostro indelebile della voce non solo in rapporto al suo contenuto informativo, ma soprattutto in relazione agli atti respiratori che scandiscono e disegnano la forma e la modalità della rappresentazione interiore, del vissuto istantaneo, delle tensioni emotive della madre del piccolo Samuele. Un momento drammatico, non riferito soltanto alle parole, ai morfemi, che racconta soprattutto del linguaggio del respiro, del flatus vocis, di quella emissione e sospensione di aria (apnee, tachipnee e polipnee) che più di ogni altra cosa tradisce i nostri veri stati d’animo, i nostri sentimenti autentici, le nostre emozioni più profonde... al di là di quanto possiamo dissimulare, mascherare o nascondere. L’uso decettivo e ingannevole del linguaggio, oltre qualsiasi intrigo e impostura che la mente possa eventualmente escogitare, può usare le parole come cortine fumogene per occultare e travestire i sentimenti e le pulsioni che muovono i fili delle nostre azioni (e delle nostre intenzioni), ma non può nascondere il momento saliente e rivelatore dell’interiorità: il nostro soffio vitale, il nostro modo di inspirare ed espirare, la modalità con cui emettiamo i suoni usando non solo le corde vocali ma la cassa di risonanza polmonare in relazione a quanto accade nel corpo e "nell'anima".

Il drammatico colloquio telefonico della mattina del 30 gennaio 2002 - nel quale Annamaria Franzoni chiede aiuto al 118 - è un documento che, al di là di qualunque sentenza e di qualsiasi ricostruzione di parte, rimarrà indelebile per chiunque in futuro voglia tornare a riflettere sul caso Cogne. Un documento che per immediatezza e chiarezza esprime drammaticamente una verità nella quale non si possono dare né dubbi né incertezze, in quanto fondato su dati incontrovertibili, su quegli eventi psicosomatici che estroflettono i vissuti profondi e inarcano le nostre emozioni. La registrazione non può essere fraintesa da chi, passata l’emozione del caso (che ancora oggi perdura sotto forma di giudizi lapidari), può leggervi un’evidenza storica e documentale che traspare prima ancora di qualunque analisi speculativa e descrittiva. In quella telefonata c’è tutta l’immediatezza e l’evidenza di un dramma, lo sconcerto e lo stupore angosciante di qualcosa che appare all’improvviso, incomprensibile e inesplicabile, assurdo, sconvolgente e imprevedibile. E' un documento che potrebbe essere letto senza mediazioni, con la consapevolezza di poter interpretare senza bisogno di orpelli ermeneutici, senza necessità di ricorrere a strumenti psico-diagnostici, ma solo con il buon senso e l’empatia, con la capacità di identificarsi, immedesimandosi, con gli stati d’animo di una persona (einfühlung). 

E forse solo un animo sgombro da pregiudizi lo può fare, solo una mente immacolata ed innocente può ascoltare quelle parole: un caotico e angosciante gorgogliare di stati emotivi, un magma doloroso di ansia e di angoscia. Ma questa analisi la vogliamo comunque fare, sia in forza di una ricerca scevra da preconcetti, sia in ragione di un desiderio di comprendere, senza l’illusione che l’evidenza del dolore, della pena e dell’angoscia - che pure traspare in tutta la sua forza nel documento in oggetto - possa costituire prova e ragione di una ricostruzione puramente psicologica e di una interpretazione emozionale. Per questo, al di là di un’impressione simpatetica che potrebbe essere bollata come soggettiva, o peggio suggestiva, proviamo ad analizzare le parole e le frasi dette dalla Franzoni seguendo un criterio fenomenologico che tenga conto non solo dei contenuti della comunicazione verbale, denotativi e connotativi, ma anche degli aspetti metaverbali. Mancando il riscontro visivo, il sonoro rende conto delle sfumature della voce e degli atti respiratori in rapporto al contenuto drammatico dei dialoghi. Ci si è avvalsi della trascrizione all'incipit, ma per alcune parole l’interpretazione non è certa, è sfumata o non del tutto comprensibile. Quello che invece risulta sempre riscontrabile, è la qualità della voce espressa nella frequenza e nella qualità dei movimenti respiratori.

Iniziamo col catalogare le parole e le frasi in una sequenza numerata. Le prime pronunciate al telefono dalla Franzoni al centralinista, non all'operatrice quindi, saranno le 1a-b. “1a: [Ascolti mio figlio ha vomitato sangue] e 1b: [non respira, abito a Cogne]

Su queste possiamo fare le prime considerazioni, sia in ordine al contenuto, sia riguardo al tono alla qualità ed intensità della voce che alla respirazione. Il primo fatto che colpisce è che la Franzoni – almeno inizialmente – non sembra rendersi conto che il bambino è stato colpito alla testa con un corpo contundente, è convinta che tutto quel sangue sia dovuto a emottisi, è persuasa che suo figlio stia semplicemente vomitando sangue a causa di qualche patologia subentrata in sua assenza (1a). Per una madre che in base alla sentenza lo avrebbe colpito per 17 volte è già una prima stranezza, una incongruenza che merita una riflessione. Se effettivamente la donna stesse simulando, avrebbe già da subito indicato in un’aggressione l'origine di tutto quel sangue, in quanto ben consapevole delle lesioni al capo provocate dal corpo contundente che lei stessa avrebbe usato come un’arma (peraltro mai trovata). Nella fattispecie la sua descrizione delle condizioni del figlio (al 118) avrebbe dovuto appuntarsi non tanto sul sangue dalla bocca, quanto sulle ferite alla testa. Al contrario l’attenzione al sangue dalla bocca sembra essere un tentativo di focalizzare qualcosa che non riesce ancora a comprendere, un tentativo di spiegare uno scenario imprevedibile e una situazione del tutto incomprensibile. Nell’angoscia dei primi istanti, la signora Franzoni sembra interpretare lo stato di suo figlio come meglio riesce, immagina sulla base di una scena che le si presenta nell’immediato come indecifrabile. Nel momento in cui si precipita a telefonare per chiedere aiuto, descrive quello che vede sulla base di un’impressione carica di sconcerto e di non senso.

Proviamo ad immaginarci al suo posto, rientriamo in casa e troviamo nostro figlio immerso nel sangue. Sangue sulla testa, sangue sul cuscino e sul piumone che gli copre il volto. Nell’immediato non ci passa neppure per l’anticamera del cervello che si sia trattato di una aggressione, che sia stato colpito da qualcuno. La scena è troppo di impatto, riempie per intero tutti i nostri canali sensoriali, è paralizzante, onnicomprensiva e totalizzante. Non riusciamo nell'immediatezza a vedere i dettagli, le ferite, il sangue nella stanza. E se anche vediamo "altre cose", non le percepiamo veramente per quello che sono. Ciò che catalizza la nostra attenzione - per un tempo soggettivo che dipende dalla capacità di reazione e dall’impatto emotivo - è nostro figlio coperto di sangue, una scena che ci colpisce come un pugno allo stomaco e ci lascia raggelati, increduli ed esterrefatti. C'è sangue sul cuscino, sulla sua testa, sulla coperta, e dalla bocca esce un rantolio? Nostro figlio vomita sangue e non respira: è quello che la nostra mente sotto shock riesce a percepire in una condizione di stress. Tutto il resto è ancora sullo sfondo, indeterminato e impercettibile. Non ci poniamo domande, appena riusciamo a riprenderci dall’impatto agiamo di impulso perché bisogna far presto e cercare di aiutarlo in ogni modo. Prendiamo il telefono e chiediamo aiuto traducendo l’impatto di quell’immagine con l’angoscia nella gola e con le parole che si agitano nella nostra mente: "vomita sangue e non respira".

Se si parte dalla suppozione sia davvero lei il colpevole, allora si deve supporre che avrebbe fatto credere fin da subito che qualcuno fosse penetrato in casa ed avesse colpito suo figlio. In quel caso nessun impatto emotivo avrebbe alterato i suoi stati d’animo al suo rientro in casa. Al contrario il sangue e l’apnea, in una inversione figura sfondo, avrebbero lasciato il posto - nella descrizione al 118 - alle lesioni alla testa che lei avrebbe indicato immediatamente postulando un assalitore. L’idea che il bambino vomiti sangue a causa di qualche stato patologico di origine ‘naturale’, può venire in mente solo a qualcuno che non abbia la più pallida idea di cosa sia successo e non abbia ancora realizzato che il bambino ha subito un’aggressione. Tale idea può venire in mente solo a qualcuno troppo sconvolto dalla scena che si presenta ai suoi occhi. Che motivo avrebbe avuto la signora Franzoni di non dire fin da subito che suo figlio aveva lesioni alla testa? Ritardare i soccorsi? Ma è proprio lei a sollecitarli, come vedremo, con parole e modalità inequivocabili. Anzi, sarebbe stato proprio nel suo interesse indicare un evento traumatico per cause esterne, un’azione portata da un aggressore sconosciuto. Sarebbe stato logico dire fin da subito che suo figlio era stato ferito da qualcuno penetrato in casa in sua assenza, mentre accompagnava l’altro figlio allo scuolabus. Se ammettiamo che la madre di Samuele abbia agito con freddezza e in modo scaltro, conoscendo perfettamente la natura di tutto quel sangue, allora dobbiamo anche ammettere che avrebbe immediatamente indicato le lesioni alla testa come causa, considerando che poi sarebbero state comunque rilevate dai soccorritori. 

Possiamo, è vero, immaginare che avesse già rimosso il suo raptus omicida, che sia stata lei a colpire il figlio piccolo prima di accompagnare il maggiore allo scuolabus, ma questo introdurrebbe altri problemi, ad esempio le operazioni di riassetto della scena del delitto e di occultamento delle prove. Il tutto “completato al suo rientro, prima dell’effettuazione delle telefonate di cui si é inizialmente riferito”, come recita la sentenza della Cassazione. Inoltre per supporre un raptus - poi dimenticato - occorre darne prova, altrimenti siamo di fronte a un teorema. Da un raptus non si riemerge lucidamente in pochi minuti. Annamaria Franzoni non parla di una aggressione, come sarebbe logico aspettarsi se fosse stata lei ad aver aggredito suo figlio, in quanto consapevole delle ferite inferte. Il fatto che nella telefonata al 118 non parli mai di ferite alla testa significa che ancora non se ne è accorta, che non s'è resa conto di quanto potrebbe essere accaduto o, comunque, che non è ancora in grado di formulare qualche ipotesi e che tutto le appare ancora troppo indecifrabile e incomprensibile (come è ovvio di fronte a una scena che ha un impatto emotivo immediato e sconvolgente). D’altro canto quello che importa al momento sono i soccorsi. Nello shock del ritrovamento di un figlio in quelle condizioni, due sono le cose che suscitano l’apprensione e l’angoscia in una qualsiasi madre: il sangue che fuoriesce ed il fatto che il bambino non respira (... ha vomitato sangue e non respira). 

Altro che termini riduttivi circa le condizioni di suo figlio, come recita la sentenza. Dire che qualcuno non respira è il massimo grado per dire che le sue condizioni sono disperate, perché se non viene ripristinata al più presto la ventilazione polmonare si muore. Questo elemento ci dice che la donna non sa cosa sia accaduto in sua assenza, che brancola nel buio. Descrive la condizione di suo figlio nei sintomi che riesce a cogliere, indicando il massimo della gravità che percepisce (non respira). Non solo non c’è niente di riduttivo ma dà un’indicazione che presuppone che la morte stia per sopraggiungere, che occorre intervenire con la massima urgenza. In quel momento, come è ovvio, non le interessa risalire alle cause, quanto che i soccorsi giungano subito, immediatamente, e tutto il resto della telefonata ne è una conferma. Proprio il fatto che non veda e/o non citi le lesioni alla testa è il segno inequivocabile che percepisce la scena in modo globale, in tutto il suo impatto emotivo, ancora impossibilitata a por mente locale sui dettagli che solo una mente fredda e distaccata, in un frangente altamente drammatico, riesce a cogliere. La donna, la madre, in quei momenti è presa dalla disperazione di quanto vede nella sua essenzialità: suo figlio è coperto di sangue e non respira. Fa quello che qualunque madre che ami suo figlio farebbe. Chiede aiuto nelle modalità che, come vedremo, richiamino e mettano in massimo allarme l’attenzione degli interlocutori (in quel caso l'operatrice del 118).

Ma prescindiamo da queste considerazioni, ovvie e di buon senso, e facendo l’avvocato del diavolo proviamo ad ipotizzare che la perfidia e l’astuzia della madre sia arrivata ad immaginare da subito un raffinato scenario di depistaggio. Mettiamo che il suo intento fosse quello di ingannare, prevedendo scientemente che le sue parole (riferite a una diversa causa di tutto quel sangue presente sul letto) potessero giocare a suo favore, con mente diabolica, quasi da criminale incallita ed avvezza a scenari del genere. Per scoprire se ha barato, analizziamo il tono di voce e la respirazione registrati nel frammento contrassegnato come 1a-b.

Quello che colpisce in questo primo frammento è l’irruenza. Intanto non c’è nessuna esitazione nell’attimo in cui incomincia a parlare (che altrimenti potrebbe essere un indice non verbale della menzogna). Le prime parole, quasi incomprensibili, vengono sparate a raffica, in apnea, in un tono più ancora che concitato, esagitato e frenetico. C’è un’ansia parossistica di far presto e insieme un’angoscia palpabile. Nessuna replicazione, indecisione o parole ripetute a metà (che potrebbero essere un indice che il mentitore non si è preparato a dovere la versione da dare). Al contrario la 1a-b non contiene nessun microtremore della voce. Il frammento (1a) è quasi incomprensibile, è talmente dirompente che esplode come un suono angosciante, un urlo di sofferenza e di dolore. Si sente in modo chiaro (1b): "non respira, abito a Cogne" - solo dopo una pausa quasi impercettibile riprendendo fiato solo per una frazione di secondo. La respirazione si avverte sul finale della frase. Ma il tono, oltre che drammatico, è carico di un’ansia sconfinata e di una preoccupazione che si evince più ancora nell’assenza di pause tra le parole. Uno stato di apprensione così totale e dirompente non lo può simulare neppure un attore professionista. Si riescono a inanellare le parole senza iati e senza interruzioni, con una carica di tensione nella voce, e senza un sia pur minimo controllo della respirazione, solo quando lo stato d’ansia è effettivamente travolgente e irrefrenabile. In 1a-b, la concitazione scaturisce da uno stato evidente di shock, la voce tradisce uno stato d’animo sconvolto e soprattutto uno sconcerto drammatico e annichilente di fronte a qualcosa di inatteso e di drammatico. Il tono angoscioso e convulso connota una situazione emotiva che non ammette simulazioni, la respirazione della donna è perfettamente in sintonia con uno stato di grave preoccupazione, di ansia e di allarme interiore di fronte a una situazione vissuta come incomprensibile e scioccante. Le parole si sovrappongono in un amalgama di angoscia e di sconcerto. 

Ma, soprattutto, l’inspirazione appare solo alla fine della 1a-b come se la Franzoni fosse in una apnea non solo respiratoria, ma anche mentale. Come fosse sotto l’effetto dello shock per quanto di inatteso, inaspettato e incomprensibile, fosse quello che ha trovato al suo rientro in casa. La 1a-b è, nella sua veste respiratoria, non solo impossibile da contraffare, ma anche impossibile da replicare. Un attore potrebbe simulare qualcosa di analogo solo modulando il fiato, magari dando un tono altrettanto drammatico alle parole, ma senza mai riuscire a riprodurre quella carica annichilente del respiro, una frequenza e una intensità della tachipnea che ne riproduca il contesto interiore e il vissuto angosciante. L’emissione di voce è visceralmente e costitutivamente connotata a uno stato emozionale interiore, a un vissuto non mediato da qualsivoglia controllo e censura, qualcosa di impossibile da tradurre in un dialogo recitante, in una finzione drammatica. La reazione della signora Franzoni non è mediata se non da quella pausa quasi impercettibile nella quale il controllo che sopravviene per un istante è finalizzato a offrire una informazione utile per i soccorsi: “abito a Cogne”. La situazione è inaspettata: l’aver trovato il figlio pieno di sangue e che non respira. La tensione nella voce è al massimo, una corda tesa che presuppone un referente interiore analogo, un timbro di voce e una cadenza che non richiama certo a una simulazione o a una drammaticità impostata e recitata, bensì a uno stato interiore sconvolto e in crisi di panico. L’adrenalina però la sostiene, ha ben chiaro che la salvezza di suo figlio potrebbe dipendere dalla tempestività dei soccorsi, tant’è che replica alle parole del centralino “Un attimo che le passo subito...” con le frasi 2a-b: “Fate presto" e "la prego".

Con la 2a-b c’è un barlume di controllo (e di speranza) nel momento in cui si realizza la possibilità di un aiuto e dei soccorsi, un riemergere delle istanze sociali mediate però da una trepidazione e da una inquietudine che legano insieme 2a e 2b - praticamente in un continuum senza iato che intende la comunicazione non solo rivolta all’interlocutore ma anche rivolta a se stessa, all’ansia che la sta divorando. Non è solo un invito a far presto, ma una sollecitazione, un ordine, una istanza. C’è in 2a-b la premura e la fretta che si realizzino i soccorsi, ma anche nuovamente l’angoscia e la paura che non siano abbastanza tempestivi. La 2b ("la prego") più che una semplice preghiera connotata da una formula di rito, sembra un’invocazione, un comando disperato in cui urge non una mera richiesta di aiuto e di assistenza, ma un grido di dolore. Subito dopo la 2a-b c’è un atto respiratorio evidente, una inspirazione a cui fa seguito la musica d’attesa da “Le quattro stagioni” di Vivaldi. L’atto respiratorio in realtà è sul finire della 2b. Si tratta di un controllo improprio del respiro, appare più un misto tra inspirazione e espirazione, una polipnea d’ansia nella quale riemerge lo stato d’angoscia. L’atto respiratorio denota nuovamente uno stato d’animo reale, non simulato. E' da notare che il passaggio da 1a-b a 2a-b non contiene nessun esitamento ellittico o forma reticente, nessuna pausa, i tempi di latenza delle risposte in pratica non esistono (un segno di assoluta sincerità). La Franzoni non urla e strepita per dar ad intendere qualcosa che in concreto non prova, al contrario il suo respiro al termine di 2a-b indica uno stato di apprensione, di sconforto e di angoscia. 

E' un respiro che sembra appellarsi a un’ansia incontenibile e disarmata. La musica d’attesa rende ancor più drammaticamente quel 2a: “fate presto” - che si staglia nel respiro affannoso che si confonde con la musica di Vivaldi. La 2a-b poi presenta un altro elemento drammatico, l’emissione di voce è già proiettata in avanti, verso un nuovo interlocutore, ma come se il tempo dell’attesa (sia pure ragionevolmente di pochi secondi) in quella situazione di angoscia e di incertezza rappresentasse un tempo infinito, un tempo vissuto, non quello dell’orologio, ma quello interiore in cui pochi secondi sono più lunghi di una vita. Si tratta della fenomenologia di un tempo interiore, quel tempo che sembra non finire mai quando siamo in attesa, quando qualcosa ci sconvolge, una durata che si dilata in quella clessidra interiore dove a scorrere non è la quantità della sabbia del tempo, ma quegli stati d’animo che ci fanno sentir morire quando un’attesa mortale ci divora. In 2a-b c’è appunto il periclitare nell’animo della protagonista, una sorta di baratro di incertezza e di attesa attestato da una tachipnea che si contrae quasi in uno spasmo respiratorio, perfettamente avvertibile nella registrazione. Nessun elemento di contraffazione, nessuna pausa orchestrata, nessuna finzione teatrale. In 2b ("la prego") c’è perfino un’urgenza che si affida all’interlocutore attraverso una tonalità di voce drammaticamente essenziale, protesa insieme a sollecitare e nel contempo a tentare di scaricare (abreagire) la tensione e l’impazienza.

Al “Pronto” dell’operatrice, i pochi secondi di attesa che alla signora Franzoni devono essere parsi lunghi come un’eternità (il tempo vissuto appunto, non quello fisico dell’orologio), quel piccolo indizio di controllo che si era per un attimo avvertito in 2a-b, precipita in un nuovo stato di apprensione e di ansia incontrollata. Lo si può capire ascoltando il frammento 3a-b: 3a [Mio figlio ha vomitato sangue], 3b [venga subito]. Nessuna ambiguità o prolissità, nessuna informazione secondaria irrilevante e fuorviante, nessuna esitazione... la Franzoni va subito nel cuore del problema con una richiesta di aiuto che spiega (3a), senza modificatori con valore dubitativo, es: circa, quasi, un po’, molto, poco, ma rappresentando immediatamente la situazione nella sua immediatezza drammatica, senza perifrasi o tentennamenti. Sollecita l'operatrice del 118 senza verbosità, senza descrizioni inessenziali e/o predicatori epistemici: penso, suppongo, credo, senza spiegazioni impersonali (nessun dubbio sui contenuti espressi per rendere l’urgenza e la drammaticità della situazione). La 3b, nella sua essenzialità, esprime l’assenza di esitazioni e con: "venga subito", trasmette all’interlocutore quello che occorre fare di essenziale senza ulteriori indecisioni. Il modo di comunicare della Franzoni non sembra proprio quello di una madre che ha appena colpito a morte suo figlio, sembra piuttosto quello di una donna che cerca disperatamente di salvarlo perché si è immediatamente resa conto, al suo rientro in casa, che il bambino versa in una situazione drammatica, indipendentemente dalle cause che l’hanno prodotta. Quello che dice è essenziale perché l’interlocutore si attivi immediatamente per inviare i soccorsi prospettando una situazione estremamente grave nel modo di porgere la richiesta di aiuto. Al contrario se il suo obiettivo fosse stato quello di andare per le lunghe avrebbe adottato degli espedienti dubitativi e delle formule ellittiche, delle ‘impersonalizzazioni’ (formule dubitative o dissociative dai contenuti espressi) per dissimulare e prender tempo. Niente di tutto questo. Nessun dubbio che la signora Franzoni ha come obiettivo che i soccorsi arrivino al più presto per salvare suo figlio. La voce non è alterata ad arte, la signora Franzoni non piange e non grida per fingere, la respirazione ha una frequenza e una intensità che traducono una situazione imprevista e uno stato interiore di grave angoscia e preoccupazione (una polipnea evidente con ritmi respiratori fortemente alterati).

Quando l’operatrice del 118 invita a parlare con calma per avere l’indirizzo “Allora no, con calma… devo avere l’indirizzo abbia pazienza” la signora Franzoni urla e la sua voce si sovrappone. È un momento in cui la madre è in preda a un’ansia incontenibile, vorrebbe far presto ma la sua irruenza, dettata dalla necessità di rappresentare l’estrema gravità della situazione, finisce per qualche attimo per travolgerla e per risultare caotica e controproducente. La Franzoni se ne avvede subito e si impone un minimo di autocontrollo per dare le informazioni che le vengono richieste. La frase 4: "abito a Cogne", è nuovamente scandita in modo chiaro ma mantiene ancora tutta l’ansia di far presto e forse anche una malcelata irritazione. (l’informazione abito a Cogne l’aveva infatti già data al centralino in 1b). Alla successiva richiesta del numero di telefono le cifre vengono scandite con la stessa chiarezza ma con la respirazione (tachipnea) che aumenta di frequenza per lo sforzo di mantenere una calma che praticamente le è impossibile per via dell’ansia e della preoccupazione per lo stato di suo figlio. La scansione del numero di telefono è praticamente una lotta con se stessa a mantenere il controllo dando le informazioni di rito mentre dentro di lei si avverte che è sconvolta e vorrebbe che le procedure venissero superate all’istante (è la normale reazione di una persona in stato di shock che cerca di controllare il panico e la preoccupazione come meglio riesce). La 5: "frazione Montroz", ribadisce il tono di voce della 4 - si avverte solo una punta di insofferenza (impazienza) insieme all’ansia.

Prima di proseguire nell’analisi vorrei fare alcune considerazioni su questo primo stralcio del documento in oggetto. Le frasi dette fin qui dalla signora Franzoni sono poche e brevissime. Le riassumo:

1a-b: "Ascolti mio figlio ha vomitato sangue e non respira, abito a Cogne"

2a-b: "Fate presto, la prego"

3a-b: "Mio figlio ha vomitato sangue, venga subito"

4: "Abito a Cogne"

5: "Frazione Montroz"

A fronte di una comunicazione scarna ed essenziale, la madre riesce ad esprimere una tensione spasmodica e una drammaticità esplosiva senza bisogno di aggettivazioni, iperboli, senza enfasi e prolissità, tutto in forza della polipnea, una frequenza respiratoria che neppure l’attore più scaltro e navigato può simulare anche immedesimandosi nella parte. Le pause e le enfasi respiratorie di un attore si riconoscono per quel respiro recitante che, anche quando l’azione è drammatica, risulta sempre sotto il pieno controllo della voce che lo sovrasta. La comunicazione della signora Franzoni, esaminata fin qui, è invece dominata dal respiro, dal corpo, dall’ansia e dall’angoscia. Non c’è traccia di un solo elemento di dissimulazione, di qualcosa che faccia supporre una recita o comunque a una versione preparata. La richiesta drammatica di aiuto è connotata da una tensione emotiva dove le parole fungono da veicolo del respiro, del dramma che la donna sta vivendo, dell’angoscia che l’espressione verbale non riesce a descrivere se non attraverso l’intensità dell’emissione d’aria che sale verso la bocca e va verso la lingua i denti e le labbra, creando un flusso di suoni (parole) immersi in movimenti respiratori in cui la tensione è talmente palpabile da non aver bisogno di accentuazioni o enfatizzazioni. L’essenzialità delle parole mette ancora più in risalto l’invocazione di aiuto della Franzoni: è tutta espressa nel flatus vocis, nella mancanza di pause, nel flusso di suoni senza iati, senza incertezze, ripetizioni o esitazioni, senza ellissi e senza reticenze. La voce della donna è una corda tesa dove nessun pensiero recondito o dissimulazione può trovar posto. La sua azione è totalmente diretta e immediata, una esposizione senza inciampi o reticenze, senza vibrazioni e senza incertezze.

Alle parole dell’operatrice “Con calma… Monrò?” la signora Franzoni chiede, con la frase 6: “Cosa devo fare?” La domanda, in tono disperato, giunge a dimostrare tutta la sua sensazione di impotenza e un senso di frustrazione. Alla domanda successiva dell’operatrice che chiede il numero civico, la Franzoni per un attimo perde le staffe pronunciando la 7a-b-c: [Ooh…eeh…] - [la prego] - [sta male!].

Nella 7a con le due esclamazioni manifesta irritazione e disappunto, subito corretta con: "la prego, sta male" - per richiamare la drammaticità della richiesta di aiuto. Da un lato l’operatrice segue la procedura, dall’altro la signora Franzoni è in preda al panico. Le due esclamazioni (Ooh...eeh...) sono seguite da due respiri intensi in cui si mescola sconcerto, ansia e angoscia. La flemma dell’operatrice viene probabilmente avvertita dalla Franzoni come se la sua interlocutrice non si rendesse conto della drammaticità della situazione, le frasi 7b e 7c sono gridate, ma con una respirazione che mescola senso di impotenza e rabbia e che termina con una inspirazione nella quale la donna manifesta la sua delusione. La tachipnea in tutta la 7a-b-c, è intensa, e si esprime anche con due respiri ‘in pausa’ che accennano a delle apnee. La signora Franzoni è chiaramente in debito di ossigeno e cerca più o meno inconsapevolmente di introdurre delle pause per riprender fiato. Le due esclamazioni (7a) più che spunti polemici rivolti all’interlocutrice, sembrano un modo per introdurre aria e alleggerire la tensione che la sta portando al culmine. “Ooh... eeh” possono essere lette come un momento di pausa mentale, una sorta di suono che tenta di esternalizzare e dissipare la tensione che la sta divorando. Sembrano, insieme alla tachipnea che le accompagna, un espediente per guadagnare aria e ripristinare una riserva di energia. Le successive 7a e 7b sono infatti espresse di slancio, con foga e sdegno, caricate da nuovo impeto. La 7a-b-c esprime ancora una volta un’aderenza del dato psicosomatico (il respiro) al contenuto e alla forma della voce, senza impersonalizzazioni, senza dissociazioni dai contenuti espressi, senza il più piccolo barlume di esitazione e/o di reticenza. Una modalità espressiva che drammaticamente si sintonizza coi movimenti respiratori e che trova consonanza con la loro frequenza e intensità. L’assenza di ambiguità nella comunicazione della Franzoni, è poi un ulteriore indice di sincerità e di corrispondenza tra l’elemento drammatico indicato dalla voce e quello psicofisico interpretato dalla polipnea.

Alla risposta della operatrice “Signora, con calma perché non risolviamo niente, Allora Monrò?” la madre di Samuele risponde con la frase 8a-b-c-d-e. [Numero 4 A] - [E' già venuta stanotte perché stavo male io] - [Vi prego] - [aiutatemi] - [non respira...].

Qui la ricostruzione è imprecisa e approssimativa perché la drammaticità delle parole e del respiro si confonde in una tachipnea che probabilmente raggiunge il culmine di tutta la telefonata. L’agitazione e l’angoscia creano nelle parole della Franzoni un grumo, un coacervo di emozioni nelle quali i fonemi si mescolano e impastano al respiro lasciando trasparire in modo chiaro solo la 8e ("non respira") che si staglia dopo una pausa angosciante su tutto quel frammento e che replica in seconda battuta (dopo una inspirazione lunga e una pausa in cui riprende fiato) con una tonalità che si spegne in un grido disperato, ma ancora comprensibile, il: "non respira".

In tutta la frase 8, l’affanno della donna è una risposta all’invito alla calma. Nella sua prospettiva il richiamo alla calma crea un contrasto lancinante con quello che vive e che è sintetizzato in quel non respira che vale più di qualsiasi altra descrizione. Le parole che lo precedono esprimono invece la disperazione e rappresentano il tentativo di dare le informazioni richieste, anche attraverso un supplemento di indicazioni ("è già venuta stanotte...") come illudendosi che quel particolare possa avviare all’istante i soccorsi per analogia. E' evidente che Annamaria Franzoni è in uno stato di shock e che la disperazione guida le sue parole, il panico e l’angoscia di fronte alle condizioni in cui ha trovato il figlio non le consentono di tollerare che l’interlocutore pronunci la parola calma. E' evidente che da una parte c’è una operatrice abituata a trovarsi di fronte a persone che in caso di richiesta di aiuto si lasciano andare al panico e perdono la lucidità (i suoi inviti alla calma sono legittimi e opportuni), ma dall’altro c’è la Franzoni che intuisce la gravità delle condizioni di suo figlio e che non a caso dice di far presto, che il bambino non respira. In un caso del genere c’è solo il filo del telefono a far da ponte, con tutti i limiti e gli equivoci da un lato delle procedure codificate e dall’altro della richiesta di aiuto di turno, con tutte le incertezze riguardo alla esatta valutazione della gravità. Di certo comunque la Franzoni sa rappresentare in modo inequivocabile che qualcosa di veramente drammatico è accaduto, quel non respira non lascia adito a ad equivoci di sorta, dimostra con un indizio sintetico che la donna - senza infingimenti, senza modificatori e attenuatori, senza perifrasi o ellissi - vuole un intervento rapido e istantaneo, che il figlio sta malissimo, che è in pericolo di vita. Non c’è ombra né di menzogna né di ambiguità. C’è soltanto una pena e un dolore che la tachipnea attesta al di là di qualsiasi dubbio e di qualsivoglia sospetto.

La parte 9 [Montroz] è scandita per evitare fraintendimenti. La 10 [4 A] è preceduta da una esclamazione quasi incomprensibile, interpretata come: "Oh, mamma mia", di disappunto. C'è da dire che l’informazione del numero civico era già stata data nella 8a.

La parte 11a-b: [tre anni] - [Samuele], e la 12a-b-c: [Lorenzi] - [La prego] - [sta malissimo], in risposta ai quesiti dell’operatrice, sono sull’onda di un’ansia e di una impazienza scandite dalla tachipnea in un miscuglio di angoscia, irritazione e disappunto. La 12b e la 12c sono rivolte con un tono che vuole persuadere l’interlocutore non solo drammaticamente, ma sollecitando la sua empatia. C’è qui un risvolto nel tono a cercare non solo aiuto ma anche comprensione. L’operatrice infatti risponde con una raccomandazione come se il messaggio le fosse giunto “Signora, intanto se vomita non lo tenga...”

Tra le due donne sembra essersi instaurato un contatto non solo informativo ma anche emotivo. Infatti nella 13a-b-c: [è tutto insanguinato] - [ha vomitato tutto il sangue] - [non respira], Annamaria Franzoni, pur rappresentando la situazione ancora drammaticamente, appare più in sintonia con il suo interlocutore (forse è consapevole che la procedura è terminata e i soccorsi stanno per partire). Ripete ancora che il figlio non respira, ma l’ansia sembra meno violenta ed appare in tono meno aspro un piccolo barlume di fiducia e di speranza.

La rassicurazione dell’operatrice “Arriviamo subito, signora” conclude la conversazione telefonica con il commiato della 14: [grazie] e della (15) [sì, sì, sì, arrivederci] quasi incomprensibili.

Come si diceva all’inizio la telefonata è un documento incontrovertibile che dimostra:

a – che la signora Franzoni si è trovata di fronte a una situazione assolutamente imprevista.

b – che non c’è traccia né di finzione né di menzogna.

c – che il contenuto informativo che offre al 118 - più ancora con la polipnea - dimostra inequivocabilmente di rappresentare in modo coerente, congruo e palese, la gravità del caso per cui si chiede l’intervento.

d – che non c’è ombra di simulazione (tra l’altro la tachipnea non si può simulare, ne uscirebbe una performance tra il comico e il surreale)

e – che non esiste nel modo di porsi all’interlocutore nessuna elusività, equivocità e evasività, come invece accade quando qualcuno mente.

f – che la richiesta di aiuto è scevra da circonvoluzioni, ellissi e reticenze di sorta. Appare chiara e sintetizza senza infingimenti che il bambino non respira.

g – che la protagonista non si nasconde dietro a delle impersonalizzazioni, non si dissocia dai contenuti espressi.

h – che la donna non ha mai esitazioni nel dire quello che ha da dire.

i – che la Franzoni non usa termini riduttivi per descrivere le condizioni del figlio, a differenza di quanto afferma il giudice, e non si limita a dire che il figlio vomita sangue dalla bocca. Nella telefonata al 118 ripete che non respira, dice testualmente e in modo drammaticamente angosciante: “non respira” - per quattro volte in tre interventi su 15; inoltre aggiunge che “sta male” e “sta malissimo” ed usa le locuzioni "fate presto" - "venga subito" - "è tutto insanguinato" e "vomita sangue".

La telefonata non dura 77 secondi ma 100. E a differenza di quanto affermato nelle sentenze, prima c’è la telefonata al 118 e solo alla fine, col cellulare, viene impostata la telefonata alla Satragni (vedi in proposito l'articolo di Massimo Prati). Dunque anche la richiesta di soccorsi è tempestiva e senza ritardi, contrariamente a quanto viene asserito nella sentenza.

Bisogna aggiungere che l’elemento connotativo della gravità delle lesioni del figlio è espresso in varie maniere e non solo nelle parole, non solo dalla tachipnea, non solo negli atti respiratori e nelle note intensionali della voce. Quello che qualifica la richiesta di aiuto all'operatrice del 118 come una richiesta di grado massimo, come una disperata invocazione di aiuto, è, dalla ‘lettura’ del documento, il carattere assolutamente drammatico espresso dall’urgenza e dalla concitazione parossistica con cui la donna chiede che si intervenga (fate presto - la prego - venga subito - vi prego - aiutatemi) che vale quanto l’analisi del sonoro. Anche da una disamina del testo si evince la drammaticità della richiesta di aiuto e l’estrema gravità delle condizioni del figlio. Non c’è una sola parola che ne interpreti le condizioni in termini riduttivi, non un solo elemento che metta in dubbio l’urgenza di intervenire, nessuna esitazione, nessun ripensamento, nessuna risposta tangenziale o informazione inutile: una richiesta pressante, diretta, drammatica e coerente.

Se valutiamo la telefonata anche solo da un punto di vista quantitativo, possiamo inoltre osservare che nel rapporto della signora Franzoni con i suoi interlocutori (centralino e operatrice) la conversazione appare molto equilibrata nella distribuzione dei tempi di dialogo distribuiti in egual misura. Tale proporzione è segno di una comunicazione efficace e produttiva. Nonostante qualche incomprensione, del tutto fisiologica data la natura drammatica di una richiesta di aiuto al 118, il dialogo, pur nella sua drammaticità, risulta conciso e incisivo, privo di equivocità e dispersioni. In particolare la signora Franzoni riesce in meno di quaranta secondi a rappresentare il problema in modo esauriente e a darne l’esatta consistenza di estrema urgenza e gravità, e nel contempo a rispondere a tutte le domande senza inutili ridondanze e logorree. È inoltre da rilevare che se la stessa dottoressa Satragni ebbe a dire, riferendosi al bambino: “che gli era scoppiata la testa”, a maggior ragione la Franzoni non era in grado nell’immediato di valutare, ancorché se ne fosse resa conto, la natura delle ferite al capo. Comunque ben più importante era riferire i sintomi (vomita sangue, non respira) più che fornire una diagnosi o una dinamica di cui era completamente all’oscuro essendo il fatto avvenuto in sua assenza (nell’ipotesi che la donna sia effettivamente estranea al delitto).

Il documento è una chiara prova di innocenza. Qualunque considerazione in merito a un precedente raptus seguito da amnesia, si scontra con la totale assenza di stato confusionale. La signora Franzoni appare assolutamente consapevole, sia pure in ovvio stato di forte preoccupazione e angoscia, lucida e coerente nonostante lo stress, tesa a far pervenire i soccorsi al più presto e senza indugi. Nessun indicatore di ambiguità, nessuna manifestazione o termine riduttivo circa la condizione del figlio, contrariamente a quanto asserito nelle sentenze. Il documento della telefonata è inequivocabile e costituisce un fatto storico che dimostra chiaramente l’infondatezza di quanto asserito nel giudizio.  Articolo di Gilberto M.

Il processo e le indagini sulla morte di Samuele Lorenzi:
Speciale Annamaria Franzoni. 
Quindici articoli per capire come a volte la giustizia non conosca logica...

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Homepage volandocontrovento

10 commenti:

  1. anche questo caso passera' alla storia ..
    non si sapra' forse mai che fu l'autore di questo delitto .
    il luogo del delitto è stato subito contaminato dal viavai di persone..
    certo chi giunse nel posto mai piu' pensava ad un delitto. quindi non si presto' cautela . si fecero solo congetture sulla madre , senza pensare ad altre vie . anzi quando la madre ebbe delle sensazioni di qualcuno possile colpevole mm fu additata immediatamente come una bugiarda ,, come nei casi odierni . invece di fare le dovute indagini alla colombo .. senza allarmare il sospettato .. si sarebbe capito subito se erano solo sospetti o altro ..

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  2. Non avevo mai letto la trascrizione della telefonata e ringrazio quindi il sig. Gilberto per questa occasione.
    La mia attenzione si è fermata sulla frase:

    "Franzoni: "Numero 4 A. E' già venuta stanotte perché stavo male io. Vi prego, aiutatemi, non respira ... (respiro affannoso, urla incomprensibili)"

    n.b.:
    "E' già venuta stanotte perché stavo male io. Vi prego aiutatemi"

    Purtroppo basta pochissimo perché chiunque muoia: figuriamoci un bambino così piccolo: basta un colpo fatale dovuto a un'azione impulsiva che diventa incondizionata in circostanze di fragilità nervosa. Penso non possa esservi tragedia più grande e inaccettabile per una madre che soccombere (la rimozione è uno dei modi) a una colpa simile. Ogni genitore sa bene quanto anche una semplice sgridata al proprio bambino che fa i capricci generi sgomento: non c'è volontà di far male, non c'è intenzione di punire; purtroppo capita che le eventualità terribili delle azioni seguano un corso inevitabile perché non controllabile (come secondo me in questo caso).

    La signora Franzoni aveva chiesto aiuto quella notte e ancora urlava: "aiutatemi, vi prego".


    Mi astengo dal commentare la performance mass-mediatica sul caso e le disgustose speculazioni che ne seguirono e a quanto apprendo ora, ancora seguono.

    Anna Bari

    RispondiElimina
  3. p.s.: pietà per il tragico caso a parte, trovo non grave ma di più che la strategia della difesa sia passata per l'accusa di un vicino che in una manciata di minuti avrebbe inspiegabilmente (l'unica prova, se non sbaglio, sarebbe stata un'impronta digitale sulla porta, poi dimostratasi artefatta) commettere premeditatamente un delitto così orribile.

    Qui ci vedo solo la preterintenzione di un atto che fu diretta conseguenza di quello che accadde già la notte in casa Franzoni. E la frase segnalata prima per me dimostra la "continuità" dei tragici eventi.

    Anna Bari

    RispondiElimina
  4. x rudurre un bambino in quelle condizioni bisogna colpire con l'intento di uccidere ,,
    se fosse stato un momento di nervosismo gli avrebbe dato uno schiaffone..
    ma dare quei colpi mortali non penso .

    dopo aver dato quei colpi si sarebbe dovuta macchiare di sangue invece ando' a portare l'altro figlio al pulmino tranquilla e pulita , stette via 8 minuti mi pare .
    con quei colpi mortali che subi' il bambino non penso che possa essere vissuto fino al ritorno della madre . il bambino fu colpito nel fratempo che stette via la madre .. poi non si trovo' l'arma del delitto in nessun luogo attorno alla casa e perfino nelle fogne e nei cassonetti del luogo .. l'arma del delitto si trovava nella casa di quello che infieri' su samuele ..

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  5. il commento sopra è mio
    magica

    RispondiElimina
  6. @Gilberto M.
    Complimenti veramente per uno dei pezzi piu' efficaci, scorrevoli seppur tecnici e illuminanti che penso di aver mai letto.
    La tachipnea a dire il vero era stata di gia' diagnosticata da quel Dr. Sauro di cui la rete ed i siti tematici sono innondati, e non e' un'infantile gara psicologica a chi arriva prima con il carretto, tuttaltro, e' un'ulteriore comprova, sostegno e risultanza medica che ne conforta, semmai ve ne fosse il bisogno, le risultanze.
    Anche l'analisi speculare psicologica, a mio umile parere, vale piu' di mille perizie, e' palese la sostanza di quella telefonata, e lo scritto la imprime, la illumina al vetrino anche a chi forse non ha voluto "comprendere" ma solo "sentire".
    Il contrabbasso a questa risultanza, cio' che in qualche modo la contrasto' (volendo credere per come e' dovuto alla buona fede) fu che in alcuni ambienti di cui si ventilava mediaticamente la presenza dell'allora indagata prerogativa essenziale era la frequentazione di una scuola apposita e funzionale a chissa' quali future missioni, fu detto e scritto di tutto, e proprio quello che fu anche inventato lascia nell'ambiguita' un profano, facendo si che affidi alle visioni "supertecniche" un punto di vista accreditato.
    Non so chi e' lei Sig. Gilberto ma sono veramente stupefatto di "aver capito" piu' che di "averla letta" per la precisione e duttilita' di spiegazioni.
    Complimenti di nuovo.

    RispondiElimina
  7. @Gilberto M.
    Complimenti veramente per uno dei pezzi piu' efficaci, scorrevoli seppur tecnici e illuminanti che penso di aver mai letto.
    La tachipnea a dire il vero era stata di gia' diagnosticata da quel Dr. Sauro di cui la rete ed i siti tematici sono innondati, e non e' un'infantile gara psicologica a chi arriva prima con il carretto, tuttaltro, e' un'ulteriore comprova, sostegno e risultanza medica che ne conforta, semmai ve ne fosse il bisogno, le risultanze.
    Anche l'analisi speculare psicologica, a mio umile parere, vale piu' di mille perizie, e' palese la sostanza di quella telefonata, e lo scritto la imprime, la illumina al vetrino anche a chi forse non ha voluto "comprendere" ma solo "sentire".
    Il contrabbasso a questa risultanza, cio' che in qualche modo la contrasto' (volendo credere per come e' dovuto alla buona fede) fu che in alcuni ambienti di cui si ventilava mediaticamente la presenza dell'allora indagata prerogativa essenziale era la frequentazione di una scuola apposita e funzionale a chissa' quali future missioni, fu detto e scritto di tutto, e proprio quello che fu anche inventato lascia nell'ambiguita' un profano, facendo si che affidi alle visioni "supertecniche" un punto di vista accreditato.
    Non so chi e' lei Sig. Gilberto ma sono veramente stupefatto di "aver capito" piu' che di "averla letta" per la precisione e duttilita' di spiegazioni.
    Complimenti di nuovo.

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  8. la franzoni stava ancora chiedendo aiuto dalla notte?
    vi prego aiutaemi era x aiutare lei x il figlio ..
    quando succedono i casi omicidari bisogna misurare le parole oppure il precesso inizia subito dalle prime parole dette .. mi sembra troppo facile .

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  9. l'ultima notizia del tg..
    alla franzoni è stata negata l'uscita dalla prigione x quattro anni .
    l'omicidio commesso (secondo che esegui' la legge) fu troppo crudele ..
    ma se pensarono che la franzoni commise il reato quando non era in se'.
    si puo dire che non lo fece con efferatezza verso il suo bimbo ..
    hanno rincarato la dose verso la franzoni .. definedola assassina spietata .. ciao ..

    RispondiElimina
  10. buonasera --
    rileggo su questo forum ..
    mi viene da dire . scusatemi se vi sembro sarcastica .
    questo blog è molto interessante ....
    molti viaggiando in internet probabilmente leggeranno questo blog .
    non il solito blog leggero . qua vengono trattati argomenti attuali e cruenti di cronaca nera .
    c'è di tutto nel web ,, gente istruita e gente meno istruita ,, oppure istruita ma che non si esprime con commentoni incomprensibili pieni di frasi fatte . come voler dimostrare la propria bravura nello scrivere .
    qua scrive anche un professore . con commenti comprensibili alla portata di tutti . come dev'essere .. non commentoni difficili da decifrare ...
    ...

    RispondiElimina